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(Estratto della Relazione tenuta al Convegno di Capo d’Orlando “Memoria ed Oblio”)

ll progresso informatico è un fenomeno affascinante che meriterebbe di essere studiato da angolazioni diverse da quelle usuali. Intanto una constatazione che può sembrare banale: con l’informatica l’uomo è divenuto il Creatore di menti standardizzate. Agli albori della cibernetica le funzioni che un computer poteva svolgere erano alquanto semplici. Oggigiorno i computers svolgono funzioni altamente sofisticate in moltissimi campi applicativi: diremo che dal protomentale la mente degli elaboratori è passato ad uno stato psichico progredito in cui riescono ad eseguire, in modo estremamente veloce, compiti ripetitivi ed applicare alcune variabili predefinite dal Creatore.

Chiunque utilizzi in modo intensivo un computer nella sua professione conosce i problemi causati dall’aggiornamento progressivo del sistema operativo e dei software applicativi, cioè le menti, che fanno funzionare gli elaboratori. Ad ogni rilascio della nuova versione del software si scopre che i documenti scritti con la vecchia mente non sono utilizzabili, salvo l’utilizzo di un traduttore, che opera in background, di cui non ci accorgiamo, che traduce le vecchie informazioni in quelle nuove.

Ecco ad esempio come potrebbe apparire un documento (deposito di memorie), visto con la nuova mente, sempre che questa riesca mai a rintracciarlo e visualizzarlo, se questa non utilizzasse il traduttore di cui dispone:

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Più si studia Freud e più ci si rende conto di quanto vasto fosse il campo di azione della sua mente. Non credevo, però, che il Maestro fosse anche un cibernetico ante litteram fino a quando non mi sono addentrato in uno studio attento del concetto di rimozione in Freud ed ho scoperto che, in un primo tempo, Freud si avvicinò al concetto di rimozione attraverso l’edificazione di una teoria della dimenticanza che potremmo definire cibernetica.
In una lettera inviata all’amico e collega Wilhelm Fliess il 6 dicembre 1896 espone in forma compiuta questa sua teoria parlando in sintesi dell’ipotesi che l’apparato psichico si sia formato mediante un processo di stratificazione avvenuto in epoche di sviluppo successive delimitate da fasi di trascrizione dei contenuti psichici.
Nel corso della vita esistono fasi di sviluppo psicobiologico in cui ci si esprime con un certo tipo di linguaggio; per esempio già il lattante possiede codici espressivi attraverso i quali esprime le sue tensioni, le sue emozioni, richieste e desideri. Questi codici saranno sostituiti nelle fasi successive da altri più adeguati e strutturati che si sovrapporranno ai precedenti facendone perdere i riferimenti. Potranno però rimanere delle “isolette” della fase precedente, scritte nel vecchio linguaggio, per cui saranno attive ma irriconoscibili, poiché scritte in un linguaggio di cui si sono perduti i codici: è esattamente quello che accade nel processo di sviluppo del codice informatico per cui un elaboratore che utilizza un sistema operativo moderno, non sarà più in grado di riconoscere, leggere ed utilizzare informazioni memorizzate con codici obsoleti a meno che non venga dotato dei traduttori opportuni.

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Il Maestro scrive: “Vorrei sottolineare il fatto che le successive trascrizioni rappresentano la realizzazione psichica di successive epoche della vita. La traduzione del materiale psichico deve avvenire al confine tra due di tali epoche. Mi spiego le caratteristiche specifiche delle psiconevrosi, supponendo che questa traduzione di una parte del materiale non sia avvenuta, il che implicherebbe determinate conseguenze…Ogni ulteriore trascrizione inibisce la precedente e deriva da essa il processo eccitativo. Dove manca la nuova trascrizione l’eccitamento si verificherà secondo le leggi psicobiologiche valide per il precedente periodo psichico, e lungo le vie allora disponibili. Ci troviamo così di fronte ad un anacronismo: in una particolare provincia…siamo in presenza di sopravvivenze del passato. Un insuccesso della traduzione è ciò che si chiama “rimozione”. 1
Freud aveva osservato degli stretti collegamenti tra l’attuale sintomatico e il passato dimenticato ed attraverso questa teoria della non traduzione dei codici aveva cercato una spiegazione del fenomeno. Ma ben presto non si accontenta più di una spiegazione linguistica e va alla ricerca di una spiegazione strutturale.
Solo nel 1915, con la pubblicazione dell’articolo “La rimozione” (Die Verdrängung) giunge a formulare il concetto di rimozione che sarà poi ancora elaborato per circa un decennio (Inibizione, sintomo e angoscia, 1926) fino a giungere alla concezione finale: vi sarebbe una prima parte del processo denominata “rimozione originaria”, che non riguarda la pulsione in quanto tale, ma i suoi “rappresentanti ideativi”, che non possono accedere alla coscienza e che legherebbero a se la pulsione stessa.
Facciamo un esempio: in un lattante esiste il bisogno innato della nutrizione, il riflesso di suzione, il riflesso di prensione: tutto fa pensare che esistano delle attività istintuali che per così dire “spingono” in modo indifferenziato il bambino verso l’attività del prendere e mangiare.
Il bambino afferra qualcosa (per es. il seno materno), lo porta alla bocca, se ne nutre, il bisogno si placa, la tensione all’interno dell’apparato mentale si azzera.
Ma a livello psichico, rimane la spinta-informazione a prendere: è gradevole prendere. Anche quando il senso di sazietà è subentrato il bambino esercita l’attività del prendere-succhiare poiché, con tutta evidenza, tale attività è retta dal principio di piacere.
Può accadere che l’attività del prendere-mangiare incorra in degli interdetti e si accenda il semaforo rosso dell’incompatibilità: NO! Questo non puoi mangiarlo!
Il desiderio di prendere-mangiare viene bloccato sul posto: è la rimozione.
Il rappresentante ideativo dell’azione inibita rimane bloccato sul posto ma continua ancora ad essere alimentato dall’energia pulsionale: viene così creato un primo nucleo inconscio che funziona come nucleo agglutinante sugli elementi simili da rimuovere.
Se l’azione del prendere-mangiare non si può fare, non solo non la si fa, ma subentra l’inibizione stessa a pensare di farla. Ma quel desiderio oramai è stato attivato, non può essere cancellato, rimane nell’inconscio e diventa esso stesso fonte pulsionale, poiché la carica pulsionale vi è rimasta legata. Non è giunto alla coscienza e non è stato trasformato in atto poiché si è generata una controcarica inibitoria che l’ha bloccato sul posto. Ma l’attività energetica del processo primario lo carica in continuazione, è diventato fonte pulsionale: è sempre in attesa di soddisfazione.
Se la sua carica è sufficientemente forte, deformerà le difese dell’io riuscendo a manifestarsi in un modo o nell’altro: ecco il sintomo, un compromesso tra realizzazione della spinta pulsionale originaria e i meccanismi di difesa.
Per rimanere all’esempio utilizzato, l’adulto, erede di quel bambino, non si darà al cannibalismo, ma magari divorerà le sue stesse unghie in modo coatto, utilizzando il meccanismo difensivo dell’introiezione dell’aggressività.
Negli ultimi anni Nicola Peluffo ha progressivamente costruito, armonizzando l’epistemologia genetica di Piaget con la psicologia della rimozione di Freud, quella che potremmo definire una visione epistemologica del conflitto somato-psichico.
Peluffo ricorda, partendo da Freud, che nel corso della vita esistono fasi di sviluppo psicobiologico in cui le informazioni, le reazioni, le memorizzazioni, si servono di codici di espressione e di modalità operative che poi verranno abbandonate pena la strutturazione di gravi sindromi psicopatologiche.
La tesi di Peluffo è che nell’adulto, vicino ad un sistema di spiegazione di tipo cartesiano ne coesistano altri in conflitto con esso che appaiono, ad esempio, nei sogni. Gli insiemi di codeste vestigia fissate costituiscono l’essenza dei così detti complessi e sono in conflitto con l’io. Le basi di tali complessi sono inconsce e quindi esistono fuori dallo spazio-tempo e continuano incessantemente a manifestarsi. Sono il cosiddetto rimosso filogenetico e continuano ad alimentare il rimosso individuale: ecco perché nell’adulto normale continua a sussistere il primitivo della preistoria filogenetica e l’infante della preistoria individuale.

Faccio un esempio tratto da un caso di osservazione infantile.
Una vispa bambina di tre-quattro anni, che chiameremo Sofia, passeggia al fianco della madre in un giardino pubblico, il padre segue le due signore della famiglia a poca distanza. Trotterellando, ad un certo punto Sofia inciampa in un sasso e cade a terra sbucciandosi le manine. Si rialza furente gridando come un’ossessa: ”Brutto papà, brutto papà!” A nulla servono le spiegazioni logiche dei due genitori per scagionare il padre innocente. La bambina si calma solo dopo l’espulsione fisiologica dell’aggressività evocata dal trauma. Sofia, grazie all’incontro doloroso delle frustrazioni della vita, ha da poco rinunciato allo stato di onnipotenza infantile, è uscita dalla simbiosi feto-materna e permesso l’ingresso di una nuova entità nel suo universo rappresentazionale: il Padre Onnipotente, il Deus ex machina, il Demiurgo, Colui che tutto può e tutto decide, un’imago su cui ha proiettato tutta l’onnipotenza a cui aveva dovuto rinunciare.
Se questa isola di codice dovesse rimanere intatta, e non fosse rielaborata con l’integrazione delle successive informazioni che diranno a Sofia che anche suo padre è un fuscello nell’universo, questo minuscolo pezzetto di software arcaico potrebbe ipertrofizzarsi fino alla strutturazione di un delirio di persecuzione: la mia vita è nelle mani di Satana, o di Dio, (che in fondo, da un punto di vista psicodinamico sono la stessa cosa, corrispondendo alle Imago onnipotenti antropomorfizzate della percezione endogena della base pulsionale primaria dell’essere umano: Eros e Thanatos), io sono la pedina dell’Eterno, e così via…
Un altro esempio, socialmente doloroso e molto diffuso, è quello delle sterilità psicogene: donne biologicamente sane, senza alcuna patologia che si frapponga all’espletamento della funzione riproduttiva, che ricevono sperma sano dai loro donatori naturali, per anni non riescono a coronare il loro desiderio di gravidanza. Molto spesso l’analisi mostra che è rimasto inalterato nell’inconscio il desiderio edipico incestuoso di essere ingravidati dal padre di quella che fu la bambina: se il desiderio di essere ingravidata si realizzasse la piccola bambina verrebbe dilaniata dall’alien che le si ingigantisce dentro. La rappresentazione di se e del proprio apparato riproduttivo è rimasta ferma a quelle memorizzazioni infantili di tipo cloacale proprie della prima infanzia: sono donne che ignorano l’esistenza della vagina, pur facendosi magari visitare dal ginecologo periodicamente!

Ma torniamo ai nostri parallelismi tra funzionamento mentale umano e strutture cibernetiche. Molti esperti in cibernetica usano affermare che “la mente umana è strutturata come un elaboratore”. Mi sembra un modo abbastanza singolare di procedere. Sarebbe probabilmente più giusto dire che l’uomo ha progettato in modo conscio, preconscio e inconscio gli elaboratori sulla base della struttura della sua mente. Sappiamo quanta parte svolga la proiezione nell’inventiva umana.
Per poter procedere nell’illustrazione dell’argomento dovremo prima dotarci di una definizione operativa di elaboratore.
È possibile dare una definizione matematica adeguata per il concetto generale di computer, una definizione capace di catturare tutti gli esempi di computer possibili, che siano realizzabili oggi e domani con qualunque tipo di tecnologia? La definizione di macchine di Turing è stata la risposta a questo quesito: Nel 1936 il matematico inglese Alan Turing propose l’idea di una macchina immaginaria che fosse capace di eseguire ogni tipo di calcolo su numeri e simboli.
Le macchine di Turing sono un modello matematico ideale che vuole catturare tutti gli esempi di computer possibili. Le componenti di una macchina di Turing sono molto semplici: un supporto di memorizzazione su cui possano essere inscritti dei dati, un semplice nastro, potenzialmente infinito; questo nastro è diviso in caselle ed il calcolo avviene spostandosi su questo nastro, avendo la possibilità di leggere quello che sta scritto nelle caselle e di scrivere o cancellare simboli, passando successivamente in stati di memoria diversi. La macchina analizza il nastro, una cella alla volta, iniziando dalla cella che contiene il simbolo vuoto più a sinistra nel nastro.
Nelle illustrazioni che seguono avete un esempio visivo di Macchina di Turing: nella prima una mia fantastica realizzazione, nell’altra un simulatore java.

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La testina di lettura e scrittura è un dispositivo che ad un certo istante punta una singola cella del nastro ed esegue una data istruzione del programma. Ha un numero limitato di condizioni. Può leggere i simboli dal nastro, e basandosi su quel simbolo e sullo stato attuale, può scrivere un altro simbolo sopra il simbolo corrente, cambiare lo stato attuale e spostarsi a sinistra o a destra di una cella sul nastro. Come vedete una rappresentazione molto prossima alla lettura di Freud che vi ho prima riportato: è confortante vedere come menti eccelse funzionino con modalità molto prossime!
La macchina di Turing esegue normalmente le istruzioni nell’ ordine in cui vengono inserite.

Coloro che utilizzano con frequenza i computers nella loro pratica quotidiana, sanno che essi sono dotati di menti velocissime ma senza inventiva: attualmente un elaboratore non può eseguire nulla che non sia già codificato in nuce nel suo sistema operativo, programmato dagli esseri umani. Ed inoltre il computer non può imparare dall’esperienza (almeno per il momento).
Si ritiene che le impressionanti differenze di performances tra mente umana ed elaboratore siano dovute al fatto che i computers sono inchiodati alla logica deterministica binaria: vero-falso. Mentre la mente umana tiene conto di concetti sfumati o approssimati che permettono un numero pressoché infinito di soluzioni.
Quello che rende la mente umana incomparabile è quella che potremmo definire la sua possibilità di ragionamento quantistico: la coesistenza di stati deterministicamente in opposizione, di tempi diversi, la possibilità di non tener conto del principio di contraddizione, etc. cioè le modalità di funzionamento proprie del processo primario così come furono descritte da Freud.

Per cercare di avvicinare le prestazioni degli elaboratori a quelli della mente umana gli scienziati stanno lavorando da anni a quelli che sono stati definiti computer quantistici. Il concetto di computer quantistico è stato introdotto per la prima volta negli anni Ottanta dal grande fisico americano Richard Feynman, premio Nobel per la fisica. La caratteristica fondamentale di questi elaboratori, tuttora in una fase di elaborazione teorica, risiede nel fatto che essi consentirebbero forme molto complicate e molto potenti di parallelismo. La possibilità di procedure di calcolo parallele è fondato su un’idea centrale della meccanica quantistica, che è l’idea di sovrapposizione di stati quantistici.
Nell’applicazione ai computer e ai calcoli, gli elementi di una sovrapposizione quantistica di stati danno luogo a rami paralleli di calcolo, per cui ogni ramo rappresenta l’elemento di una sovrapposizione quantistica. Naturalmente, per ottenere, poi, un risultato definito tutti questi rami diversi devono precipitare su un unico risultato, deve avvenire quel processo che in meccanica quantistica si chiama “collasso della funzione d’onda”.
Per la meccanica quantistica, ad ogni particella (quanto) si può associare un’onda, e ogni onda è una manifestazione di una particella. Max Born precisò la natura di questa relazione: l’onda associata a una particella è un’onda di “probabilità”, nel senso che “predice” quali futuri siano possibili per quella particella. Lo stato di una particella non è più quello classico (posizione nello spazio e nel tempo e velocità di moto). Lo stato di una particella è dato dalla sovrapposizione di tutti i suoi possibili futuri, ciascuno “pesato” con una probabilità.

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Soltanto osservando il sistema possiamo leggere un valore specifico per la quantità che vogliamo osservare: prima della misurazione non c’è alcun modo di prevedere il risultato dell’esperimento. è l’atto di misurazione che “costringe” il sistema ad assumere un valore specifico fra quelli possibili, a determinare il cosiddetto collasso della funzione d’onda
A far collassare la funzione d’onda è, secondo la fisica quantistica, l’interferenza di un altro sistema. Per esempio, se cerco di misurare una quantità di un sistema (la sua velocità, per esempio), faccio collassare la funzione d’onda del sistema, e pertanto leggo un valore per quella quantità che prima era semplicemente una delle tante possibilità. E’ il mio atto di osservare a causare la “scelta” di quel particolare valore della velocità fra tutti quelli possibili.
Una dinamica del tutto simile a quella di collasso della funzione d’onda si può osservare in psicoanalisi ed in micropsicoanalisi nella produzione delle cosiddette “idee improvvise”, quelle idee, immagini, parole, talvolta suoni o odori, che improvvisamente compaiono al livello della coscienza, al di fuori del contesto associativo.
Per illustrare il concetto ed avviarmi alla conclusione, mi servirò dell’illustrazione schematica di un caso clinico.
Donna di 40 anni affetta dall’età di 8 anni da epilessia e per questo trattata da 32 anni. In realtà la Signora è affetta da isteroepilessia ed il trattamento micropsicoanalitico ha ridotto ad ombre fugaci le imponenti manifestazioni iniziali: le assenze, in realtà stati crepuscolari di coscienza dovuti ad un processo di scissione dell’Io, correlativamente a fenomeni di diniego, sono quasi del tutto scomparse, la signora ha ripreso con gioia le attività ripetitive che le erano state vietate, come il cucito o il fare la maglia, che prima le scatenavano la sintomatologia, lavora per diletto ore al computer, il cui uso le era stato vietato, etc.
Ha rimemorizzato, con grande dolore, imbarazzo e senso di colpa, l’insorgenza della prima crisi convulsiva prendendo atto di tutte quelle particolarità di diagnosi differenziale, che pure avrebbero dovuto offrire la possibilità ai neurologi che l’avevano curata di porre la corretta diagnosi: assenza dell’aura, caduta dolce, senza conseguenze traumatiche, assenza di stato soporoso post-convulsivo e così via.
Da alcune sedute, spontaneamente, cerca di portare alla coscienza le motivazioni del conflitto che aveva condotto alla produzione del corteo sintomatologico isterico ma, come spesso avviene, per il gioco delle resistenze, l’argomento viene lambito più volte senza potersi manifestare nella sua essenza che ora, molto schematicamente, vi anticipo.
La bambina era legata in modo semi-simbiotico alla madre: un edipo positivo particolarmente virulento, aveva determinato un impatto traumatico con l’ovvio rifiuto paterno alla consumazione dell’atto, e strutturato un odio feroce verso l’oggetto maschile, generando un rimbalzo soffocante verso la madre.
La quale ha la sfortuna di contrarre un tumore cutaneo maligno che ne assorbe rapidamente tutte le energie: la madre può occuparsi solo della sua malattia, che scalza dal suo animo la figlia.
Sul piano manifesto la bambina sviluppa una formazione reattiva da santa verso impulsi inconsci di feroce aggressività distruttiva diretta verso la coppia parentale che l’ha tradita. Non sopporta più la vista della madre malata ed inizia a nutrire nei suoi confronti quei tipici sentimenti di distruttività omicida, propri della logica sbrigativa e risoluta dell’inconscio.
Il suo Io si sfalda in una parte che conserva l’attaccamento affettuoso alla madre ed in un’altro in cui è inscritta la memorizzazione dell’odio. In verità, quando parliamo di scissione dell’Io, non ce lo figuriamo certo come un piano di clivaggio chirurgico che scinde l’Io in due parti, ma nella disgregazione di nuvole di tentativi o moduli di memoria che perdono le loro connessioni.
All’improvviso, durante una seduta connotata dalla verbalizzazione di materiale abbastanza noioso e ripetitivo verbalizza: “Non so perché, ma mi è venuta in mente improvvisamente una parola che mi rimbomba nella testa: EPISTAFFIO”. Non so nemmeno cosa possa significare”
Potete comprendere quanto il passo successivo sia stato breve come scontato: l’enucleazione dalla fusione dei due termini epistassi ed epitaffio, il primo a descrivere il sintomo attuale che trova insopportabile nella madre, che aveva per fortuna superato il cancro pur strutturando uno stato perenne di malattia polimorfa, il secondo a descrivere la qualità degli affetti nutriti inconsciamente.

In micropsicoanalisi non si parla più di conscio, preconscio e inconscio come di compartimenti, bensì di livelli strutturali 2 : l’inconscio è il primo livello di strutturazione e le rappresentazioni e gli affetti ne sono i moduli elementari, i quanti, per rimanere alla metafora della presente relazione, che si connettono in nuvole di tentativi, più o meno coerenti e strutturati, in perenne ricerca dell’energia necessaria per attualizzarsi alla coscienza e manifestarsi come oggetti vincolati nel qui ed ora.
Quanto mai suggestiva di riflessione risulta dunque essere l’affermazione di Pierre Codoni secondo la quale “le leggi dei processi quantistici coincidono con le caratteristiche del processo primario di Freud” 3 .
Incessantemente nell’inconscio si formano fluttuazioni di tentativi in cerca di attualizzazione e di vincolamento, un’infinità di oggetti microscopici infiltra in continuazione il preconscio cercando una raprresentabilità nel conscio. Il contatto con quest’ultimo sistema, legato a modalità di funzionamento deterministiche proprie del processo secondario, determina il collasso della funzione d’onda della nuvola di probabilità e fa precipitare un dato osservabile, la rappresentazione conscia, che è, in realtà, l’attrattore di una serie di possibilità di significato che giacciono nel mondo del tutto è possibile dell’inconscio.

Written by: Quirino Zangrilli © Copyright

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NOTE:

1 Sigmund Freud, Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1904, Boringhieri, 1986. Up!
2 Daniel Lysek, Relazione tra sogno e psicopatologia dal punto di vista micropsicoanalitico, Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, n° 29-30, Tirrenia Stampatori, Torino, 2001. Up!
3 Pierre Codoni, Psicofisiologia del sogno, Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, n° 27-28, Tirrenia Stampatori, Torino, 2001. Up!