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Mentre mi lavo le mani, lo sguardo cade sulla mia mano sinistra; è grassoccia e mi ricorda quella della mia mamma. Poi da lei il pensiero passa alle mani di mio fratello; anch’esse sono grassocce.
Tramite le mani. cioè un particolare del corpo, riconosco il legame che esiste tra mia madre, mio fratello e me. Sono una forma che risente molto della componente genetica oltre che dell’attività fenotipica, cioè sono mani con una precisa conformazione anatomica e liscie poiché non compiono lavori pesanti .
Ecco un bell’esempio di un analisi del dettaglio che permette di scoprire il legame associativo tra oggetti. Le rapprentazioni di tre oggetti “mano” sono collegate fra di loro.
Tre rappresentazioni consce, una percezione e due ricordi, sono collegate fra di loro da un legame associativo definibile in termini di mano anzi di “manina di mammina e fratellino” che si estende a me stesso e a tutti coloro che sono classificabili in termini di forma di “manina”, cioè che presentino tale particolare.
Questa indagine sul dettaglio può essere molto utile nelle sedute di micropsicoanalisi durante la rievocazione anche stimolata dalle fotografie specialmente se molto ingrandite.
La persona in analisi può rendersi conto dei legami percettivi che ho messo in evidenza durante l’esplorazione involontaria di un particolare del mio corpo allo stesso modo in cui ho fatto io, direttamente dal confronto di un percetto e dalle sue rappresentazioni oppure, come ho detto, durante lo studio delle fotografie.
Inevitabilmente non si tratterà di una scoperta completamente neutra, come può succedere, almeno consciamente, in un laboratorio di studi sulla percezione dei movimenti della mano ma porterà con se una parte di affettività; di sentimenti collegati agli oggetti.
Il fatto di definire la mano “grassoccia” e “manina della Mammina” implica un’attitudine sentimentale verso l’oggetto estremamente evocativa e trasmissibile ad altri oggetti, anzi diirei “personaggi”.
La manina grassoccia diventa simbolo di un insieme di affetti e segni parentali estensibili in senso generale ad oggetti identificati tramite l’elemento simbolico.
Il problema è il seguente: codesto oggetto (la manina) conserva la sua valenza affettiva anche se viene scomposto nelle sue componenti elementari, oppure no?
Messo in altre parole il discorso diventa:
1) Ogni componente della manina conserva l‘indicazione associativa del sentimento;
2) oltre un certo grado di scomposizione la struttura percettiva che mantiene l’affetto cede e la manina non è più riconosciuta?
Vale a dire un dito grassoccio di quella manina grassoccia verifica ancora l’omogeneità degli oggetti oppure no?
Forse in casi particolari. Certo l’associazione ad un dito grassoccio, mi fa venire alla mente la mano di mia madre con uno specifico anello, ed altro… , ma non verifica la similitudine con mio fratello a meno che cerchi di ricordare il suo anello matrimoniale, e lo stesso per me. Quindi oltre un certo limite di scomposizione il sentimento cede, e si ricompone quando la forma detta di manina, si ricostituisce. L’indicatore diventa il dito con l’anello ma non è puramente percettivo è piuttosto un’operazione cognitiva di ricostituzione dell’oggetto evocatore; cioè è la ricerca di una ripetizione che provoca un affetto simile a quello originario, vale a dire a quella della prima percezione.
Questo discorso in apparenza ozioso è di una grande importanza per la psicoanalisi e specialmente per la micropsicoanalisi.
Esso introduce anche il limite teorico tra associazionismo e strutturalismo gestaltico sempre nel campo delle relazioni tra esseri umani analizzabili con le tecniche psicoanalitiche.
La psicologia della Gestalt è contraria alla concezione degli elementi psichici propria dell’associazionismo e afferma la priorità della struttura sugli elementi che la compongono. Cioè è solo la struttura che provoca il riconoscimento dell’affetto. 
Avevo scritto che la forma della manina implica il formarsi e l’insorgere di un sentimento valido per certi famigliari ma estensibile anche ai personaggi identificabili con tale particolarità, diventa cioè un attributo che qualifica il tale o il tal altro personaggio.
Per fare un esempio il signor X nota la manina di una certa signora e se ne innamora e la sposa.
Ha sposato una percezione con tutto il suo contorno affettivo.
Si può dire che un elemento dell’insieme oggettuale (elemento manina), cioè la forma dell’insieme percettivo, ha piegato la situazione e ha creato una risposta specifica.
La stessa cosa può succedere a teatro durante una recita.
Un personaggio può attrarre o respingere uno spettatore per un particolare: un modo di gesticolare specifico per esempio che rievoca i movimenti di un oggetto familiare preconscio. La qualità del sentimento che quello spettatore investe sul personaggio sarà influenzata dal rapporto dello stesso con l’oggetto familiare e viceversa. Cioè l’introiezione della qualità del personaggio interpretato dall’attore potrà mutare il rapporto con l’oggetto originario. È un fenomeno simile a ciò che succede nel transfert durante una psicoanalisi.
Utilizzo un esempio di cui mi ero gia servito in un articolo intitolato “Lo spettatore bambino”.
L’ esempio pratico è tratto dal materiale di una giovane signora in trattamento micropsicanalitico. Con questa signora, seguendo la tecnica scoperta da Silvio Fanti, stavo procedendo allo studio del materiale fotografico suo e di famiglia.
Lo spostamento della ricerca sul canale visivo aveva attivato delle angosce arcaiche vincolate agli impulsi scoptofiliaci e alle curiosità infantili. Angosce basate specialmente sul trauma della scena primaria e dei vissuti iniziatici intrauterini 1 .
Nella situazione transferale, l’analista era diventato un oggetto pericoloso che riassumeva le situazioni di pericolo della vita infantile. Tale vissuto era espresso in vari modi, quindi anche in sogno.
« … Ho fatto un brutto sogno, c’erano delle brutte facce. Delle statue, mezzi busti che litigavano tra di loro… Tutto si trasformava… Queste teste si trasformavano, assumevano il volto di altri personaggi… ». L’onda emozionale portò la signora a esprimere la sua aggressività verso la madre e a rievocare una serie di ricordi infantili preconsci: « … Quando ero piccola a volte durante la notte mi svegliavo, avevo fatto un brutto sogno, allora andavo nel letto di mia madre e mi riaddormentavo con la testa appoggiata sul suo seno… In quei sogni mi sentivo inseguita, da gente armata di coltello, da persone che si trasformavano. Cera un passaggio di personaggi sulla stessa faccia (ecco che cosa è l’attore, la faccia di un personaggio)… Facce terribili, mostruose, che mi inseguivano, persone armate di coltelli che facevano stragi… Il sangue scorreva a fiumi… io correvo, correvo, correvo… ». Dopo un silenzio di molti minuti la signora riprende a parlare con voce flebile e angosciata: « … riprovo l’angoscia che provavo in quella corsa durante la quale ero certa che l’inseguitore mi avrebbe raggiunto… ». Non è difficile riconoscere in queste parole il senso di ineluttabilità che deriva dalla spinta pulsionale che essendo endogena è continua e inarrestabile. La pulsione perseguita, e il tentativo di riconoscerla, di antropomorfizzarla, di darle una faccia precisa, è una grande impresa creativa come la stesura di un’opera di teatro.
La pulsione che alimenta incessantemente i desideri rimossi (nel caso specifico desideri di distruzione), la pulsione che perseguita: ecco la base energetica dell’immagine del persecutore la cui esteriorizzazione ha ispirato moltissime opere letterarie e teatrali.
Il mondo esterno, e le situazioni di esperienza filogenetiche e ontogenetiche procurano la forma che induce l’appercezione (cioè una percezione endogena) di un qualsiasi persecutore concreto, definibile. Una persona, un animale, una situazione.
Questo è il movimento dall’interno all’esterno: quello contrario ha bisogno di una forma addatta a richiamare l’affetto come nell’esempio dell’elemento manina. L’affetto è interno ma non può materializzarsi se non trova la forma addatta che serva a ricostruire la situazione, che poi può essere la forma della coazione a ripetere.
La rappresentazione culturale della pulsione aggressivo-sessuale, nei suoi aspetti di morte e di vita. Una maschera che dà un corpo a una delle sfaccettature dell’immagine.
Se tale maschera viene indossata da un attore che agisce in teatro lo spettatore identificandosi a esso può per un momento allontanarsi dall’angoscia. La funzione apotropaica della maschera è nota a tutti. In origine le maschere erano funerarie, tramandavano la memoria degli antenati, poi attraverso la trasformazione dionisiaca divennero vere e proprie maschere teatrali indossate da attori. Ebbero così origine i due tipi fondamentali di maschera: quella tragico-drammatica e quella comico-grottesca. Poi gli attori si tolsero la maschera e le sfumature tra i due poli divennero più fini e dettagliate nelle loro combinazioni.
Il bambino che assiste a uno spettacolo partecipa con il suo mondo interno alla vita della maschera oppure non la riconosce e la ignora.
Voglio dire che i meccanismi di identificazione-imitazione nel bambino sono più assoluti che nell’adulto anche se in entrambi i tipi di spettatore lo spettacolo diventa interessante quando vincola il rimosso e dà una forma all’Immagine. L’Immagine, che come scrive S. Fanti è l’insieme geneticamente organizzato delle rappresentazioni e degli affetti che strutturano l’inconscio a partire dall’es, 2 è il veicolo per mezzo del quale il passato dell’uomo e della specie si unisce e prende un corpo nel presente. Per l’Immagine tutto è sempre presente, è per questo che il Personaggio è eterno e sempre presente. Il personaggio materializza le sfaccettature dell’Immagine.
L’Immagine, per mezzo del Personaggio viene proiettata come una diapositiva e poi ritirata e poi ancora proiettata e le situazioni e le persone che ne diventano lo schermo e il corpo (gli attori) la antropomorfizzano, e come nel sogno la rendono conoscibile. L’adesione ai sentimenti espressi dallo spettacolo è ciò che ce lo fa vivere come nostro, e tale adesione avviene se dà una forma alla tensione interna derivata dalle situazioni traumatiche rimosse e raccolta nell’Immagine.
C. Musatti ha trattato magistralmente la relazione tra i Personaggi e la realtà quotidiana nel suo, Psicoanalisti e pazienti a teatro, a teatro! 3
Un libro molto profondo , che si legge con vero piacere e che ci insegna come il passare del tempo e l’allontanamento della realtà contingente acceleri il processo che avviene sul palcoscenico dove certi personaggi diventano Personaggi e si eternizzano.
Si forma lo stesso rapporto che c’è tra immagine con la i minuscola e Immagine con la I maiuscola.
L’immagine con la I maiuscola si inserisce in una dimensione che ha le stesse caratteristiche astratte ed eterne dell’Eterno. Quando si manifesta usa degli elementi concreti, vedi il fuoco nel roseto ardente, che rappresentano le sue qualità specifiche senza le quali sarebbe invisibile ed inudibile.
Dio in quanto Immagine si manifesta con uno dei vecchi attributi della sua immagine (rappresentazione), il fuoco.
L’Eterno non ha nome ma se lo chiami con il nome di una divinità vulcanica ,Yahwe, si manifesta con il fuoco, un suo attributo .
In una delle sue lettere, il poeta Angelo Barile scrive al cugino Giovanni 4 riferendosi ad una lettera di un amico che gli parlava di una visita a Pontinvrea : “…Fra l’altro, c’era una epistola di Enrico di 10 pagine (le sue lettere sono semplicemente meravigliose!) nella quale mi racconta la sua gita al Ponte nei minimi particolari.
Sulla traccia delle sue parole, ho rivisto anch ’io la tua bella casetta (v. l’aria della Tosca…) con il largo prato davanti e, accanto, il torrente rumoroso: ho ripensato e rivissuto qualche ora di conversazione dolce e di cara intimità, e mi son chiesto inutilmente perché la… vicinanza ci allontani e la lontananza ci riavvicini. 
Non so se questo mio giuoco di parole sia comprensibile, ma so che noi abbiamo preferito ricordarci l’un l’altro alla distanza di 500 chilometri e non a quella di 50 metri.
Non volevo scriverti queste parole: sono sdrucciolate inconsciamente dalla mia penna sulla carta bianca, e adesso vi restano non forse come un rimpianto, ma piuttosto come un augurio, non per il passato ma per l’avvenire. E parliamo d’altro…”.
La frase in evidenza l’ho sottolineata io e un’altra cosa voglio sottolineare: quando scriveva queste frasi Angelo aveva circa 20 anni e Giovanni 18. Era l’undici agosto del 1908, Freud aveva pubblicato L’interpretazione dei sogni nel 1900 e non credo vi fossero molte persone di 20 anni ad usare il concetto di inconscio.
Evidentemente, da poeta, percepiva il passaggio dallo stato di attributo a quello di Immagine, favorito dal fatto che la distanza cancellava la percezione e favoriva l’avvicinamento all’indifferenziato. Non più Giovanni l’amico percepito per lettera tramite l’attributo “casetta” ma l’Amico, il Personaggio, a cui si scrive sia pur con sentimento ma sentimento letterario, quindi astratto.

© Nicola Peluffo

Videografica Q. Zangrilli ©

Note:

1 Per vissuti iniziatici intrauterini si intende che l’embrione-feto non è inerte all’interno della madre, ma ha delle modalità di manifestazione che a volte si scontrano con quelle della madre, quindi si crea una situazione, che S. Fanti , definisce di « guerra ». 
2 Fanti Silvio, Dizionario di Psicoanalisi e Micropsicoanalisi, Borla ,1984, Roma. 
3 Musatti Cesare, Psicoanalisti e pazienti a teatro, a teatro!, A. Mondadori editore, 1988, Milano. 
4 Peluffo Nicola, Da Angelo a Giovanni, Marco Sabatelli editore, 2008, Savona.