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Alexandre Benois. Petrouchka, de Igor Stravinski. 1920Il linguaggio verbale subentra in uno stadio già molto avanzato dello sviluppo psico-motorio dell’essere umano senza, per altro, che il bambino abbia incontrato difficoltà alcuna a comunicare la sua esistenza e le sue esigenze primarie all’ambiente. In effetti il neonato ha a disposizione una vasta gamma di possibilità espressive prima che apprenda a parlare: sorrisi, mimiche, atteggiamenti, grida, movimenti ritmici.
L’uomo ai primi stadi del suo sviluppo si esprime con il corpo; i primi gesti utili al bambino sono i gesti di espressione, segnali fondati su patterns ereditari finalizzati a sollecitare nell’ambiente circostante la necessaria attenzione e gratificazione dei bisogni.
Solo più tardi, nel corso dello sviluppo, l’uomo apprenderà che non sempre è opportuno lasciare libera espressione alle sue esigenze e che non sempre queste potranno trovare soddisfazione. Gradualmente, con il germogliare del linguaggio verbale, il bambino si renderà conto che questo è di gran lunga più disciplinabile di quello motorio e di quello mimico, più autentici per antonomasia, giacché non vi è alcuna perturbazione affettiva che non si mostri nell’atteggiamento e nella mimica del soggetto turbato.
Ad un certo punto dell’esistenza umana, specie nell’occidente industrializzato, si verifica una drastica rimozione: tutti continuano ad esprimersi anche con i gesti, le mimiche, le posture, ma l’espressione corporea cessa di avere alcuna dignità o valore di comunicazione, diviene un “incidente”, un “disturbo” e, prima o poi, deve inchinarsi alla supremazia della parola, unico strumento comunicativo legalizzato. In altri termini l’uomo perde qualcosa che prima possedeva, senza contropartita alcuna. Perché, si noti bene, il linguaggio verbale e quello del corpo, non sono equivalenti ed interscambiabili: anche le più superficiali osservazioni portano alla conclusione che essi attingono a campi diversi.

Il movimento, oltre a rappresentare un mezzo di comunicazione, è anche un fondamentale strumento per estendere la conoscenza di sé e del proprio ambiente. Infatti, accanto a movimenti che si esprimono con una motricità non finalizzata, ma rispondente al bisogno stesso di movimento (scarica motoria indifferenziata finalizzata alla dissipazione di accumuli energetici), assumono, specie nel bambino, un grande valore le condotte di esplorazione che rispondono al bisogno epistemofilico: movimento, dunque, come fonte di sapere. Questa affermazione si sostanzia meglio se spostiamo la nostra attenzione sul gioco, un’altra fondamentale attività del bambino, tanto importante nella corretta strutturazione dell’equilibrio psicosomatico quanto lo è il movimento nei primi mesi di vita. Anche il gioco, al pari dell’espressione corporea, scompare nella vita dell’adulto; per lo meno gli viene negata dignità alcuna e, qualora si presenti, anch’esso viene correntemente indicato come una “difficoltà”, diviene un sintomo, un segnale.
Nicola Peluffo, tra i tanti contributi innovativi che pioneristicamente, grazie alla profonda integrazione tra epistemologia genetica (appresa personalmente dal Maestro Piaget) e psicoanalisi freudiana, ci ha regalato, ci ha indicato recentemente un altro filone di ricerca, individuando una fenomenologia inconscia definita “Bimbo”. Peluffo definisce Bimbo “…Quella parte dell’adulto in cui rimangono incistati i residuati dell’infanzia…” 1
Il gioco non è esclusivo appannaggio della specie umana: esso è comune sia all’animale che all’uomo. Eppure il gioco umano ha una sua specificità, in quanto non si limita alla liberazione di semplici scariche motorie, né solo a semplice attività di esplorazione. Nella attività ludica è insita la “funzione di simulazione” 2  che, nello specifico, rappresenta il più alto livello della funzione di conoscenza e di apprendimento: “La funzione immaginativa o di simulazione non è orientata verso la padronanza dell’oggetto, ma implica, al contrario, il ritorno del soggetto su se stesso provando piacere della sua attività e creando un mondo fittizio in cui tutto avviene secondo i propri desideri disponendo di tutte le forze della vita affettiva. Il gioco, come l’attività adattativa, è una condotta mediante la quale tende a realizzarsi un certo equilibrio tra mondo interno e mondo esterno“. 3
Dunque nel gioco del bambino, ed anche in quello dell’adulto, riprendono vita e cercano una realizzazione, quei desideri inibiti all’azione che hanno costellato l’infanzia e che sono stati rimossi.
Credo che sia proprio questa parziale realizzazione mascherata la fonte del godimento insita nell’attività ludica.
The zoopraxiscope* - a couple waltzing Senza addentrarci troppo in questo argomento, possiamo limitarci a considerare come quanta parte dei desideri rimossi sorti in età preverbale, possano trovare una realizzazione privilegiata nell’attività motoria, più o meno ritualizzata, negli sport e nella danza.
Dal punto di vista operativo della psicoanalisi questo fatto implica l’esistenza e la conservazione di tracce traumatiche (vedi l’articolo di Nicola Peluffo, Formazione e conseguenze di una traccia traumatica, apparso su questa Rivista) che non hanno corrispettivi codici verbali che le descrivano, bensì patterns motori che le accompagnano, di difficle riconoscimento nello svolgimento di un’analisi, ma che andrebbero adeguatamente studiate.
Già Peluffo introdusse in clinica l’interessante strumento del posturogramma a sottolineare l’importanza dello studio della mimica e del movimento. 4
La ripetizione di un determinato movimento nella danza piuttosto che in uno sport, se sul piano razionale ha il compito e la funzione di affinare l’efficienza del gesto ai fini delle prestazioni, sul piano profondo spesso corrisponde alla realizzazione di un bisogno/desiderio di abbassamento di tensione. Una tensione, beninteso, risalente ad una traccia traumatica memorizzata nell’inconscio e pertanto sempre potenzialmente riattivabile.
Nel caso in cui il motore della ripetizione sia un vissuto traumatico, è evidente che, per l’esistenza della coazione a ripetere, l’agognata distensione non si raggiunge mai.
La ritualizzazione del movimento in modo altamente formalizzato (spesso sono ravvisabili negli atleti degli evidenti rituali ossessivi che precedono la performance) da una parte rappresenta una sublimazione di spinte aggressivo-sessuali, dall’altra un più o meno efficace compromesso di vincolamento tensionale. 5
Questa considerazione, da un punto di vista clinico, rende ragione della notevole difficoltà di arrivare alla dissoluzione totale dei conflitti in soggetti caratterizzati da sublimazioni motorie come i danzatori o i ginnasti.

Written by: Quirino Zangrilli © Copyright

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Note:

1  Le manifestazioni del Bimbo nella dinamica transfert-controtransfert, Scienza e Psicoanalisi, settembre 2006. 
2  J. Le Boulch, Verso una scienza del movimento umano, 1975, Armando Armando Editore. 
3  J. Le Boulch, ibidem. 
4  N. Peluffo, Per un posturogramma della seduta, Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi n.1, Diffusioni grafiche Villanova Monferrato (AL), 1985.
Consulta anche l’articolo di Luigi Baldari “La postura” pubblicato su questa stessa rivista. su!
5  Ringrazio le Colleghe Bruna e Gioia Marzi per il contributo datomi per la messa a punto di questo concetto. su!