Relazione presentata al simposio organizzato dal Dott. François Jeanparis a Champagnole il 3 dicembre 2022. Il tema di questo simposio era La percezione e i suoi misteri. Dialoghi tra arte e psichiatria (La perception et ses mystères. Dialogues entre art et psychiatrie).

“La bellezza salverà il mondo”. Questa famosissima frase è pronunciata dal principe Mychkine, il personaggio principale de “L’idiota” di Dostoevskij. È stata espressa in tutte le salse, ma bisogna leggere il seguito per non dire troppe sciocchezze su di essa: «È vero, principe, che una volta hai detto che la “bellezza” salverebbe il mondo? Signori, egli urlò prendendo tutta la società a testimone, il principe pretende che la bellezza salverà il mondo! E io sostengo che, se ha idee così stravaganti, è perché è innamorato»[1]. Infatti, non ci si può immaginare “la bellezza” in sé. Usata da sola, l’espressione non ci evoca nulla. La parola “bellezza”, scritta o pronunciata da sola, fa eco a un assoluto, si confronta a qualche cosa di non rappresentabile. È perché non è relativa – perché non fa riferimento a qualche cosa – che non è rappresentabile, a meno di sconfinare nella metafisica: l’espressione bellezza evoca un assoluto, qualcosa di mistico. Del resto i commentatori di Dostoevskij dicono che questa espressione ha un senso religioso sotto la sua penna. Sarebbe per questa ragione che l’autore l’avrebbe collegata a “salvare il mondo”. Noi poveri esseri umani abbiamo delle capacità di rappresentazione troppo limitate per cogliere la bellezza in sé stessa! Possiamo comprenderla solo facendola entrare nelle tracce psichiche delle nostre percezioni. Così, si coglierà la bellezza di una donna, di un paesaggio, di un gesto, di una poesia o di un’opera d’arte. Anche se il linguaggio può dire di certe donne: sono di grande bellezza, come Venere e le tre grazie dipinte da Botticelli.[2]

Vénus et les trois Grâces offrant des présents à une jeune fille - Sandro Botticelli - Musée du Louvre Peintures RF 321

Vénus et les trois Grâces offrant des présents à une jeune fille – Sandro Botticelli – Musée du Louvre Peintures RF 321

Significa che sono molto belle, ma che un’altra potrebbe essere ancora più bella. Al massimo, si può pensare che sia un’incarnazione del concetto di bellezza. Facendo prendere corpo alla bellezza, possiamo rappresentarcela. In effetti, per concepire la bellezza, occorre che essa provochi risonanze in noi, che sia associata a emozioni o sentimenti e soprattutto a rappresentazioni, sedimenti di esperienze vissute e del nostro bagaglio culturale.

In breve, la bellezza come assoluto non può che risuonare con una dimensione spirituale, metafisica, persino con l’idea di trascendenza. Quando diciamo di una persona o di una cosa che è “bella”, siamo nel relativo, perché siamo nel dominio soggettivo. Però, come correlare questa soggettività con la percezione?

Una precisazione prima di proseguire. Non mi avventurerò nel campo delle allucinazioni; qui m’interessa la gente comune, cioè le persone normo-nevrotiche.

In analisi si lavora sulla soggettività della persona e si cerca di individuare i vissuti che ne sono alla base. Ecco alcuni semplici esempi: una persona ha la fobia dei treni. Quando questa persona era bambina, nel suo Paese i treni erano ancora a vapore; durante l’analisi ha ricordato che, proprio durante l’infanzia, suo padre respirava pesantemente quando era arrabbiato, cosa che la spaventava. Nella psiche di questa persona, la carica emotiva legata alla paura del padre si è spostata sulle locomotive a vapore e poi su tutti i treni. Ma l’aspetto interessante è il seguente: la fobia è iniziata con la percezione del respiro del padre poi si è spostata su un’altra percezione, il vapore della locomotiva.

Ecco un altro esempio: una donna soffre del seguente disturbo ossessivo compulsivo: dopo essere uscita da casa, ha la sensazione di aver dimenticato di chiudere il gas.

 L’analisi le ha permesso di accedere a un’esperienza che fino a quel momento era stata completamente rimossa. Da bambina aveva giocato con le manopole della cucina a gas e il gas era fuoriuscito. L’analizzata ricorda che sua madre, quando tornò a casa, gridò: “Qui c’è odore di gas”. Entrò in cucina in preda alla rabbia e le diede uno schiaffo così forte che sulla guancia rimase un segno rosso. In questo caso, il disturbo ossessivo-compulsivo è causato da una combinazione di percezioni: l’odore di gas, gli occhi furiosi della madre, il suo gesto violento, il dolore alla guancia.

Generalizziamo. Tutto indica che c’è qualche cosa di reale all’origine dei contenuti inconsci. Più precisamente, l’inconscio si costruisce da percezioni interiorizzate che risuonano con contenuti già presenti nella psiche. La traccia della percezione si trasforma così in esperienza. La qualità di questa esperienza dipende, ovviamente, dalla natura di ciò che è stato percepito. Però, dipende anche, e a volte soprattutto, dalla risonanza psichica provocata dalla percezione. Attenzione: se, nel corso di un’analisi, ci concentriamo troppo sulla percezione in sé, rischiamo di cadere nella trappola di una sorta d’indagine poliziesca! Questi due esempi lo mostrano, l’analisi non evidenzia ciò che è stato realmente percepito, ma solo la sua traccia soggettiva, è quella che si può elaborare durante la seduta. Insisto, l’esperienza è solo una traccia distorta dell’evento. In analisi, lavoriamo sugli effetti interni della percezione, non su essa come elemento oggettivo.

Prendiamo l’esempio di una persona “normale” che, mentre è in montagna, incontra una vipera sul suo cammino. Spaventata, questa persona cambia rapidamente direzione per mettersi al riparo e poi smette di preoccuparsi dell’incidente. Immaginiamo, invece, che questa persona abbia avuto un genitore con la fobia dei serpenti e che le abbia detto mille volte di fare attenzione in montagna, perché è piena di serpenti velenosi. La percezione di un serpente sul proprio cammino entrerà in risonanza con ciò che il genitore gli ha detto più volte. Questo può causare uno shock psicologico. La montagna può quindi diventare un simbolo di pericolo e la persona può sviluppare la fobia di camminare in montagna.

Torniamo al discorso principale. Ho parlato di risonanza per descrivere ciò che avviene tra la percezione e l’esperienza. Questo fenomeno non richiede alcun lavoro mentale; è automatico, basato su un meccanismo di azione-reazione. Quindi non ci interessa molto quando si parla di creazione. A differenza di ciò che accade dopo. Se alla trasformazione della percezione in esperienza non segue alcun lavoro psichico, possiamo supporre che si sia verificato un trauma e che questo abbia bloccato l’elaborazione psichica: la strada dell’elaborazione è stata tagliata alle porte della psiche, all’esperienza è stato vietato di rimanere. Se la carica emotiva è pesante, può insorgere uno stato di stress post-traumatico, con tutte le conseguenze che conosciamo. Non mi soffermerò su questo aspetto, perché ho scelto di concentrarmi sulla creatività. Al contrario, può portare a un’intensa elaborazione psichica che produce una nevrosi… o un’opera d’arte! Molte opere di Salvador Dalì lo dimostrano, come questa famosa tela.

Dal punto di vista teorico, la psiche può metabolizzare in tre modi le rappresentazioni e gli affetti legati all’esperienza. Quali sono questi tre percorsi? C’è un percorso psicopatologico, un percorso fisiologico e un percorso creativo. Perché ho detto teoricamente? Perché in realtà i condizionamenti ereditati dalla storia del soggetto ne rendono spesso disponibile solo uno. E quando è la peggiore strada a essere presa c’è il rischio che la persona si senta ansiosa, colpevole, depressa… o che finisca nello studio di uno psicologo! Non sono in grado di dirlo, ma ci sono cose peggiori che andare da uno psicanalista!

Prima di descrivere questi tre percorsi, vorrei ricordare che, in questa fase, la percezione non è più il fattore principale. Cominciamo con il percorso della psicopatologia. Intraprendere questo percorso non sarà una gioia quotidiana! E purtroppo è la sorte quotidiana di molte persone.

La strada della psicopatologia è l’unica possibile quando l’esperienza è strettamente legata a un contenuto represso che è fonte di conflitto psichico. Ad esempio, un complesso di Edipo irrisolto darà origine a desideri inconsci inaccettabili, costringendo la psiche a erigere difese – anch’esse inconsce – contro di essi; la pressione del desiderio che urta contro i divieti produrrà sintomi nevrotici. Un altro esempio è l’avidità legata a un vissuto orale traumatico. Tale avidità può generare un’esperienza di abbandono. Il rischio sarà allora di trovarsi di fronte a una difficoltà a soddisfare il desiderio, da cui il conflitto. In un altro caso, potrebbe essere la fase anale a creare un trauma. Questo genererà aggressività e rabbia, di cui l’inconscio conserva la memoria. Ciò richiederà difese nevrotiche per consentire a una vita sociale armoniosa.

Se l’esperienza non è troppo conflittuale, la sua carica si riverserà inosservata nelle attività quotidiane, nei sogni, nella sessualità, nelle piccole aggressioni… In breve, questo percorso utilizza i meccanismi della nevrosi o della malattia psicosomatica (tralascio la psicosi, che ha un’origine diversa).

Vengo ora al secondo approccio. È molto più preferibile, ma non è sempre disponibile. Sì, la psiche fa quello che può e niente di più. Se è ipotecata da traumi o se al suo interno si scatena una feroce battaglia tra entità opposte, si imbocca la strada della psicopatologia. Nella migliore delle ipotesi, questo porterà a sintomi nevrotici. Nella migliore delle ipotesi, perché potrebbe esserci di peggio!

Ecco come si presenta una situazione psicologica favorevole alla seconda via. Da un lato, la percezione non s’intromette nella psiche in modo traumatico. Dall’altro, la percezione entra in contatto con contenuti psichici non troppo conflittuali. In questo modo, le rappresentazioni e gli affetti di questa esperienza potranno svilupparsi normalmente. In altre parole, saranno trattate da meccanismi psicologici non nevrotici. Ciò può consistere nell’integrarli in un sogno o nel renderli adatti a essere proiettati nella realtà in modo naturale, per esempio sotto forma di un’attività di svago o di una attività professionale armoniosa.

In breve, questa forma di sviluppo mentale tiene conto dei bisogni naturali dell’individuo, delle relazioni con gli altri e dei valori sociali e culturali.

Passiamo al terzo percorso, che ci riporterà alle nostre pecore, questa volta sane. Si tratta, ovviamente, del percorso che porta alla creazione. Non tutti sono creativi, né quando lo desiderano. È un’ovvietà: la creazione è un processo complesso che richiede specifiche condizioni interne ed esterne.

La creazione richiede ovviamente un’elaborazione psichica più sofisticata rispetto alla via fisiologica. Certo, coinvolge anche l’inconscio, come nel caso dei primi due percorsi che ho citato. Ma richiede di più. Deve entrare in risonanza con esperienze che favoriscono la creazione. Vediamo questo aspetto in dettaglio.

Il primo passo verso la creazione, come abbiamo visto, è costituito dalle percezioni, che possono essere di origine esterna o interna. Per dare origine a una creazione, queste percezioni devono entrare in risonanza con le rappresentazioni psichiche, le emozioni, i desideri e le esperienze di benessere inscritte nella psiche. Un po’ astratto, direte voi! È vero, scusatemi, avrei dovuto dirlo più esplicitamente.

Per dare luogo a una creazione, la percezione deve trovare un’eco nell’inconscio del soggetto, ma non con qualsiasi cosa. L’impulso a creare è attivato dalla risonanza con due categorie di contenuti psichici. La prima categoria è costituita dal ricordo di esperienze piacevoli che hanno dato luogo a un piacere duraturo. In effetti, questa risonanza provoca la riattivazione di questa memoria e ci spinge a riprodurre il piacere che abbiamo provato un tempo. Ma le condizioni non sono più le stesse e bisogna riprodurlo in modo diverso, adattandolo al presente: da qui l’impulso a creare. La seconda categoria di contenuti psichici che viene messa in risonanza è la memoria culturale del soggetto, cioè ciò che gli è stato trasmesso dalla civiltà e dalla società, oltre a ciò che il soggetto ha appreso e sviluppato da solo.

In breve, c’è una risonanza tra l’esperienza attivata dalla percezione e la memoria delle esperienze di benessere. Almeno, è così che Daniela Gariglio e io abbiamo formulato il modello del processo creativo.

Come siamo arrivati alla conclusione che le esperienze di benessere innescano un movimento verso la creazione? In primo luogo, perché quando si analizza un atto creativo durante una seduta, le libere associazioni portano a ricordare tali esperienze. In secondo luogo, perché la creazione procura un senso di rilassamento, una sensazione piacevole che ci sembra l’eco di uno stato di benessere riattivato nella psiche. E questo è vero anche se il processo creativo è stato difficile, doloroso o addirittura tortuoso. E anche se non ne siamo soddisfatti. Una certa riduzione della tensione è sempre presente, accompagnata da una sensazione di piacere, almeno minima.

Poiché si tratta di un processo complesso, vale la pena di descriverlo nuovamente, questa volta in modo leggermente diverso. La prima fase della creatività è l’attivazione di una memoria di benessere. Poi deve avvenire un’elaborazione psichica. Ora, per sfociare nella creazione, questa elaborazione deve assumere una forma particolare, che abbiamo chiamato elaborazione ricombinativa. Si tratta di una forma sofisticata di elaborazione psichica, un percorso che va dal desiderio alla sua realizzazione attraverso la creazione, un percorso che prevede la messa in relazione di diverse esperienze immagazzinate nella psiche, rappresentazioni mentali, emozioni e sentimenti tra loro e con i fattori socio-culturali. Questo complesso processo porta alla formazione di un oggetto psichico originale, che è la matrice di una creazione.

Bene. Questo spiega il movimento creativo. Ma questo meccanismo generale non dice se la creazione sarà artistica o meno. L’interpretazione analitica può far luce sull’arte senza “rubare”, come dicono oggi i giovani, l’emozione e la catena di significati che essa suscita? No. Anche se l’analisi riesce a far luce sui meccanismi intimi della creazione, la genesi di un’opera d’arte conserverà sempre un elemento insondabile.

E cosa è artistico e cosa no? Chi può dirlo? Affermare che il punto di riferimento è ciò che si trova nei musei, nei capolavori letterari o nei brani musicali sublimi sarebbe troppo restrittivo e ingiusto nei confronti di tutti gli sconosciuti e gli artisti dilettanti che sono i lavoratori dell’arte. Lasciare che siano i galleristi, i professori di letteratura o i direttori d’orchestra a decidere sarebbe altrettanto ingiusto.

Nell’arte c’è certamente una ricerca estetica, ma il risultato non è necessariamente bello. Pollock, Bacon o Lucian Freud hanno certamente cercato una certa estetica, ma si sovrappone alla nozione di bellezza?

 Per descrivere queste opere, preferirei parlare di emozioni significanti [3]. Mi piace questa definizione. Non è mia. L’ho presa in prestito da un critico d’arte che ho sentito parlare a una conferenza, ma che, mi perdoni, ne ho dimenticato il nome!

L’arte può essere definita? Jacques Hainard, ex direttore del Musée d’ethnographie di Neuchâtel, pensava di no. Intitolò addirittura una mostra dedicata all’arte: “L’art c’est l’art” (L’arte è l’arte), perché pensava che non si potesse dirne più di questo, o che ci sarebbero voluti infiniti scaffali di libri per esaurire l’argomento. Fanti fu un po’ più audace quando scrisse che l’arte è “una magia di tentativi nella speranza d’eternità”. [4]  Questa definizione indica giustamente che una creazione può solo essere definita artistica se risponde almeno a una ricerca di assoluto. Ha purtroppo il difetto di rinviare alla bellezza attraverso la parola “magia”. Eppure l’arte contemporanea si è liberata dalla ricerca della bellezza.

Possiamo tuttavia dire che l’arte sia la bellezza che salverà il mondo? Magari! Però, dobbiamo chiederci perché dovrebbe avere il compito di salvarlo. Sembra che ci abbia rinunciato. In effetti, si è liberata dalla bellezza! Allora niente salverà il nostro pianeta dalla catastrofe verso cui si sta dirigendo? Forse qualcosa lo farà.  E per questo non abbiamo bisogno della fede nella trascendenza e nella bellezza assoluta. Prendendo una posizione ottimistica, una cosa potrebbe salvare il mondo: la consapevolezza che c’è una luce particolare nell’arte, nell’estetica e nella bellezza. Questo significa che ci illumina un raggio di umanità. Questa piccola luce mi pare possa avere il potere di cancellare vasti lembi di oscurità. Di fatto, le “forze dello spirito” – come le chiamava il Presidente François Mitterrand [5] – potrebbero essere utilizzate per illuminare la parte scura dell’essere umano. Allora un piccolo barlume di bellezza avrebbe una certa probabilità di salvare il mondo. Questa nota di speranza è la mia conclusione.

© Daniel Lysek

Note:

[1] F. Dostoïevskij (1868), L’Idiota , Newton Compton Editori, 2015.

[2] Sandro Botticelli, La primavera, Galleria degli Uffici, Firenze, ultimo quarto del XV secolo.

[3] Si trattava di una conferenza in francese, in cui ha parlato di « émotion signifiante ».

[4] S. Fanti, La micropsicoanalisi. Continuare Freud, Roma, Borla, 1983.

[5] Discorso televisivo, 31 12 1984.