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Estratto della Relazione tenuta dall’Autore al Convegno “Alle Origine del Sogno” tenutosi a Frosinone nei giorni 10-11 marzo 2005

L’argomento che tratto presenta un ventaglio di interdisciplinarietà molto vasto pertanto mi inserirò necessariamente in un taglio parziale pur facendo ricorso anche a qualche esperienza clinica diretta e cercando di mettermi al riparo da quelle dimensioni speculative dalle quali Freud aveva sempre temuto di dover tutelare, non tanto il suo lavoro (sempre caparbiamente agganciato alla clinica e alla ricerca) ma i suoi allievi e lo sviluppo della psicoanalisi.
Una relazione tra psicoanalisi e neuroscienze, infatti, non appare paradossale se si considerano le solide basi neurologiche della psicoanalisi e se ne riconoscono le coerenze successive.
In un recente articolo di Solms e Saling, pubblicato in Italia alla fine del 2004, si discute dell’importanza dello scritto del 1891 “L’interpretazione delle afasie” per il successivo sviluppo degli studi di Freud: oltre a ricordare che l’autore non si dissociò mai da questa sua opera (diversamente che dal Progetto di una Psicologia), qui un certo numero di concetti, che costituiranno nodi focali per la psicoanalisi, vengono usati per la prima volta e nel loro originale senso neurologico: mi riferisco alla regressione, sovraderminazione (v. Stengel 1953-54), proiezione, investimento, rappresentazione, e fissazione all’evento traumatico (“il paziente conserva le proposizione del momento del trauma”).
Con quella monografia Freud, abbracciando le teorie di Jackson, rifiutava la tendenza del tempo a localizzare in aree precise le diverse espressioni patologiche e usava a supporto delle sue tesi proprio un disturbo con indiscussa collocazione neuroanatomica: era la pratica clinica, attenta e sottile, e l’ascolto, di cui il metodo psicoanalitico farà poi la sua conditio sine qua non, che permettevano di andare oltre l’approccio neuroanatomico e ricercare quello neurofisiologico.
Questa modalità è oggi ampiamente condivisa in neurologia clinica ove s’intendono i complessi fenomeni mentali non localizzabili in zone corticali o sottocorticali distinte ma richiedenti un’appropriata analisi psicologica.
Anche l’approccio al sogno come appagamento di un desiderio, risultato di una regressione, ebbe la sua origine nell’ “Interpretazione delle Afasie” e sortì poi nell’opera “L’Intrepretazione dei Sogni”.
L’Intrepretazione delle Afasie, dunque, è ritenuta da Solms e Saling, l’anello mancante tra il periodo neurologico e quello psicologico di Freud.
Solo dopo la sua morte, la neurofisiologia ha cominciato a sviluppare, con gli studi di Luria, quella che oggi viene chiamata “neuropsicologia dinamica” anche se questo sviluppo è rimasto costantemente al di fuori dell’interesse degli psicoanalisti, cosa di cui si rammarica anche Kandel, premio Nobel per la medicina e le neuroscienze per i suoi studi sulla memoria. Questi, in un suo articolo del 1999, osserva che “nonostante i progressi fatti negli ultimi 50 anni dalla biologia, non esiste ancora un modello biologico soddisfacente per la comprensione dei processi mentali complessi” e indica nella psicoanalisi lo strumento che, integrandosi con le conoscenze delle neuroscienze, potrebbe “ri-energizzarsi”.

Il Sonno

La neurofisiologia ha chiarito da diversi decenni che il sonno è un’attività differenziata e che i mammiferi di questo pianeta (ma anche gran parte degli uccelli) trascorrono la loro vita tra la veglia, il sonno REM e il sonno NREM.
Le analogie tra veglia e sonno REM sono sorprendenti:
– riprende il ritmo “desincronizzato” di veglia (differentemente da quello sincrono del NREM)
– il metabolismo aumenta, come mostrano immagini PET, che evidenziano un tasso metabolico centrale di utilizzazione del glucosio addirittura maggiore nel sonno REM rispetto alla veglia.
I generatori della distribuzione di sonno REM e NREM non sono noti, ma alcuni elementi indicano che il primo dipenda dal secondo:
– ad esempio occorrono da 90 a 120 minuti di sonno NREM prima che si verifichi una fase di sonno REM.
– durante il sonno NREM il consumo di glucosio e ossigeno della corteccia cerebrale diminuisce, ma le riserve energetiche vengono immagazzinate nella glia in forma di glicogeno. Al contrario nel sonno REM il metabolismo aumenta.
– la velocità media di flusso nell’arteria cerebrale media diminuisce nel NREM e aumenta nel REM.
– Il consumo di O2 si riduce del 25% nel NREM , nel REM è identico allo stato di veglia.
Dal punto di vista neuroanatomico si possono individuare le regioni che determinano la maggior parte dei meccanismi legati a tali stati:
– i generatori della veglia sono diffusamente situati nel TRONCO (Sistema Reticolare Attivatorio)
– quelli del sonno NREM: nel BULBO e nel PRO-ENCEFALO Basale
– quelli del sonno REM: nel PONTE
Tuttavia le componenti degli stati di veglia, di sonno REM e NREM sono modulate da fenomeni molto complessi che coinvolgono vari livelli del nevrasse e differenti neuro trasmettitori.
Ma nessuna parte è responsabile di uno specifico stato di sonno come è messo chiaramente in evidenza da studi sugli animali:
Infatti ciascuno stato di sonno, se inibito da una lesione non letale, tende a ripresentarsi .
Ciò indica che diverse parti del SNC sono in grado di generare sonno.
Una possibile conclusione di queste osservazioni è che
– IL SONNO E’ UNA PROPRIETÀ’ FONDAMENTALE DI NUMEROSI GRUPPI DI NEURONI ;
– E CHE E’ PRESUMIBILMENTE REGOLATO DA FATTORI LOCALI PIUTTOSTO CHE DA UN FENOMENO CHE RICHIEDE L’INTERO ENCEFALO O SPECIFICHE AREE.

Questo concetto, ancora una volta dinamico-funzionale, oltre a sembrarmi in linea con quanto Freud aveva osservato nelle afasie, mi riporta al concetto di Jouvet di SONNO SISMICO, ripreso da Fanti (a sostegno della sua teoria dell’ Dinamismo Neutro del Vuoto).

Il Sonno Sismico

Nei primi anni 70 diversi neurofisiologi, partendo dalle serie poligrafiche di sonno nei prematuri, oltre alla assoluta prevalenza di sonno REM, individuavano un altro tipo di tracciato accompagnato ad una motilità corporea caratterizzata da scosse di diversa ampiezza , contrazioni cloniche e da un tracciato EEG diverso dal REM-NREM, definito “indifferenziato”. Dopo il 7° mese di vita intrauterina si manifesta progressivamente una fasicità REM che persiste fino alla nascita e per le prime settimane . “Fino alla fine della neurogenesi e all’avvio della omeotermia” dice Jouvet.
Il Sonno Sismico studiato negli animali mostra che i movimenti che lo accompagnano non hanno un’origine centrale (quelli degli arti posteriori possono persistere dopo la sezione del midollo); inoltre esso non presenta un tracciato elettrofisiologico di Sonno Paradossale (REM) e non è soppresso dai farmaci o dalle lesioni che sopprimono il REM.
Poco a poco, dopo la nascita, con la fine della neurogenesi, esso lascia il posto al sonno REM.
Jouvet ritiene che esista un rapporto inverso tra neurogenesi e sonno REM non solo nell’ontogenesi, ma anche nella filogenesi:
1) negli animali a sangue freddo (pecilotermi) non esiste il sonno paradossale. I neuroblasti si duplicano come tutte le cellule e assicurano la programmazione genetica.
2) gli uccelli sono i primi nella scala zoologica a presentare sonno REM, ma in quantità molto ridotta rispetto ai mammiferi.
3) Il sonno sismico scompare nei mammiferi assieme alla neurogenesi.
4) Il passaggio dalla eterotermia alla omotermia nella scala zoologica è accompagnato, oltre che alla fine della neurogenesi, anche a cambiamenti a livello cerebrale (comparsa di tracce di archistriato negli uccelli e di neocorteccia nei mammiferi) e generale (aumento considerevole dei mitocondri e dei processi energetici, con passaggio dal bradimetabolismo al tachimetabolismo).
Ma questa comparsa del sonno paradossale (REM) nella zoogenesi come nella vita fetale può assicurare una programmazione iterativa nelle specie in cui la neurogenesi cessa alla fine dell’ontogenesi? Studiando i rapidi movimenti oculari di gemelli monozigoti e dizigoti, Jouvet risponde affermativamente.
Oggi vi sono buone ragioni per sostenere che la stimolazione periodica e sistematica delle reti neurali sia necessaria per preservare la funzione del SNC e che il sonno REM sia necessario per lo sviluppo prenatale e il mantenimento postnatale della funzione cerebrale.

Il Sogno

A cinquant’anni dalle prime scoperte neurofisiologiche , dopo l’individuazione del sonno REM (ad attività bioelettrica sincrona), e NREM (attività bioelettrica desincrionizzata) e dopo la concettualizzazione di Sonno Sismico (un’attività bioelettrica indifferenziata), quali sono i rapporti di queste attività con il complesso ricordi, emozioni, che ci ritroviamo al risveglio e che condizionano anche la nostra giornata, i nostri umori, le nostre scelte, la nostra salute?
Un breve esempio di come un sogno influenzi la vita di veglia:
userò il sogno di una bambina, dato che nei bambini, negli psicotici e nei vecchi il contenuto manifesto è più vicino al contenuto latente; ci priveremo pertanto di inoltrarci in associazioni e interpretazioni.
Nel suo teatro notturno la bambina, che è in età di latenza, ritaglia un’illustrazione dal giornale. Si tratta di un mostro felino che si anima e balza in casa. Prende ad aggirarsi nelle stanze della casa che viene sognata come prima della morte del nonno e della nascita di un fratello. Tutti scappano, il mostro raggiunge la madre che si sta svestendo nella sua stanza e la assale, ma la madre riesce a difendersi e ad ammansirlo.
Al risveglio la bambina è turbata, le immagini del sogno ancora la occupano; mostra alla madre un brutto voto e la madre s’arrabbia come una belva: ora dovrà andare a scuola a parlare con la maestra. La bambina subisce il rimprovero, ma si infuria intimamente per quella che ritiene un’ingiustizia e il turbamento del sogno passa.
Il sogno ha lavorato bene: ha permesso lo spostamento da una posizione di autoaccusa (nel sogno la bambina ha sguinzagliato una belva in casa; nella veglia è lei stessa a mostrare il voto e così determina il rimprovero-punizione della madre) a una posizione di rabbia. Infatti quel rimprovero è ingiusto nella realtà perchè lei è bravissima a scuola e il voto è stato dato per banali ragioni disciplinari, quindi si può arrabbiare con la madre: così tutto è a posto fino al prossimo innalzamento della tensione.
Abbiamo ritenuto a lungo che il sogno fosse appannaggio della fase REM: che in REM si producano sogni vividi ed evocativi è indiscusso.
Grazie ai lavori sul processo onirico effettuati da Solms (1995, 1997) e da Kaplan-Solms (2000) oggi sappiamo che il sonno REM e l’attività onirica appartengono a differenti strutture anatomiche e che i meccanismi fondamentali del sognare non sono regolati dalle strutture cerebrali profonde del tronco encefalico, le quali invece regolano i meccanismi fisiologici del sonno REM, ma da aree del cervello anteriore ed in particolare della parte inferiore dei lobi parietali e di quella medio-basale dei lobi frontali.
Le strutture anatomiche del cervello anteriore interessate al fenomeno della costruzione del sogno sono quelle impegnate nelle funzioni delle emozioni e della memoria: (il sistema limbico, comprese le componenti limbiche delle aree frontali e temporali, cioè la giunzione occipito-temporo-parietale, e il sistema delle aree visive).
Quanto esposto vuol dire che il controllo del sogno REM è appannaggio di strutture filogeneticamente più antiche, mentre l’attività onirica ha sede in aree del cervello di più recente sviluppo filogenetico.
Successivamente si è appurato che una certa attività onirica esiste anche in fase NREM:
Bosinelli (1982), Bosinelli e Cicogna (1991), Foulkes (1962, 1985), hanno dimostrato la presenza di un’attività mentale del tutto comparabile a quella che si registra in fase REM anche nelle fasi NREM e nell’addormentamento.
Sono sogni che si ricordano meno, o che lasciano talvolta il ricordo di un pensiero piuttosto che di azioni e situazioni complesse come quelle dei sogni in REM.
Secondo questi autori le modalità elaborative nei due tipi di sonno (REM e NREM) sono del tutto simili il che suggerisce un unico sistema di produzione dell’attività onirica, attivo anche se in misura diversa durante tutte le fasi di sonno.

La micropsicoanalisi si è sempre interessata a questi dati derivanti dalle neuroscienze.
L’attenzione posta alla ripetizione di traumatismi filogenetici si confronta, ad esempio, con il concetto di programmazione iterativa genetica svolta dal sonno REM, e permette di guardare con ottica integrata a diversi fenomeni legati al sogno.
Ciò è imposto, tra l’altro, dal crescente impegno degli psicoanalisti in situazioni clinicamente severe e a fronte dell’aumento di patologie involutive, per l’invecchiamento della popolazione, l’incremento dei disturbi alimentari e di quelli correlati a cronico abuso di sostanze.
Nello psicotico in fase florida può essere difficile distinguere realtà e sogno: oppure colpisce lo iato fra la destrutturazione del pensiero e quella che appare la normalità dei sogni: il loro contenuto manifesto si presenta non dissimile da quello della popolazione c.d. “sana” o, meglio, a quello dei bambini.
Nei disturbi dell’umore, come noto, uno dei sintomi sui quali si fondano i criteri diagnostici del DSM IV, é il disturbo del sonno: insonnia o ipersonnia.
La clinica ci fornisce ulteriori dettagli sull’ambiguità di questo disturbo:
– i pazienti possono non avere difficoltà all’addormentamento, ma lamentano un’insonnia centrale con difficoltà a riprendere sonno (risveglio precoce).
– il momento del risveglio, nelle primissime ore del mattino, è statisticamente quello a più alto rischio di suicidio
– l’ipersonnia è più rara dell’insonnia.
– le fasi REM del sonno aumentano nella disforia ipomaniacale e la diminuzione di sonno REM è considerata essenziale ai fini di un riequilibrio della sfera affettiva nei bipolari in fase depressiva.
– questi ultimi presentano anche un aumento del metabolismo del glucosio durante il primo periodo NREM, il che, come abbiamo visto costituisce il fenomeno metabolico preparatorio delle fasi REM, l’accumulo dell’energia necessaria al grande lavoro del sogno.
I dati sulla deprivazione di sonno evidenziano che la deprivazione totale di sonno (REM e NREM), è fatale per gli animali in circa 3 settimane. La sola deprivazione di sonno REM è fatale in 6 settimane.
Se si interviene in extremis, tuttavia, molti animali sopravvivono e sono apparentemente normali.
Certamente non è possibile condurre simili esperimenti nell’uomo.
Tuttavia pensiamo all’INSONNIA FATALE FAMILIARE, che appartiene alle malattie da prioni, cioè ai disturbi dovuti alla produzione di una forma alterata della proteina prionica codificata da un gene sul braccio corto del cromosoma 20.
Questa malattia, con un decorso che va da 1 a 4 anni, porta ad una completa scomparsa di tutti i ritmi circadiani e della ritmicità neuroendocrina. La presenza di mioclonie e comportamenti simili a sogni allucinatori è fortemente suggestiva del disturbo del comportamento del sonno REM o dello stato dissociativo.
Anche se il decesso nell’Insonnia fatale familiare è da attribuirsi a un più complesso insieme di fattori, non ultimo è la scomparsa delle funzioni di sonno e di sogno.
Sappiamo che alcuni farmaci di comune impiego nei disturbi dell’umore, quali gli IMAO, i TCA, i SSRI, determinano la soppressione del sonno REM e che in questo è ritenuto uno degli effetti terapeutici di questi farmaci.
È lecito qui interrogarsi su questo aumento parziale di sonno REM nei disturbi dell’umore dopo aver qui discusso sulle funzioni del sonno.

In una pubblicazione del 1987, Traumi intrauterini ed alcolomania, Zangrilli discuteva su alcune forme di alcolismo legate a traumi psichici precoci e sostenute da un’appetizione primaria per il calore.
In un caso di infante abbandonato, divenuto poi alcolista, l’autore sosteneva che il meccanismo inesorabile della coazione a ripetere imponeva la ricerca del calore attraverso l’alcol e che questa poi si traduceva invariabilmente con la perdita di calore per la vasodilatazione periferica secondaria.
Il trauma, o il complesso traumatico, risaliva ad epoche in cui parlare di mentalizzazione sarebbe stato impossibile: le prime settimane neonatali o le ultime della vita intrauterina si possono ritenere strettamente agganciate ad esperienze senso-motorie solo successivamente riorganizzabili in tracce mnestiche.

Nel Disturbo del comportamento del sonno REM, i pazienti presentano violenti comportamenti di messa in atto di sogni che sono potenzialmente pericolosi per l’individuo o per il compagno di letto. Questi comportamenti si manifestano durante il sonno REM e sono generalmente aggressivi o esploratori, ma mai appetitivi (per cibo o sesso). Vi è un forte legame trai sogni alterati e i comportamenti di messa in atto dei sogni, che indica una fisiopatologia comune: i pazienti non mettono in atto i loro sogni abituali, ma quelli distintamente alterati che di solito coinvolgono in liti, aggressioni e violenze.
Questa descrizione del Disturbo del comportamento del sonno REM è riportata nella rivista Continuum, vol. 1, n.3 , settembre 1999.
Ora vediamo qualche altra relazione fra sonno REM e aggressività.
Nel suo libro M. Jouvet fa, un’osservazione di grande interesse per la comprensione del sonno REM quale “programmatore iterativo genetico”:
‘Più un animale si trova al sicuro durante il suo sonno.. più aumenta la quantità di “sogno” (cioè di sonno REM, n.d.s.). Al contrario, le specie cacciate (gli erbivori) non presentano che una quantità minima di sonno paradossale’.
Anche le osservazioni della paletnologia sembrano concordare: Emmanuel Anati, in un lavoro sui Disturbi Alimentari di prossima pubblicazione, osservava come gli aborigeni vegetariani fossero diversi da quelli carnivori: più lenti e meno intraprendenti.
Dunque ora sappiamo che il sonno REM non solo compare tardi nella scala zoologica , ma è anche maggiore nei carnivori rispetto agli erbivori; quando si esprime nel DCSR, “mostra” il suo volto apertamente aggressivo ed aumenta nei disturbi dell’umore.
Vorrei cercare di discutere questo punto alla luce del concetto di programmazione iterativa del sonno REM di cui parlano i neurofisiologi e di funzione di mantenimento dell’omeostasi e di rielaborazione di traumi onto-filogenetici dei i micropsicoanalisti (Fanti e Peluffo).
Uno dei problemi più delicati che si pone agli psichiatri nei disturbi dell’umore è proprio quello dell’aggressività: essa andrebbe cercata, per scuotere il soggetto dal torpore delle fasi depressive, o modulata per contenere le spinte delle fasi maniacali, ma non sempre questo tiro al fioretto riesce a trovare delle soluzioni di reale stabilità e ciò malgrado gli indiscussi vantaggi dei protocolli psicofarmacologici oggi a disposizione.
L’aumento della tensione determinato dall’inibizione anche motoria del depresso, al quale sono impediti i consueti canali di abreazione e anche il vincolamento sulla sessualità, è alla base del rischio di agiti suicidari. La stessa spinta, se riesce a prendere il canale della sortita maniacale, rischia di sfuggire al controllo e determinare a sua volta agiti in rottura con il mantenimento omeostatico dell’unità psicomateriale: cioè il soggetto può fare e farsi danno.
In questa situazione di instabilità severa si introduce la dopamina.

La dissociazione di cui si è parlato (Solms, 1999), tra sogno e i vari stati di attivazione cerebrale da un punto di vista biomolecolare, indica che il sogno avviene quando si attivano circuiti dopaminergici del cervello anteriore. Sono questi circuiti la via finale comune che produce il sogno, a partire dalle varie forme di attivazione cerebrale nel sonno (cioè REM e NREM; non possiamo parlare del SISMICO).
Come sappiamo la Dopamina è il neuromediatore implicato nelle forme produttive delle psicosi e che gli storici farmaci antipsicotici avevano in primis un meccanismo d’azione antagonista della dopamina. Lo stesso meccanismo biomolecolare è implicato nell’abuso di cocaina e psicostimolanti (con i ben noti effetti psicotizzanti).
La scoperta che il sogno avviene quando vengono attivate le vie dopaminergiche è un conferma di tante osservazioni su base clinica: che il sogno in fondo è una modalità allucinatoria; che il delirio è un sogno che irrompe nella vita di veglia con la prepotenza del processo primario; che il delirio è un frammento di sogno non abonirizzato: Si direbbe tutto “biochimicamente vero”.
E nel disturbo dell’umore il sonno REM aumenta, quindi almeno a livello di quei circuiti dopaminergici del cervello anteriore, si viene a determinare una situazione simile a quella delle psicosi: aumenta la dopamina.
Che cosa cerca di fare l’organismo in situazione di bipolarità con quest’attivazione dopaminergica? Intanto sognando si reitera un programma di attivazione a livello sinaptico. Poi, se teniamo conto di quanto sostiene Jouvet, si tenta di ripassare il programma delle strategie di attacco dai dati filogenetici, infine, direbbe Freud, si cerca di abbassare la tensione almeno allucinando un comportamento di attacco. Ma il Disturbo affettivo in questo ha un limite e un’ancoraggio: quello dell’inibizione. Infatti così dice un mio paziente che ha ben conosciuto il pensiero psicotico: “ purtroppo in quei momenti bisogna che mi ritiro un po’, se no mi fisso su uno sguardo e poi mi tornano quei pensieri antidepressivi: che le spie mi inseguono, la televisione mi parla, che io sono al centro. Lo sa che ora me ne accorgo che mi vengono? Però quando li avevo stavo bene, mi sentivo importante! Eh, si stava meglio quando si stava peggio…”.
Io penso che il paziente con disturbo affettivo cerchi di attingere nel sogno a quei “pensieri antidepressivi.” In quanto tentativo di cura. Una cura cercata nella reiterazione del bagaglio di patterns comportamentali, prevalentemente aggressivi, propri della nostra specie. Il tentativo però fallisce: la reiterazione ripropone al paziente le serie di vissuti generatori di angoscia propri del suo terreno e inscritti nel sogno e il meccanismo inesorabile della coazione a ripetere lo riporterà al punto di partenza.
All’inizio del cap. VII de “L’interpretazione dei Sogni” Freud dice:
”Interromperò allora la mia esposizione, perchè sarò giunto allora al punto in cui il problema del sogno sfocia in problemi più vasti, che potranno essere risolti solo ponendo mano a materiale di altro genere” … “..dopo aver messo da parte ogni riferimento al lavoro d’interpretazione, possiamo accorgerci quanto sia rimasta incompleta la nostra psicologia del sogno.
..ma d’ora in avanti, dal momento in cui decidiamo di penetrare più a fondo i processi psichici del sogno, tutti i sentieri sfoceranno nel buio……ma le congetture psicologiche cui perverremo nell’analisi dei processi onirici dovremmo per così dire sostare a una fermata, Finché avranno trovato la coincidenza con i risultati di altre indagini che, muovendo da un altro punto di attacco, intendono penetrare sino al nucleo dello stesso problema”.
Dunque io penso che oggi i punti di attacco ci siano e non sono la sola a pensarlo: non ci resta che lavorare.

© Gioia Marzi

Bibliografia:

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− Fanti S., La Micropsicoanalisi, Borla, Roma, 1983.
− Freud S. (1891), L’interpretazione delle Afasie,Sugarco Edizioni, Milano, 1980.
− Freud S. (1895), Progetto di una Psicologia, in “Opere” Vol. 2, Boringhieri, Torino, 1979.
− Freud S. (1900), L’interpretazione dei sogni, in “Opere” Vol. 3, Boringhieri, Torino,1979.
− Jouvet M., Il sonno e il sogno, Guanda, Parma, 1993.
− Jung C.G., Scritti, Boringhieri, Torino,1961, pag. 191
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− Kandel E.R., Biology and the future of psychoanalysis: a new intellectual framework for psychiatry revisited. American Journal of Psychiatry, 1999 Apr; 156(4):505-24.
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− LeDoux J., Il Sé sinaptico. Raffaello Cortina, Milano, 2002.
− Marks GA, Shaffety JP, Oksemberg A, et al., A functional role of REM sleep in brain maturation. Behav Brain Res 1995; 69:1-11
− Mura A., Leggendo Kandel – parte II, in Scienza e psicoanalisi, 2004.
− Peluffo N., Aspetti epistemologici dell’attività associativa ed onirica. In Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi n. 29-30 , Tirrenia Stampatori, Torino, 2001.
− Peluffo N., Elaborazioni oniriche dei derivati di fissazioni utero-infantili; in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi n. 19, Tirrenia Stampatori, Torino, 1995.
− Scalzone F., Zontini G. (a cura di), Tra psiche e cervello, Liguori Editore, Napoli, 2004.
− Zangrilli Q., Traumi intrauterini e alcolomania,in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi n. 4, Tirrenia Stampatori, Torino, 1987.

© Gioia Marzi

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