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Il pensiero di Sigmund Freud ha avuto e continua ad avere una influenza enorme nei più disparati settori della vita umana, dall’arte ai costumi, dalla psicologia alla linguistica.
Basti ricordare le parole del grande scrittore Thomas Mann quando diceva:
“Se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticabile questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud”
Eppure oggi, occorre dirlo a malincuore, da molti psicologi è considerato con sufficienza.
C’è chi dice che quelle di Freud furono solo fantasie e che in fin dei conti la psicoanalisi non ha curato nessuno. Affermazioni che lasciano di stucco, se dette da qualche ambizioso psicoterapeuta, dimenticando però che la psicoanalisi, come scopo primario, non si è mai proposta di curare nessuno, come disse il suo stesso fondatore:
“probabilmente il futuro stabilirà che l’importanza della psicoanalisi come scienza dell’inconscio oltrepassa di gran lunga la sua importanza terapeutica.”
Detto altrimenti, Freud utilizza molte volte la parola -terapia-, e sarebbe errato dire che non è nell’interesse dello psicoanalista il benessere e la cura del paziente, ma non la pone come scopo primario della sua indagine, quanto piuttosto favorire l’estensione dell’Io e la sua conoscenza.
La sua ambizione non fu quella di avere un immediato scopo pratico, ma quella di ampliare la conoscenza della mente e questa ambizione si è scontrata, e continua a cozzare, con una visione del mondo che vuole ottenere un risultato pratico immediato, in altre parole considerare l’uomo un oggetto, anziché un soggetto. Alla fine del ‘800, quando Freud teorizza la psicoanalisi, le problematiche mentali erano viste come il risultato di una serie di fattori neurologici e il paziente veniva analizzato e valutato in termini unicamente fisiologici. Questo era il pensiero dominante in cui Freud si infilava, sfidando una cultura dominante e forte, e ciò è il coraggio del Genio. Egli ebbe il coraggio nonché la Luce di tirare fuori dalla polvere i gloriosi nomi di Edipo, di Empedocle, di Eros e di interpretare la mente umana con i possenti e intramontabili Simboli del Mito e degli Dei. Eppure, le difficoltà furono immense per far conoscere il suo pensiero. Si pensi solo che -L’interpretazione dei sogni- quando uscì nel 1899, nei primi sei anni dalla sua uscita vendette soltanto 300 copie e che in particolari momenti di difficoltà economica Freud viveva senza riscaldamento e si faceva pagare in patate invece che in denaro.
Eloquenti le sue parole quando dice:
“La gente non ha creduto nelle mie scoperte, ha considerato le mie teorie disdicevoli. Alla fine ho vinto, ma la lotta non è ancora terminata.”
È vero che il concetto di inconscio è stato pre-sentito, intravisto, prima di lui, dal Daimon dei greci, le percezioni senza appercezione di Leibniz, fino a Nietzsche e Schopenhauer, cui lo stesso Freud è riconoscente. Ma non è questo il punto, ciò che ha fatto Freud è scoprire una realtà psichica mai concepita prima, volgendo lo sguardo ove nessuno osava porgerlo. Per secoli è prevalsa la chimera di Cartesio, con quel suo “penso dunque sono”, ed era assolutamente inaccettabile per l’uomo ammettere che non era la ragione ad avere il dominio sul suo essere, ma qualche forza psichica di cui lui non ha nessun controllo. Per ciò quello che ha fatto Freud è analogo a quello che ha fatto Copernico con le stelle.
Dobbiamo tornare molto molto indietro nel tempo per trovare illustri precedenti nel modo di sentire di Freud, dobbiamo tornare indietro a quella Saggezza Eterna e intramontabile che è quella del Mito, a quella Saggezza da cui Freud ha preso le formule. Quel Sapere che si pone ben prima della ragione platonica e del Logos socratico.
Il pensiero pre-socratico infatti è antecedente al trionfo della coscienza che ha prevalso per i millenni successivi.
Per notare quanto Freud abbia appreso dagli illustri pensatori Greci si osservi il confronto fra le sue posizioni sul linguaggio e quelle dei greci:
“Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico (…) difficilmente il profano potrà comprendere come le -sole- parole del medico possano rimuovere disturbi patologici somatici e psichici. Penserà che gli si chieda di credere nella magia. E non ha tutto il torto; le parole dei nostri discorsi di tutti i giorni sono solo magia attenuata.” S.Freud -Introduzione alla psicanalisi-
“gli incantesimi ispirati mediante le parole portano piacere e allontanano il dolore: riunendosi, infatti, all’opinione dell’anima, la potenza dell’incantesimo la avvince e la persuade.”
Gorgia da Lentini. (483 a.C. –375 a.C) -Sulla Natura-
La potenza della parola nella psicoanalisi è attinta da un Sapere ancestrale, in netto conflitto con una cultura, come si accennava, che tende a ridurre tutto al corpo e di conseguenza a curarlo con i farmaci, e, nel caso della mente, con gli psicofarmaci, cosa dalla quale lo psicoanalista si tiene ben lungi. (Pur non essendo contraria al farmaco per principio, l’esperienza psicoanalitica odierna dice che man mano che l’elaborazione analitica procede i farmaci vengono abbandonati)
Ma vi è un altro concetto cardine del pensiero Freudiano, che affonda le sue radici nei millenni.
È il concetto di Thanatos, uno dei più dibattuti, e peraltro meno capiti, della linguistica freudiana e, a mio parere, uno di quelli con maggior potenza espressiva. Oso anche affermare che senza questo concetto l’intero corpus freudiano verrebbe meno di una sua colonna portante.
Thánatos (dal greco θάνατος, “Morte”) nella mitologia Greca è figlio della Notte e fratello di Ipno, il Dio del Sonno. Quale espressione più vicina al sogno dunque, che per Freud era la via regia per l’inconscio? Freud usa questo concetto, di derivazione greca, per intendere una pulsione distruttiva pre-esistente e omnipervasiva in ogni essere umano, tale energia negativa è, per lo psicoanalista, un processo pulsionale a monte di ogni esperienza che si fa contrapposto alla pulsione eguale e contraria, quella della vita, che qui, per antonomasia, diviene Eros, Dio dell’Amore.
Freud annuncia la sua nozione di una diade pulsionale nella sua celebre opera -Al di là del principio di piacere- del 1920. Ancora una volta Freud è debitore del pensiero Greco, nell’intendere la vita come un instabile equilibrio di due forze: una creativa e l’altra distruttiva, e tale debito Freud lo paga più che volentieri non dimenticando di sottolineare il nome di Empedocle. Questo filosofo di Agrigento del V secolo avanti Cristo era già fra gli antichi riconosciuto come un innovatore.
Dice infatti di lui lo stesso Aristotele nella sua -Metafisica-:
“Empedocle fu il primo che, a differenza dei predecessori, non pose un unico principio del movimento, ma due principi differenti e contrari” e ancora dice:
“Costui pone quattro elementi, fuoco, aria, terra e acqua che sono eterni ma variano per aggregazione e disgregazione, ora aggregati da Amicizia ora invece separati da Contesa”
Per Freud questo principio distruttivo è addirittura sovra-biologico, se possiamo permetterci questa espressione, dal momento che lo definisce come “una forza che ci è ancora completamente ignota (…) la tensione che sorse in quella che fino a quel momento era stata una materia inanimata fece uno sforzo per autoannullarsi; nacque così la prima pulsione, la pulsione a tornare allo stato inanimato”
Si tratta qui, plausibilmente, di una forza extra-fisica, similmente a come la intendeva Empedocle, di ritorno ad uno stato precedente, ad uno stato di sonno senza sogni, che è quello della materia inorganica.
Non a caso Freud adopera, deduce, utilizza, nel suo massimo splendore, questa formula di Thanatos per spiegare la cosiddetta coazione a ripetere.
Freud si accorge, infatti, dalle analisi dei suoi pazienti, che essi tendono a rivivere, incessantemente, determinante esperienze, anche se, paradossalmente, queste stesse esperienze non sono affatto piacevoli, ma anzi, traumatiche. Si tratta quindi di una messa in atto, reiterante, di qualche cosa che travalica il principio del piacere, tanto osannato e declamato dalle scienze della vita.

Che il processo reiterante nel sistema psichico sia inconscio lo afferma chiaramente Freud in un paragrafo della sua Opera -Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi- (1913):
“L’analizzato non ricorda assolutamente nulla degli elementi che ha dimenticato e rimosso, egli piuttosto li mette in atto, li ripete, ovviamente senza rendersene conto”
“Il paziente riproduce, in forma intuibile, attuale, in luogo di ricordare. […] il ricordare è un rivivere”
Perfino nel linguaggio su usa dire ri-cordare, ricordare con il cuore, e ri-membrare, ripetere con le membra. Questa forza che spinge a ripetere, afferma sempre Freud in -Al di la del principio del piacere-, è addirittura più forte della ricerca del piacere. Freud reputò questa scoperta uno dei punti cardine della psicoanalisi tanto da fargli usare l’espressione (ne -Il perturbante-) di “Perpetuo ritorno dell’uguale” che ricorda, per assonanza, l’Eterno ritorno dell’identico Nietzschiano.
Anche qui si ha, nuovamente, un richiamo a quel ciclo senza fine che sempre Empedocle, come la scuola Stoica nel concetto di Palingenesi, avevano concepito millenni prima.
“Nasce e perisce, sempre il medesimo, e, nato di nuovo, perisce ancora, e questa successione è eterna, come afferma Empedocle” (Aezio, -De Placita philosophorum- II,4.8)

Il concetto di Thanatos fu così indigesto che illustri discepoli di Freud lo hanno rigettato, a partire da Wilhelm Reich e non persuase nemmeno Jung, che si separò dal maestro.
Ciononostante, a parere mio, rigettare il concetto di Thanatos significa rigettare l’intero Freud.
Ben vero è che il concetto di una forza distruttiva superiore all’individuo e che lo spinge in un sonno oscuro senza sogni, che vuole ridefinirlo come essere senza forma, e per tanto riconsegnarlo a una Unità originaria, si pone in contrasto con una cultura vitalistica, che negli anni ’20 e ’30 in Europa era nel suo pieno vigore. Pochi anni prima di Freud Darwin aveva gettato sulla cultura Europea una visione biologista e scientista che proponeva che la vita si generasse dal nulla spontaneamente e il vivere, per Darwin, è una continua lotta per la sopravvivenza. Impossibile quindi, in una chiave meramente darwinista, ammettere una forza distruttiva in seno agli organismi. E questo lo possiamo dire con buona pace di Freud stesso, che era un ammiratore del coraggio intellettuale di Darwin.

Per rispondere all’ultima questione, ovvero quale sia la natura di questa forza superiore a qualsiasi piacere che tende e riconsegnarci ad un sonno senza sogni, per cui in uno strato ancora più profondo dello stesso inconscio, a parer mio dobbiamo tornare indietro, oltre che nel tempo, anche nel luogo, e dirigerci a oriente, dove è fiorito, nel Kashmir, lo Sivaismo.
Qui infatti, in queste scuole mistiche, di derivazione Vedantica, si parla di quattro stati mentali.
“La conoscenza sensibile è lo stato di veglia. Le rappresentazioni mentali sono lo stato di sogno. La non discriminazione è il sonno di maya. Dai tre bisogna spremere, come olio di sesamo, il quarto. Allora si diventa simili a Siva” (Vasugupta –Śivasūtra-)

Per lo Sivaista del Kashmir quindi il “quarto stato” è proprio Siva, che disgrega ogni forma della coscienza, e perfino dell’incoscienza, in un placido stato senza immagini.
Con questa interpretazione il Thanatos Freudiano prende la sua vita dal Dio distruttore degli Indiani, e ancor prima dal Dio Rudra dei Veda, il Tremendo, quel Dio tramite la cui Forza il mondo si dissolve per poi rigenerarsi incessantemente, un Dio che, come Freud ha mostrato, è nell’Anima di ognuno di noi.

Emanuele Franz ©