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(Attraversando la psicoanalisi)

Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro della psicoanalisi…

Sulla base di un noto incipit letterario e assunto con un diverso ventaglio di valori la parabola spettrale di una giovane scienza. In effetti, quale grande ricercatrice dell’animo umano, la psicoanalisi è stata tormentata e sedotta dal fantasma fin dal principio, arrivando poi, dopo un secolo di vita, a trovarsi stupendamente trasformata in je suis celui que je cherche, il fantasma. A piacimento in una delle due opzioni: spirito del defunto rimasto coi conti in sospeso, o spirito di niente. Scelgo la prima opzione per il nobile lavoro che mi obbliga a compiere per liberarlo.

La prima riformulazione moderna di fantasma si deve a Freud, che oppone al mondo esterno che impone al soggetto il principio di realtà, un mondo interiore che tende a soddisfare i propri desideri per via illusoria (fantasma). Fantasma, quindi, come “messa in scena del desiderio”: scenario fantastico-immaginario della pulsione erotica e del conflitto psichico cui è inevitabilmente connessa.

Anche se i fantasmi, che nell’accezione che designa l’attività immaginativa, possono anche essere consci, come nel caso dei sogni a occhi aperti, sono i fantasmi inconsci a occupare interamente lo spazio dello studio psicoanalitico, dove il riferimento privilegiato è al nucleo originario del sogno, del sintomo, dell’agire e delle condotte ripetitive. Ne risulta che tutta la vita del soggetto, secondo Freud, compresi i comportamenti che sembrano lontani dall’immaginazione e dettati dalle esigenze della realtà, è modellata e strutturata da una fantasmatica inconscia.

Ma al di là dello specifico della singola vicenda esistenziale, che genera e giustifica questo o quel particolare fantasma, da dove vengono tutti i fantasmi, cosa li accomuna, qual è la loro matrice generale, universale? Qui Freud ha una grande intuizione, foriera di tutto un filone di ricerca ricco di sviluppi teorici veramente interessanti e tuttora in corso. Ci sono strutture fantasmatiche tipiche, risponde, comuni perciò a tutti gli uomini, che organizzano la vita psichica secondo determinate immagini che costituiscono un patrimonio trasmesso filogeneticamente. Dislocandone il dato di realtà, che per lui doveva comunque esistere, nel passato remoto dell’umanità anziché nella storia attuale del soggetto. Il quale si limita alle variazioni sul tema anche senza alcun riferimento oggettivo alla sua realtà storica. Freud li ha chiamati “fantasmi originari”, perché riguardano tutti l’origine del soggetto: in ordine al suo concepimento (come i fantasmi di scena primaria o i romanzi familiari), alla sua sessualità (come i fantasmi di seduzione) e alla differenza dei sessi (come i fantasmi di castrazione).

Osserviamo subito che c’è un’analogia curiosa e sorprendente tra l’ipotesi di un mondo fantasmatico universale e quella junghiana dell’inconscio collettivo, che però è solo parziale. «Mentre infatti la mitologia archetipica di Jung è ricchissima di temi, sia positivi che negativi, esplorabili con l’analisi delle varie culture nel passare del tempo, l’idea freudiana elabora una gamma assai limitata di fantasmi originari, collegati ai suoi noti stereotipi sessuali, in genere negativi, come quelli su esposti, con i suoi inevitabili corollari edipici.»1

Jung si è interessato dei fantasmi solo in qualità di eventi parapsicologici, interpretandoli come esteriorizzazioni di materiali residuali e arcaici dell’inconscio collettivo, distinti quindi dall’attività propriamente psicologica dell’immaginazione, anche se dobbiamo ritenere che il suo concetto di “complesso”, con cui ha denominato inizialmente la sua psicologia (psicologia complessa), può essere assimilato con ampio margine a quello freudiano di fantasma. Un complesso per Jung è un insieme di rappresentazioni, pensieri e ricordi, in parte o del tutto inconsci, organizzato intorno a un nucleo archetipico dotato di forte carica affettiva. Una volta costellato, in senso positivo o negativo, può presentare diversi gradi di autonomia rispetto al complesso maggiore dell’Io, influenzando in vario modo il comportamento, il pensiero e il sentimento. La psiche, secondo Jung, non è un’unità, ma una contraddittoria molteplicità di complessi. La dinamica dei complessi, quindi, come la fantasmatica freudiana, mentre i “fantasmi originari”, con le differenze summenzionate, sarebbero più associabili agli archetipi dell’inconscio collettivo.

La terza formulazione la dobbiamo a Lacan che, riprendendo Freud, cerca di definire con maggior precisione il fantasma come un’area che include le diverse facce dell’Io, dell’altro immaginario, della madre originaria, dell’Ideale dell’Io e dell’oggetto, pretendendo di individuarne la struttura di base col seguente matema (peculiare formalismo lacaniano simil-algebrico): “$ ◊ a”, che si legge: “S barrato punzone di a piccola”. Dove “$” raffigura la nascita e la divisione del soggetto a opera del simbolico (ordine del linguaggio), “◊” la funzione di annodamento propria del simbolico, “a” l’oggetto irrimediabilmente perduto, un vuoto che il soggetto tenterà di colmare per tutta la vita servendosi di altri oggetti “a” immaginari. Se ne deduce che è il fantasma a fornire alla realtà il suo inquadramento.2

Con questa terza e geniale formulazione, quindi, la psicoanalisi, appena trapassata a opera della crisi del soggetto (del desiderio) inaugurata dal postmoderno, cui ha del resto notevolmente contribuito, fa la sua apparizione come un seduttivo fantasma di castrazione iper e meta linguistico. Che come tutti i fantasmi che si rispettino non deve essere evitato o peggio negato, ma “attraversato”, secondo l’indirizzo di cura dato dallo stesso Lacan, per estrarne i numerosi insight di senso proprio della psiche comunque presenti anche se barrati.

In cerca di nuove suggestioni e nuova linfa, e inserendosi in studi psicogenealogici già avviati da diverse altre scuole psicologiche, un nutrito gruppo di psicoanalisti di diversa estrazione hanno cercato di ricomprendere i fantasmi attraverso un ascolto empatosimbolico e transpersonale (oltre i confini della persona), decisamente più fantaevocativo e quindi maggiormente in grado di avvicinarsi al cuore delle cose. Un esempio pregnante: «Nella stanza di ogni bambino ci sono dei fantasmi. Sono i visitatori del passato non ricordato dai genitori, gli ospiti inattesi del battesimo»,3 di Selma Fraiberg, psicoanalista infantile specializzata in psicoterapia di bambini ciechi.

Oltre ai “fantasmi della vita intrauterina”, che con grande sorpresa sono stati scoperti in quella mitica stanza incubatoria dei bambini che è il grembo materno, i fantasmi di cui parla la Fraiberg fanno parte del gruppo di fantasmi individuati a partire dalle straordinarie ricerche clinico-investigative della coppia di psicoanalisti ungheresi Abraham e Torok. Che hanno elaborato l’inquietante e orrorifico concetto di “cripta”, segreta tombale dell’Io dove albergano i cosiddetti “criptofantasmi”, chiamati in seguito “fantasmi transgenerazionali”, che traslano cioè da una generazione all’altra. «Nella cripta – spiegano – riposa vivo, ricostituito a partire da ricordi di parole, immagini e affetti, il correlato oggettuale della perdita, in quanto persona completa, con la topica che le è propria, nonché i momenti traumatici, effettivi o supposti, che ne hanno reso impraticabile l’introiezione. […] Accade tuttavia che, durante realizzazioni libidiche, “a mezzanotte”, il fantasma della cripta venga ad assillare il guardiano del cimitero».4

Come vedete siamo usciti dalla semantica del fantasme, che traduce in francese il freudiano fhantasie, immaginazione, per entrare in quella del francese fantôme, nel senso proprio di spettro, revenant.5

René Kaës, uno dei più grandi studiosi di questo nuovo paradigma, ha voluto precisare meglio il concetto di trasmissione dei colleghi ungheresi: «La trasmissione si organizza partendo non soltanto da ciò che manca, ma da ciò che non è avvenuto».6

Ma ecco la domanda che incalza: Perché avviene tutto questo? Qual è la logica, o meglio l’etica, che sostiene e regola la trasmissione? Cosa vuole, cosa cerca esattamente il fantasma? Perché, anima in pena, “trasmigra” inesausto lungo il crinale del tempo della successione?

Dopo aver sapientemente epigrafato un capitolo del loro ormai famoso saggio La scorza e il nocciolo con questo verso di Hölderlin: «Chi sulla terra non fa valere la sua parte divina, non ha, neppure in cielo, riposo»,7 Abraham e Torok così rispondono: «Chi tra di noi non è alle prese con qualche spettro, che reclama il cielo che gli è dovuto e che è debitore della nostra stessa salute?».8

Ma l’etica ce la fornisce più compiutamente Paul-Claude Racamier, massimo esploratore degli enigmi della psiche, nel suo leggendario Il genio delle origini: «Ciascuno ha il proprio tributo da pagare al dolore psichico, al lutto degli amori e delle illusioni, e per ciascuno che non osa farsene carico, ci sarà qualcun altro che dovrà farlo al posto suo».9

Il soggetto umano è quindi un soggetto plurale, gruppale, intersoggettivo e filogenetico, che si dispiega cioè su scala temporale attraverso le generazioni e che è sottoposto a una “misteriosa” giustizia distributiva delle pene dell’anima. L’aspetto filogenetico, in particolare, è il nastro iconico-trasportatore delle “Immagini” (concetto di rilevanza micropsicoanalitica), che strutturano l’inconscio con la loro corte di “faccette iconiche filogenetiche”. Le quali, una volta costellate, prefigurano il soggetto fornendogli il racconto inconscio della sua-diversa-altra storia pregressa, inducendolo alla ripetizione. Tanto più cogente e implacabile nel caso di storie spezzate o senza storia.10

Ma in tutta questa mancanza, di ciò che è mancato essendoci stato, o ciò che è mancato non essendoci stato per niente (non solo per assenza d’iscrizione, come intendeva Kaës), manca qualcosa di estremamente importante. Anche perché la direzione che l’umanità ha preso non sembra andare nel senso dell’esaudimento della richiesta del fantasma: la restituzione del cielo dovuto. Con la conseguente accettazione del tributo da pagare. Forse che è barrato anch’esso? Impossibilitato a realizzarsi per il farsi stesso del soggetto? Qualcosa non mi torna.

Già in Psicopatia e pensiero del cuore, avvertivo: «Fino al neomitico, cioè fino a tutto il moderno, il diaballo ha mantenuto in se stesso entrambi gli aspetti, cosicché l’anabasi si realizzava all’interno di un sostanziale processo catabasico che, oltre a riamalgamarli nel prodotto alchemico finale, lasciava però grandi depositi sul fondo, sempre meno riutilizzabili ai fini di una successiva trasformazione nel passaggio da una generazione all’altra. Col postmitico invece, cioè con l’avvento del postmoderno, le due componenti interne al diaballo tendono a separarsi tra di loro, generando da una parte un sublime difficilmente integrabile dal collettivo umano, e dall’altra un infimo costituito dal precipitare dell’energia vitale nella pura e semplice ripetitività, frammentarietà e ostensività di un reale senza più immagine, senza splendore».11

In quel contesto avevo anche accennato al concetto di presenza d’anima, che ora riprendo per una definizione di fantasma secondo la maggior chiarezza del punto di arrivo: “Il fantasma è la presenza paradossale di un’assenza d’anima anelante presenza”. La presenza (d’anima) che io intendo, è l’autopercepirsi dell’unicità e irripetibilità dell’essere nell’esserci della relazione d’amore e di conoscenza con l’Altro, con cui si è convocati e gettati insieme (symbállein, mettere, gettare insieme). Immaginifico codice affettivo originario in cui è tramato ogni progetto di mondo e poetica dell’esistenza (anima).12

L’esserci della presenza d’anima si dà necessariamente tra un polo “in”, dell’essere in se stesso, e un polo “con”, dell’essere con l’altro della convocazione e dell’amore. Essendo trascendente-immanente, ánghelos, la presenza d’anima è la vera custode della vita. Preservando la continuità del legame narcisistico tra le generazioni. Secondo il grande pediatra e psicoanalista Donald Winnicott, il bambino non potrebbe vivere un solo istante se non ci fosse in lui un’apertura originaria, nativa, basica, di fiducia nella vita, in sé e nell’altro da sé. Questa è la ragione per cui ogni perturbazione che avviene in questo arco d’intersoggettività magica primaria, s’incide nella possibilità a esserci, e la presenza, anche se a priori data, non può riconoscersi tale nel concreto. La vita ne risulta danneggiata e anela a ripararsi (tikkun).13 Questo tentativo di riparazione è il fantasma, sia nell’accezione della fhantasie, che nell’accezione del fantôme.

Il “fantasma d’amore” è un “archifantasma”. Principe dei fantasmi. Perché di più alto e antico lignaggio rispetto a tutti gli altri e nello stesso tempo il loro intimo minimo comun denominatore, costituendone il cuore. Il fantasma d’amore è l’anima di tutti i fantasmi assenti d’anima.

Il farsi del soggetto è il farsi dell’anima, altrimenti è un soggetto astratto. Giustappunto fantasma. E si è assenti d’anima, totalmente o parzialmente, in caso di gravi effrazioni al suo sacro lumen.

L’archifantasma dell’amore nasce dalla fantasmizzazione delle immagini archetipiche, promosse da Eros, del sacro amplesso della coppia ierogamica primigenia, attualizzatosi nell’amplesso della coppia dei genitori reali da cui è poi nato il soggetto-oggetto del desiderio. Soggetto, subiectus, sottoposto, gettato sotto. Che risulta per questo fantasmaticamente eietto da loro, separato, gettato fuori e privato del loro amore (come risulta evidente quando viene partorito, “portato al di là”). Ma anelante al suo e al loro intimo ricongiungimento. È questo secondo me il vero fantasma originario della “scena primaria” di Freud, visto però nel suo aspetto positivo e trascendente.

Nel percorso dall’infinita potenzialità all’atto finito, il fantasma d’amore, che in teoria dovrebbe rappresentarsi direttamente e singolarmente almeno nell’innamoramento e in tutte le vicende dell’amour-passion, s’inscrive necessariamente nel grande registro degli assenti d’anima (fantasmi), assumendone il sembiante, al fine di fornirgli quella presenza d’anima e del cuore in cui solo s’invale e trova senso la motivazione a esistere, anche oltre il limite trovato sulla via dell’esserci. Quindi, anche nei suddetti casi, il fantasma d’amore finisce per lo più a rappresentarsi solo indirettamente attraverso questo o quel fantasma. Come ben compreso in area lacaniana: «Come attesta il sogno, il fantasma è sempre un fantasma d’amore».14

Gli assenti d’anima che hanno ricevuto dall’archifantasma il motivo per continuare a vivere nonostante tutto, si trovano ora a dover fare una scelta veramente cruciale per il loro destino, che è il destino dello stesso soggetto umano presso il cui focolare siedono per farsi riconoscere. Alcuni scelgono di restare nell’orizzonte del soggetto, attendendone l’elaborazione simbolica cui viene spinto attraverso la sofferenza psichica. Mentre altri, forti della loro onnipotenza, optano di porsi sul piano dell’oggetto del desiderio, seducendo e richiamando il soggetto a impattarvisi. 15 Ma qui Thanatos si sostituisce a Eros.

È vero che i fantasmi vivono a spese della nostra vita, nutrendosi d’impossibilità, d’impossibile eppur possibile, ma in qualità di figure ossimoriche di confine, di creature della soglia, prima di ogni possibile oltrepassamento ci invitano ad abitarla con loro, al fine di cogliere lì quell’umano mancante che marca ogni esistenza. Idee e visioni del mondo comprese. A cominciare dalla nientificazione degli enti operata dal pensiero nichilista dell’uomo.

Siamo così giunti all’ultimo atto di questa poetica, ma il finale è inquietante. Perché entra ora in scena il mistero stesso della scena: il fantasma del palcoscenico, dominatore assoluto del teatro della vita.

Un assente-onnipresente particolarmente deleterio per l’amore e il soggetto, soggetto che per Silvia Montefoschi è tale solo se soggetto amante, 16 è rappresentato infatti dal “fantasma materno”, che è un “arcifantasma” 17 molto molto potente, avendo tolto all’archifantasma dell’amore la lettera h di Hermes. Sottrazione non solo letterale, ma sostanziale o suscettibile di diventarlo. E il motivo è presto detto: perché ha riformulato i termini della relazione d’amore tra l’uno e l’altro (provenienti dalla coppia archetipica e da quella genitoriale), in quelli dell’amore materno-filiale centrato sulla dipendenza. Dove il cielo dovuto cui anela, non letto nel codice simbolico del soggetto, si trova nel passato ancestrale del grembo, stato nirvanico di fusionalità e indifferenziazione dove tutto è dato.18 È questo il fantasma d’amore (in realtà fantasma materno) che si presenta immancabilmente agli appuntamenti degli amanti e puntuale s’interpone a mediare tutte le relazioni più importanti della vita, compresa quella della coppia analitica. Dove qui, però, almeno in teoria, ha la possibilità di risolversi.
Almeno in teoria, non è retorico. Così riprendo, per concludere, la battuta iniziale sul fantasma della psicoanalisi, ponendomi la domanda cruciale: Può questa paradossale presenza di un’assenza d’anima, doppiamente paradossale per una scienza dell’anima vocazionalmente chiamata a fare terapia ai fantasmi, invertire la commutazione soggetto-oggetto operata dall’arcifantasma materno, madre di tutti i fantasmi, in modo da restituire al fantasma d’amore la presenza d’anima cui anela e che è il suo proprio télos?
Siccome sospetto che l’indubitabile conoscenza che la psicoanalisi possiede dei due fantasmi archi e arci, sia più un sapere della mente che del cuore, che non coglie l’essenza noumenica dei fenomeni, mi legittimo a rispondere con quest’altra domanda: ma qual è il télos della psicoanalisi?

Perché quello del fantasma l’abbiamo esplicitato. Dove la presenza agognata, da raggiungere, è quella dell’umanità stessa dell’uomo tramata nella storia e nel destino del mondo.

© Baldo Lami

Note:

1 F. Parenti-P.L.Pagani, Dizionario alternativo di psicoanalisi, Quaderni della rivista di psicologa individuale, Milano, 1984, p.61 (corsivo mio).  
2 Cfr. “I fantasmi nella trasmissione transgenerazionale”, A.Presutti, 2012, gruppoclinico.it. 
3 S. Fraiberg, Il sostegno allo sviluppo, Cortina, Milano, 1999, pp.179-180. 
4 N. Abraham-M.Torok, La scorza e il nocciolo, Borla, Roma, 1993, p.259. 
5 Ibidem. 
6 R. Kaës-H.Faimberg-M.Enriquez-J.J.Baranes, Trasmissione della vita psichica tra generazioni, Borla, Roma, 2005, p.27. 
7 N. Abraham-M.Torok, op.cit., p.289 (corsivo secondo la mia traduzione). 
8 Ibidem. 
9 P.C.Racamier, Il genio delle origini, Cortina, Milano, 2005, p.61. 
10 Cfr. “L’immagine filogenetica”, D.Marenco, 2006, micropsicoanalisi.it. Le “faccette iconiche filogenetiche” compaiono invece nel testo base della micropsicoanalisi contemporanea: Q. Zangrilli, La vita: involucro vuoto, Borla, Roma, 1993. 
11 B.Lami, Psicopatia e pensiero del cuore, Zephyro, Milano, 2006, pp.71-72. In alchimia, le due componenti interne al diaballo, di cui mi riferisco nella citazione, sono solve et coagula. 
12 Per un confronto tra le più interessanti concezioni della psiche come codice, vedi: Il codice vivente, F.Fornari, 1981; Il codice psicosomatico del vivente, D.Frigoli, 1987; Il codice dell’anima, J.Hillman, 1996; Il codice innato, M.Conforti, 1999. 
13 Tikkun Olam è un’espressione in uso nella mistica ebraica per indicare ciò che ogni adepto è tenuto a compiere: la riparazione del mondo. 
14 “Il fantasma d’amore operativo”, Gabriele Lodari, 2012, traccefreudiane.com. 
15 Tra i fantasmi che rifiutano di risolversi attraverso il simbolico, molto pericolosi per lo statuto d’impensabilità che assumono nel traslare da una generazione all’altra, vanno menzionati quelli che hanno scelto il corpo come teatro di espressione e scarico, connotandosi come “fantasmi transgenerazionali somatici”. 
16Pur con una propria sintesi e formulazione, la mia riflessione è debitrice del pensiero e dell’opera della grande psicoanalista mistica Silvia Montefoschi, recentemente scomparsa. Vedi: P.Cozzaglio-M.Cutrale, Il pensiero amato. Intervista a Silvia Montefoschi, Zephyro, Treviglio, 2013. 
17 Le attribuzioni connotative di archifantasma al “fantasma d’amore” e di arcifantasma al “fantasma materno” sono un’invenzione di questa poetica. 
18 Interessandomi di cinema in rapporto al suo sincronistico gemello psicoanalitico, segnalo due film sui fantasmi di notevole valore per la psicologia del profondo. Il primo, già conosciuto in precedenza, è Fantasma d’amore del 1981, diretto da Dino Risi e interpretato da Marcello Mastroianni e Romy Schneider. Il secondo, scoperto recentemente, è La madre del 2013, diretto Andres Muschietti, un horror psicologico che dimostra una straordinaria conoscenza panica e patico-intuitiva dell’arcifantasma materno.