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Fotocomposizione di Luca Zangrilli ©

La micropsicoanalisi definisce con falsa presenza un tipo di relazione madre – lattante nella quale la presenza fisica della madre non è accompagnata da una presenza psichica: la madre non appare capace di immedesimarsi nei bisogni del bambino, le cure fisiche non sono accompagnate da holding mentale.
M. Dassano afferma: “Da ciò derivano disattenzioni, sbagli di valutazione, ecc., di cui fa le spese non solo il bambino ma anche la madre che si vive come inadeguata ad assumere il suo ruolo, costantemente in balia di tristi fatalità di cui in realtà è lei stessa la causa inconsapevole.”1
L’autrice sottolinea come il parto comporti un brusco passaggio dall’investimento libidico narcisistico sul feto ad un investimento libidico oggettuale, questo passaggio è facilitato dalla capacità della donna di identificarsi con il figlio. Nella falsa presenza questa identificazione non avviene, il processo di separazione ne risulta inficiato.
Secondo Fanti l’atteggiamento psichicamente assente della madre è una difesa, un’inibizione al contatto, rispetto a desideri inconsci aggressivi di rivalità e gelosia.
L’impossibilità di identificazione con il figlio inficia la possibilità della madre di elaborare il lutto per la perdita fantasmatica del bambino – pene uterino. Il piccolo diventa la testimonianza di tale perdita, l’oggetto attuale reale su cui vengono vincolati fantasmi inconsci di castrazione di origine edipica e pre-edipica: un oggetto persecutorio ambivalente. Di qui l’incapacità di avere con il bambino un contatto affettivo profondo, l’inibizione alla manipolazione del corpo del bambino, le intense angosce di morte che la donna vive, spesso consciamente, nei riguardi del suo nuovo nato.
La mancanza di contatto fisico, di grasping fisico e di sguardi, è ben testimoniata dal materiale fotografico di analizzati nei quali si riscontrano problematiche relative a queste prime fasi della vita. Nelle foto madre e figlio appaiono discosti l’uno dall’altra, il bimbo è contratto, scostato dal corpo della madre, l’abbraccio della donna è impacciato, sostiene ma non contiene, manca spesso il contatto oculare. La Dassano commenta: “ Si tratta di due entità giustapposte, ognuna presa nei propri problemi e nella propria solitudine.”2
Codoni e Lysek considerano la falsa presenza una formazione psichica ereditaria, nei soggetti questa immagine filogenetica si riattualizzerà predominando l’uno o l’altro aspetto: l’attitudine all’assenza (prevalenza dell’inibizione), la rivalità possessiva o la gelosia.3
Vorrei ora rivedere alla luce del concetto di falsa presenza un caso clinico magistralmente esposto da Leon Kreisler in “Clinica psicosomatica del lattante”.
È la tragica storia di una madre e delle sue due figlie entrambe affette da anoressia mentale del lattante ed entrambe decedute, una dopo l’altra, verso i venti mesi.
L’analisi di Kreisler si incentra sulla secondogenita, Mélanie, ricoverata a Parigi in condizioni fisiche gravi all’età di 14 mesi (peso 6 Kg. e 550 g.). Le due sorelle sono morte a meno di un anno e mezzo di distanza l’una dall’altra, la prima 4 mesi dopo la nascita della seconda, Mélanie una settimana dopo la nascita di una terzogenita. I disturbi insorgono in entrambe nel secondo semestre di vita dopo la ripresa del lavoro della madre e l’affido ad altri delle piccole.
Il lavoro di Kreisler si basa su colloqui con i genitori avvenuti dopo la morte delle bimbe ( i genitori erano andati in consultazione preoccupati per la sorte della terzogenita), dall’analisi dei protocolli medici relativi al ricovero di Mélanie e da colloqui con gli operatori che se ne erano occupati.
Rispetto alla bambina Kreisler parla di una relazione d’attaccamento forte “ma incrinata, scavata da un buco nell’attaccamento con una madre ‘presente – assente’. Difetto primario che potrebbe ben essere la ragione profonda ed essenziale dell’evoluzione irrimediabile.”4
La madre è descritta come una donna fragile: in adolescenza e nella prima gravidanza aveva sofferto di episodi di scompenso psichico (bouffèe di tipo psicoisterico), entrambe le volte si trattava di situazioni in cui la donna era entrata in contatto con bambini. In entrambi gli scompensi si erano prodotte allucinazioni, reiterate in incubi in cui l’immagine della madre e la propria erano fuse ed assimilate ad un’immagine di morte. La donna, in occasione del ricovero della secondogenita, era stata tormentata più volte dalla paura di soffocare la figlia mentre la nutriva.
L’entourage familiare era altrettanto problematico, tutta la famiglia allargata paterna e materna (i coniugi erano lontanamente imparentati tra loro) era affetta da importanti fobie ed idiosincrasie alimentari, i rapporti con le parenti che si occupavano delle figlie (la madre e la prozia materna) erano freddi, le donne della famiglia non sostenevano la madre ma tendevano a svalorizzarla cercando di accaparrarsi le bambine.
La descrizione riportata da Kreisler della relazione tra la madre e Mélanie in ospedale è emblematica.
“La madre inibita e depressa, aveva un contatto molto distante e freddo con la figlia, malgrado tutte le preoccupazioni che provava. Le infermiere notarono questa assenza di contatto tra la bambina e la madre, anche quando questa la teneva tra le braccia. Notarono anche l’esacerbazione dei vomiti in occasione delle visite materne. (…) Durante il mese di gennaio un buon matérnage da parte di un’allieva infermiera e, contemporaneamente, l’arrivo del padre hanno permesso un miglioramento del comportamento, una relazione più ricca, un’importante diminuzione dei vomiti (…) Verso la metà di febbraio il padre ripartì e l’allieva infermiera cambiò reparto. La gravidanza della madre era sempre più avanzata. Assistemmo allora ad un aggravamento molto rapido della sintomatologia somatica con vomiti e perdita di peso e del comportamento: la bambina era molto triste, totalmente ripiegata si sé stessa, con episodi di vero merecismo, ruminazione ed espressione assente, senza contatto con l’ambiente.”5
L’inibizione al contatto, le angosce ossessive della madre ben si accordano con l’ipotesi di una relazione madre – figlia in cui l’aggressività non può essere sublimata o deviata ma solo inibita attraverso il blocco di qualsiasi contatto. Essa ritorna negli incubi , nelle angosce ossessive nella madre e , nella bambina, in una destrutturazione somatica progressiva che la porterà alla morte.
Kreisler commenta il caso parlando di istinto di morte e di come i movimenti di vita e di morte, la tendenza alla strutturazione e alla destrutturazione debbano essere considerati fondamentali nell’approccio all’economia psicosomatica. Un altro concetto che utilizza per spiegare la morte delle bambine, presente dapprima nella vita fantasmatica della madre e poi tragicamente attualizzata, è la tendenza alla ripetizione: la coazione a ripetere.
L’autore scrive negli anni ’80, parla di coazione a ripetere ontogenetica. Rileggendo la storia della madre, l’analisi della famiglia allargata, forse alcuni psicoanalisti attuali ( Kaez, Faimberg) parlerebbero di coazione a ripetere transgenerazionale. La micropsicoanalisi, con il concetto di Immagine filogenetica, ipotizza la ripetizione e la riattualizzazione di traumi filogenetici attraverso le generazioni. La tragica storia di Mélanie e di sua madre, ripetizione della vicenda tra la madre e la sorella maggiore, potrebbe essere una ripetizione di un trauma trasmesso da generazioni che ha trovato nella madre e le sue due figlie le inconsapevoli attualizzatrici del dramma.

© Daniela Marenco

Note:

M. Dassano Marconi, La falsa presenza della madre in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, N. 5, 1987,pag. 6 torna su!
IDEM, pag.6  torna su!
P. Codoni , D. Lysek, L’eredità psichica, in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, N. 4, 1986  torna su!
L.Kreisler, Clinica psicosomatica del bambino, Cortina, Milano 1986, pag.123  torna su!
IDEM, pag.129  torna su!