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(Estratto della Relazione “Il padre come ambasciatore di realtà” tenuta dall’autore al Congresso “Genitori non si nasce… si diventa. Il passaggio da coppia a famiglia” svoltosi a Savona il 12 marzo 2016)

Le notizie di cronaca dell’ultimo periodo ci spingono ad interrogarci con forza rispetto ad un ruolo assolutamente strategico, poiché è proprio il ruolo del genitore che permette all’essere umano di divenire una persona dotata di un sufficiente equilibrio psichico che gli consenta di vivere senza soverchianti sofferenze e con la possibilità di realizzare, compatibilmente con il principio di realtà, i propri desideri profondi, quella che personalmente mi sembra essere una definizione accettabile di “normalità”.
C’è una diffusione così massiccia dell’irrazionale, una tutela scandalosamente organizzata del narcisismo sui mass media che oggi mi trovo costretto a riannodare concetti che probabilmente per i tanti quadri psicologici presenti risulteranno banali, ma che l’immane pressione di quella semidelirante massa vociante costituita dagli esperti fai-da-te dei social media rischia di far vacillare.
Quando un delirio è condiviso da una massa enorme di persone cessa difatti di essere ritenuto tale: un esempio per tutti sono le fasi fondamentaliste delle religioni e delle ideologie, in cui nel nome di incrollabili certezze autroeferenziali, si può uccidere non solo senza sensi di colpa ma persino cullando la sensazione di servire la Giustizia Assoluta. I campi di sterminio nazisti, i gulag comunisti, le pulizie etniche, l’isis dei giorni nostri sono le risultanti di questi deliri.
Ma tornando al tema del nostro convegno possiamo formulare la domanda: un genitore è potente? A parte l’enorme sproporzione delle forze fisiche messe in campo, qui si parla dello psichismo umano, diremo senza alcuna difficoltà: Si, lo è.

Un genitore può far impazzire un essere umano. Basterà rifarsi agli studi di Gregory Bateson sul doppio legame, ritenuto essere una delle concause determinanti della schizofrenia.
Come voi tutti sapete il cosiddetto “doppio legame” è quello di una situazione in cui la comunicazione tra due individui, connessi da una stretta e importante relazione emotiva, presenta una conflittualità irrisolvibile  tra il livello del discorso esplicito, verbale, ed il livello non verbale, metacomunicativo (tono di voce, mimica facciale, modulazioni dello sguardo, gesti, atteggiamenti), e la situazione sia tale per cui il ricevente del messaggio non abbia la minima possibilità di decidere quale dei due messaggi sia vero (dal momento che essi sono in palese contraddizione) e nemmeno di poterne far notare l’incongruenza.

Una madre che dice al suo bambino: “io ti amo!” e contemporaneamente si irrigidisce e lo allontana da sé, se ovviamente tale comportamento è reiterato, rigido e stereotipato, mette il figlio in un loop angoscioso irrisolvibile.
Empaticamente il bambino ha colto la distanza e la repulsione della madre, ma questa sul piano manifesto non solo viene negata ma addirittura contraddetta.
Se il bambino da retta alla sua percezione metacomunicativa deve non solo ammettere che la madre, da cui dipende la sua vita, lo odi, ma anche che ella gli menta.
Parimenti, se accetta la comunicazione manifesta (io ti amo) deve ammettere che le sue capacità percettive siano fallaci, perdendo qualsiasi fiducia in queste ultime. La risultante è in genere un’oscillazione tormentosa tra le due percezioni che spesso viene risolto con la scissione del suo io in formazione.
Ho fatto insieme a voi questo breve ripasso per ricordare a tutti che i genitori hanno tra le loro mani le menti dei loro figli.

Bisogna ricordare che l’essere umano subisce un periodo di maturazione del suo apparato psichico, faticoso e gravido di sofferenza, che lo porta da una situazione in cui nella sua mente esistono solo oggetti parziali che probabilmente eredita e riceve in utero e di cui si informatizza durante le quasi incessanti fasi di sogno intrauterino, alla fase adulta  in cui l’essere umano riconosce l’esistenza di oggetti diversi da sé, che non cadono sotto l’influsso della sua potenza e non rispondono ad i suoi desideri. Il passaggio, cioè dal narcisismo all’esame di realtà.
E’ proprio la figura paterna che rompe il sodalizio madre-bambino la cosiddetta fase fusionale, una fase in cui il bambino vive se stesso come fuso alla madre, fase in cui, incidenti di percorso a parte, il bambino sperimenta il polo materno come fonte di totale e continua disponibilità. Uno stato mentale primario che viene potenziato ulteriormente durante l’allattamento e che se non determinasse con la “Penetrazione traumatica del terzo”, il Padre, un’esperienza di limite, renderebbe il figlio inadatto a vivere nel mondo, una realtà costituita inevitabilmente da rinunce, dilazioni del soddisfacimento e frustrazioni. E’ proprio il padre che contende l’esclusivo possesso della madre e che fa tramontare la fantasia onnipotente e narcisistica del bambino di essere un tutt’uno con lei a determinare questa cruciale funzione di separazione, permettendo la progressiva presa di contatto con gli oggetti esterni.

Ma la rinuncia al proprio vissuto di onnipotenza non è immediata, ma si avvale di una fase di passaggio in cui il bambino proietta ed attribuisce al padre il sentimento di potenza sconfinata a cui va rinunciando. E’ questa la radice dell’idea di dio.

A tale proposito vorrei citare il caso di una giovane ragazza di 19 anni che giunge alla mia osservazione per una forma di inibizione alla vita quasi totale: il suo umore non è realmente depresso, solo che non ha amicizie, o comunque ha fatto di tutto per perderle, tende a rimanere chiusa nella sua camera, nel suo nido, in una forma di ritiro semi-autistico.
Nel corso del trattamento focale che instauro si rende ben presto conto del suo tentativo disperato di rimanere bambina, cioè, per usare una definizione congrua, di tutelare la sua relazione simbiotica con la madre (il padre è solo un orpello, un attributo dell’immagine materna). Con la sostanziale assenza del ruolo di ambasciatore di realtà che il padre dovrebbe normalmente assumere, le frustrazioni vengono elaborate con una pericolosa tendenza persecutoria. Ascoltiamola:
“Ogni volta che qualcosa non va come mi aspetto sono sempre pronta a dare la colpa agli altri [vissuto persecutorio].

Mi è capitato altre volte di rendermene conto ma poi ritorno sempre a pensare che è sempre e solo colpa di mio padre e mia madre.

Lo so sono rimasta bambina. MI sono accorta benissimo qui, come mai avevo fatto prima, che non riesco minimamente a rapportarmi con gli altri, soprattutto quando sono sola. 

Penso al giorno in cui sono scappata dalla casa che i miei genitori avevano affittato per me per l’università e che dividevo con altre ragazze. Penso al momento in cui avrei dovuto staccarmi dai miei. MI sono sentita totalmente abbandonata. Ho pensato che non sarei mai andata d’accordo con le coinquiline: le vedevo mille volte più sicure di me. 

In quei giorni ho cominciato a non parlare mai con i miei genitori, volevo come fargli pagare qualcosa. Mi sono comportata proprio male. Ma quasi non riuscivo a parlare, non mi uscivano le parole.  [qui troviamo le note di una intensa regressione] Ed i miei genitori, disperati, non dormivano più di notte, ma io ero ridiventata la bambina che con i suoi capricci otteneva sempre tutto quello che voleva: rimasi nella casa un pomeriggio e poi piangendo telefonai a mio padre intimandogli di venirmi a prendere. Non ricordo punizioni da parte di mio padre. Sono rarissime le volte in cui mi hanno punito: piangendo riuscivo ad ottenere sempre tutto quello che volevo.”

Sembra proprio che questa generazione di genitori abbia sostanzialmente dimenticato che la tendenza ad appagare ogni desiderio dei figli, per evitare anche il minimo conflitto, l’assenza delle punizioni e delle frustrazioni, che pure una certa psicologia d’accatto per anni ha contrabbandato, ha delle disastrose conseguenze nella maturazione dell’apparato  psichico dell’essere umano.

L’assenza di un confronto con la Legge del Padre, l’assenza della privazione ragionevole, della frustrazione, della dilazione del desiderio, della responsabilità e del prezzo degli errori, ha creato una generazione che fa dell’autogratificazione narcisistica e dell’autoreferenzialità il suo credo, una generazione per la quale l’Altro è solo una presenza disturbante, una percezione da eliminare in qualsiasi modo.

A nulla vale l’avvertimento di Freud in “Introduzione al Narcisismo” del 1914: “Se consideriamo l’atteggiamento dei genitori particolarmente teneri verso i loro figli, dobbiamo riconoscere che tale atteggiamento è la reviviscenza e la riproduzione del proprio narcisismo al quale i genitori stessi hanno da tempo rinunciato.”
Il passaggio dallo stato fusionale con la madre, dell’onnipotenza del pensiero e del narcisismo, prima primario, poi secondario nel bambino è reso possibile proprio dalla pressione del terzo, la “penetrazione traumatica del terzo” come la definiva efficacemente Peluffo, cioè del Padre nella diade fusionale madre-figlio.

Tale fase, contraddistinta da vari passaggi passa in uno nel quale il padre, o il Terzo, come già accennavo, è vissuto come una presenza persecutoria.

A tale proposito riporto qui l’esempio tratto da un caso di osservazione infantile che avevo citato in un mio precedente lavoro (Trauma, memoria e struttura cibernetica della mente, Psicoanalisi e Scienza, giugno 2002).

Una vispa bambina di tre-quattro anni, che chiameremo Sofia, passeggia al fianco della madre in un giardino pubblico, il padre segue le due signore della famiglia a poca distanza. Trotterellando, ad un certo punto Sofia inciampa in un sasso e cade a terra sbucciandosi le manine. Si rialza furente gridando come un’ossessa: ”Brutto papà, brutto papà!” A nulla servono le spiegazioni logiche dei due genitori per scagionare il padre innocente. La bambina si calma solo dopo l’espulsione fisiologica dell’aggressività evocata dal trauma. Sofia, grazie all’incontro doloroso delle frustrazioni della vita, ha da poco rinunciato allo stato di onnipotenza infantile, è uscita dalla simbiosi feto-materna e permesso l’ingresso di una nuova entità nel suo universo rappresentazionale: il Padre Onnipotente, il Deus ex machina, il Demiurgo, Colui che tutto può e tutto decide, un’imago su cui ha proiettato tutta l’onnipotenza a cui aveva dovuto rinunciare.

Se questa isola di codice dovesse rimanere intatta, e non fosse rielaborata con l’integrazione delle successive informazioni che diranno a Sofia che anche suo padre è un fuscello nell’universo, questo minuscolo pezzetto di software arcaico potrebbe ipertrofizzarsi fino alla strutturazione di un delirio di persecuzione: la mia vita è nelle mani di Satana, o di Dio, (che in fondo, da un punto di vista psicodinamico sono la stessa cosa, corrispondendo alle Imago onnipotenti antropomorfizzate della percezione endogena della base pulsionale primaria dell’essere umano: Eros e Thanatos), io sono la pedina dell’Eterno, e così via…

Lo stesso Freud ne aveva scritto con chiarezza: “Quando il paranoico elegge a suo “persecutore” una persona della sua cerchia la innalza al livello di padre, la pone in condizioni che gli consentono di renderla responsabile di tutte le sventure che la sua sensibilità registra.” (Totem e tabù: alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, 1912, Opere, vol. 7)

E’ per questo motivo, ad esempio, che anche un padre narcisista, un padre che non mostra le sue inevitabili debolezze rispetto alle prove della vita, che si recita onnipotente e intoccabile, può fare seri danni.
Ci possiamo chiedere ora a cosa sia dovuto questo enorme cambiamento epocale caratterizzato dal passaggio da una fase in cui il Padre era il Padrone Assoluto della scena alla fase attuale in cui vediamo quella figura evanescente, che ancora per abitudine chiamiamo padre, prono ai desideri dei figli.
La mia ipotesi è che l’enorme dispiegamento dell’aggressività nella forma organizzata delle due guerre mondiali che aveva provocato un immenso numero di vittime determinò probabilmente un enorme accumulo del senso di colpa unito ad una reazione di ripulsa e rivolta nei confronti dell’autorità costituita che esplose nel 68, l’epoca in cui i giovani uccisero il padre, scalzandolo dal trono, sbeffeggiandosi della sua autorità. Ma aver provato tali sentimenti di odio assassino nei confronti del Padre esponeva i futuri genitori figli del 68, per l’esistenza della legge del taglione, ad un’enorme angoscia di annientamento: il trono del padre divenne rovente, non più occupabile e si preferì diventare (ah quante volte ho sentito questa frase!) il “fratello di mio figlio”, con conseguenze spaventose.

Claudio Risè, nel suo libro “Il padre l’assente inaccettabile”. (edizioni San Paolo, 2003),  riporta alcuni dati statistici assolutamente probanti che provengono dagli USA, secondo i quali il 90% dei soggetti senza dimora non avevano avuto il padre in famiglia, il 70% dei giovani delinquenti ospitati in riformatori statali e ben l’ 85% dei carcerati provengono anch’essi da famiglie senza padre, mentre la percentuale dei giovani suicidi con padri assenti ammonta al 63% del totale. Infine ben il 72% degli adolescenti omicidi ed il 60% dei soggetti stupratori, è cresciuto in case senza padre. Credo che statistiche non dissimili possano essere ricavate anche nel nostro paese.

Per quanto riguarda la cosiddetta penetrazione traumatica del terzo nell’universo fusionale è necessario che l’oggetto sia inequivocabilmente diverso dalla madre con cui si è fusi. E per diversità non si intendono gli aspetti caratteriali e culturali, questi appartengono al mondo della parola, che nell’inconscio non esiste: nell’inconscio, come più volte Freud ha specificato, esiste solo la rappresentazione di cosa.
Ascoltiamolo nel suo lavoro “ Metapsicologia, L’Inconscio, il riconoscimento dell’inconscio” (Opere, 1915):
“Tutto a un tratto pensiamo di aver capito in che cosa consista la differenza fra una rappresentazione conscia e una rappresentazione inconscia. Contrariamente a quanto avevamo supposto, non si tratta di due diverse trascrizioni dello stesso contenuto in località psichiche differenti, e neanche di due diverse situazioni funzionali dell’investimento nella stessa località; la situazione è piuttosto la seguente: la rappresentazione conscia comprende la rappresentazione della cosa più la rappresentazione della parola corrispondente, mentre quella inconscia è la rappresentazione della cosa e basta. Il sistema Inc contiene gli investimenti che gli oggetti hanno in quanto cose, ossia i primi e autentici investimenti oggettuali; il sistema Prec nasce dal fatto che questa rappresentazione della cosa viene sovrainvestita in seguito al suo nesso con le relative rappresentazioni verbali. Abbiamo il diritto di supporre che siano tali sovrainvestimenti a determinare una più alta organizzazione psichica, e a rendere possibile la sostituzione del processo primario con il processo secondario che domina nel Prec.”
Dal punto di vista inconscio, la cultura, i nomi, le denominazioni, valgono zero. La diversità è data dalla presenza del pene o dalla sua assenza. E’ questo che connota la percezione di un essere traumaticamente (nel senso buono) diverso da sé. Ed anche i caratteri sessuali secondari, la forma del corpo, la distribuzione dei peli, l’intensità della forza fisica,  le frequenze della voce, hanno la loro economia nel fenomeno.
Mi preme qui sottolineare che non sto parlando del piano della scelta di genere, che non è l’oggetto di questa digressione, ma della gestalt percettiva totale dell’oggetto.

Se facciamo nascere bambini in un universo omogeneo (cioè in cui i due oggetti d’amore sono uguali) il bambino subirà con alta probabilità una fissazione narcisistica. Ognuno tragga le sue conclusioni stando bene attenti però a quel terribile meccanismo di difesa che è l’isolamento, per cui certe nozioni sono vere solo in seduta o quando le studiamo sui libri, ma no, non riguardano l’esistenza delle persone: li, governa l’ideologia.

Vorrei concludere con questa meravigliosa citazione del Maestro, Sigmund Freud:

la fase animistica corrisponde sia cronologicamente che per il suo contenuto al narcisismo, la fase religiosa corrisponde al grado di rinvenimento dell’oggetto caratterizzato dal legame con i genitori, e la fase scientifica trova il suo esatto corrispettivo in quello stato di maturità dell’individuo che ha rinunciato al “principio di piacere” e, adeguandosi alla realtà, cerca il suo oggetto nel mondo esterno.”
(Sigmund Freud, Totem e Tabù, cap 3., animismo, magia e onnipotenza dei pensieri, in Opere Complete, vol. 7,1912-13)

 Quirino Zangrilli ©

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