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Vorrei raccogliere in questo articolo alcune delle riflessioni che sto facendo in questi ultimi mesi dopo essermi avvicinato ed iscritto a Facebook. Per i pochi che ancora non lo sapessero, Facebook (inizialmente noto col nome di Thefacebook) è un popolare sito di social network, di proprietà della Facebook, Inc, ad accesso gratuito che conta ormai 200 milioni di utenti.1

In pratica esso rappresenta una specie di piazza virtuale dove gruppi di amici s’incontrano e possono scambiarsi, un po’ come si fa normalmente negli incontri reali, opinioni, informazioni e stati d’animo.
facebook Il nome del sito si riferisce agli annuari (facebook) che raccolgono le foto di ogni singolo membro che alcuni college e scuole preparatorie statunitensi usualmente pubblicano all’inizio dell’anno accademico e distribuiscono ai nuovi studenti ed al personale della facoltà come mezzo per conoscere le persone del campus. Dunque, il suo fine dichiarato, è quello di favorire la reciproca conoscenza.

“Scienza e Psicoanalisi” ha già ospitato due interessanti contributi dedicati alla comunicazione virtuale e colà rimando il lettore. In uno di essi Bruna Marzi ci ricorda che: “La comunicazione virtuale … riduce lo stimolo percettivo alla sola espressione scritta, privando la relazione di tutte quelle componenti sensoriali (tratti somatici, posture, espressioni mimiche, ecc.) ed ambientali che caratterizzano la relazione oggettuale.
L’assenza dell’oggetto dal campo percettivo agevola, nei soggetti predisposti, il ritiro della libido in senso narcisistico ed il conseguente investimento su un’immagine che assume le sembianze ora di ideale, ora di oggetto persecutorio.”
 2

Effettivamente, il mio personale riscontro è che la comunicazione virtuale esponga gli attori ad un transfert impregnato più di altri di idealizzazione. Il transfert 3 , come tutti sanno è la riedizione inconscia, più o meno mascherata, di precedenti schemi di azione-reazione, connessi a primitive esperienze traumatiche che abbiano determinato un accumulo energetico che fa, appunto, da motore al processo di messa in atto delle repliche transferali. La traslazione compare spontaneamente in tutte le relazioni umane, esattamente come nel rapporto tra malato e medico; essa agisce tanto più energicamente quanto meno se ne sospetta l’esistenza. La psicoanalisi non crea la traslazione, semplicemente la svela alla coscienza e se ne impossessa per guidare i processi psichici verso la meta desiderata. Nelle normali relazioni umane (tra Amanti, tra maestro e discepolo, istruttore ed atleta, sacerdote e assemblea, capufficio e impiegati, etc.) essa si dispiega in uno stato di reciproca inconscietà, alterando le relazioni sulla base di condizionamenti anacronistici.

La spinta transferale è evidente nella comunicazione in Facebook: se si osservano attentamente le iniziali interazioni, soprattutto tra “nuovi” amici, appare evidente fin dall’inizio una familiarità che non sarebbe mai possibile in una interazione reale: i due attori della relazione senza avvedersene, facendo leva su alcuni aspetti percettivi, anche subliminali, una foto, un modo lessicale di esprimersi, un luogo di residenza, la professione svolta, etc, proiettano massicciamente sull’altro precedenti frammenti di esperienza. La cosa interessante è che spesso tali pillole emozionali rimbalzano tra diversi membri del gruppo, infiltrando vicendevolmente i dialoghi. Una delle cose più frequenti, ad esempio, è la deriva verso il gioco di parole (descritto amabilmente come “cazzeggio”, laddove se ne ravvede la finalità libidica masturbatoria) che passa come un potente virus da un attore all’altro rendendo a volte ostico il permanere su un livello serio di interazione. Va detto che Facebook è una piazza virtuale, dunque non è specificamente deputato al dibattito scientifico o alla discettazione filosofica o politica (all’uopo vi sono i forum specialistici, come ad esempio quello di questa rivista, progressivamente sempre meno frequentato da quando venne appunto vietato il “pour parler”).

L’assenza del viso dell’interlocutore, della timbrica emozionale della voce, della cruciale espressività motoria e mimica che fanno da fondamentale supporto alla complessità della comunicazione interpersonale danno spesso luogo a quelle caotiche infiltrazioni di contenuti e stati emozionali così ben descritte dal Prof. Callieri sulle pagine di questa rivista:
“Da quanto sono venuto dicendo appare ben delineabile il rischio della chiusura nella realtà immaginale (una volta si parlava forse, a questo proposito, di “autismo ricco” – cfr. A. Ballerini), di attingimento a nuove forme di coesistenza (ad es. la sociabilità di Liliana Deroche-Gourcel); e qui si giustifica l’allarme della Turkle, “la strizzacervelli del cyberspazio”;; la quale ritiene (in: Life on the Screen, 1966) che il concetto di Io andrà considerato sempre meno come indicante un’istanza unitaria e sempre più come la risultante di molteplicità di frammenti e di proiezioni (il Sé proteico, di Lifton, 1993), che rispecchiano e riproducono il mondo-ambiente, l’Um-Welt; questo sé proteico, come identità multipla e decentrata o pluricentrica, non necessariamente da interpretarsi come segno di isteria o di schizofrenia”. 4


E’ evidente come questa sorta di bar virtuale, come amo definirlo, senza però che si possa ravvedere nella definizione alcun intento dequalificante (gli incontri più importanti della vita, anche quelli scientifici, si fanno di sovente a tavola!) è incline alla tutela del principio di piacere. Se nel gruppo in interazione vi è qualcuno che urta la nostra suscettibilità possiamo ignorarlo totalmente (è una regola non scritta ma praticamente de facto), o alle lunghe eliminarlo dalla nostra interazione con un semplice clic! del mouse (sfido chiunque di voi a resistere alla tentazione di “cancellare” una presenza tediosa in società, se vi fosse concessa la stessa semplicità di realizzazione!).

L’interazione transferale su Facebook è incline alla idealizzazione poiché mancano tutta una serie di fattori percettivi che nella vita reale concorrono alla definizione del giudizio dell’altro: aspetto estetico, odore, gradevolezza o meno della voce, del rispetto del territorio animale, etc. Tutti tendono a mostrare il meglio di sé: difficile trovare scritto: “Guarda che sono avaro, guarda che sono violento, guarda che sono presuntuoso, etc.”, anche se un occhio attento non ha soverchie difficoltà a cogliere tali tratti caratteriali.

La ragione per cui la stragrande maggioranza degli utenti si iscrive a Facebook è il tentativo, più o meno consapevole, di lenire la propria solitudine. La vita convulsa dei nostri tempi, frammentata dall’inumanità delle nostre città, dall’irrazionale organizzazione del lavoro, ha lasciato sempre meno spazio a quell’interazione umana, piacevole e gratificante, che fino ad un paio di generazioni passate si svolgeva sulle piazze d’Italia (e del mondo) e nei bar: un’attività in ultima analisi pulsionale, sia sessuale che aggressiva, nelle sue infinite ramificazioni. En passant è probabile che l’abolizione di questa diluizione sessuo-aggressiva della pulsionalità umana abbia anche una sua negativa economia nella progressiva ed inarrestabile riduzione della durata delle unioni coniugali: il partner diventa sempre più la “trigger zone” di scarica sessuo-aggressiva.
Dunque, in generale, la spinta fondamentale, come definisco l’amore nel mio articolo “Se questo è amore”, è una spinta sostenuta dalla pulsione sessuale (è ovvio d’altra parte, che l’interazione virtuale, come qualsiasi altra interazione, si presta anche alle personalità paranoidi alla ricerca di oggetti persecutori su cui vincolare la propria aggressività).
In questi tentativi di vincolamento sessuo-aggressivo (l’amicizia d’altra parte, secondo la fulminante definizione di Freud, è un amore inibito nella meta) una delle caratteristiche di Facebook rispetto all’interazione reale è quella della maggiore disinibizione nelle manifestazioni emozionali. Ciò, a mio parere, è dovuto all’assenza dello sguardo dell’interlocutore, dove l’occhio, la pupilla dell’altro è il luogo di proiezione privilegiato dell’attività super-egoica, non a caso quasi sempre descritta in analisi come uno sguardo che ci osserva. Su Facebook ci mostriamo ma, paradossalmente, nessuno ci guarda!
Bene evidente il ruolo dello sguardo appare nelle difficoltà che hanno ad esempio i soggetti ossessivi in analisi a mantenere la classica posizione sul lettino: l’assenza della percezione dell’altro (l’analista è in posizione defilata) rende ancora più ostico il controllo delle idee ossessive (spesso a contenuto aggressivo). A volte, nei casi gravi (borderline o psicotici), sono necessarie fasi transitorie di permesso del vis à vis altrimenti la seduta diviene talmente ansiogena da poter portare alla rottura dell’alleanza terapeutica.

Tornando alla qualità idealizzante della relazione su Facebook è ovvio che la frustrazione eventuale produrrà una delusione ancora maggiore, come si verifica sempre quando un oggetto altamente idealizzato precipita, al riscontro di realtà, dal piedistallo ove lo avevamo inconsciamente collocato. Come acutamente ci ricorda il Prof. Callieri: ”…
Certamente il rischio è … che la realtà virtuale possa condurre fuori del reale, a volte generando inquietanti sintomi di onnipotenza, con discontrollo della critica, che riverberano nella realtà giornaliera, con evidente disadattamento. Soprattutto, queste eventualità ci autorizzano a chiederci se, in un eventuale, ben delineata, psicopatologia propria del circolo Internet, sia possibile alternarsi fra un mondo concreto e uno virtuale senza rischiare drammatiche conflittualità psicopatogene.” 5 

In un interessante studio sociologico pubblicato on-line dalla rivista britannica The Economist, 6 il sociologo Cameron Marlow ha divulgato i dati sulla socializzazione degli utenti registrati su Facebook. Secondo i dati interni al sito di social networking il numero medio di amici per utente è 120. Ma ache quando l’utente raggiunge una lista di 500 amici esiste un ragguardevole scarto tra questo numero e l’effettiva socializzazione: un uomo invia commenti a 17 amici e si intrattiene in chat o scambia e-mails con 10 di loro; la donna è mediamente un po’ più socievole ed invia commenti a 26 amici e chatta o scambia messaggi di posta elettronica con 16 contatti su Facebook. Io interpreto questa autolimitazione dell’interazione con una inconscia tendenza alla ricerca degli amici consenzienti (approvazione) in una spinta di tutela del principio di piacere. Tale lusinga del narcisismo inevitabilmente rafforza la dipendenza con un meccanismo psichico del tutto affine a quello delle altre forme di dipendenza.
notifica in facebook C’è un fenomeno-spia di tale facebook-dipendenza e consiste nel reiterato controllo delle notifiche (per chi non fosse avvezzo all’uso del mezzo dirò che le notifiche sono un piccolo avviso che compare, con un numero rosso, in basso a destra sulla pagina che ci avverte che qualcuno dei nostri amici ha commentato un oggetto virtuale (foto, link, video, commento, etc.) su cui stiamo interagendo) . Nell’interazione fisica è raro (anche se possibile) che si forzino i tempi dell’interazione. In Facebook l’assenza dell’effige rende più ansiogeni i momenti di stasi tra un’interazione e l’altra. Diffusi sono, di fatto, messaggi allarmati del tipo: “Ma non hai aggiornato il tuo stato: che succede?”.

Un altro fenomeno interessante che vorrei mettere in evidenza è quello del riscontro di un turbamento netto che provoca nella cerchia degli amici la pulizia della propria bacheca: in Facebook ogni utente ha un muro (wall) virtuale su cui sia lui che tutti gli amici a cui ha concesso la possibilità, possono scrivere i loro commenti. La mia deformazione da direttore editoriale mi spinge spesso, alla ricerca dell’intelligibilità del materiale, a fare opera di pulizia sul mio muro virtuale: attività che provoca sconcerto e a volte un vero e proprio dolore in alcuni soggetti. Invano ho spiegato ai miei amici che considero Facebook un Bar virtuale ove le chiacchiere, pur interessanti, e a volte davvero illuminanti, debbano perdersi nell’etere trattenuti o meno dagli strumenti individuali di interiorizzazione e mentalizzazione.

E’ incontestabile l’esistenza di un’ipervalutazione delle proprie produzioni, in parte dovuto al fatto che le cose su Facebook si scrivano (scripta manent) ma in parte ancora ricollegabile al meccanismo di lusinga narcisistica già descritto.
Concludo, approfittando dello spazio, per una comunicazione di servizio: cari amici, rassegnatevi, pulisco spesso la mia bacheca su Facebook, il mio Bar virtuale, dove, come nella vita, perché no, si possono anche fare incontri altamente gratificanti!

Written by: Quirino Zangrilli © Copyright

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Parole chiave

Facebook
Transfert
Idealizzazione

Riassunto

L’interazione sociale su Facebook è caratterizzata da fenomeni di traslazione altamente idealizzata. L’assenza degli altri canali sensoriali facilità il ripiegamento narcisistico degli utenti.

Note:

1  Facebook. (12 aprile 2009). Wikipedia, L’enciclopedia libera. Tratto il 15 aprile 2009, 14:14. 
2 Bruna Marzi, Manifestazioni attuali del tabù del toccare: chat, sms, mms, blog, etc., “Scienza e Psicoanalisi”, 3 maggio 2006, 
3  Il Transfert, voce dell’Atlante di “Scienza e Psicoanalisi” . 
4 Bruno Callieri, La dimensione narratologica nell’attuale cultura del virtuale, “Scienza e Psicoanalisi”, 3 novembre 2002. 
5 Bruno Callieri, op. cit. 
6  “Science & Technology: Primates on Facebook“, Economist.com, 26/02/2009