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Assassini, stupratori, torturatori, serial killers, sono le nuove star televisive. A loro è dovuta un’attenzione, una sollecitudine, una rispettosa e affabile simpatia, che molti giornalisti o presentatori televisivi dispensano bonariamente.
Deve inoltre esistere una circolare amministrativa che obbliga opachi corrispondenti (che pare vengano assunti solo a patto di aver litigato con gli odiati congiuntivi e condizionali) a domandare ai parenti prossimi, di vittime inermi di demoni incarnati della pulsione di impossessamento-distruzione: “Lei perdona i massacratori di sua figlia?”.
Ogni volta che pago il canone televisivo mi assale la nausea al pensiero che andrà a retribuire dirigenti che non solo non fanno rispettare la consecutio temporum a coloro che sarebbero tenuti a saperla a menadito, ma non trovano il tempo ed il modo di richiedere un minimo di decenza ai loro dipendenti.
La televisione italiana, sia pubblica che privata, è diventata un’incubatrice di contenuti delinquenziali, un patronato della mediocrità e del voyeurismo.
Perché un fenomeno simile si verifichi è necessario che in un determinato gruppo la percentuale di perversi diventi maggioranza.
Qualche giorno fa ho dovuto udire la partecipe preoccupazione per il triste destino di Erika (ammazzò ferocemente madre e fratellino) che, orrore, raggiunto il ventunesimo anno di età, deve trasferirsi dal carcere minorile in un carcere per adulti; non una sola parola, ovviamente, per le vittime.
Nel mio scritto “Il figliol prodigo” ho tentato di chiarire le motivazioni inconsce della spinta al “Perdonismo”.

Qui vorrei aggiungere qualche breve considerazione.
Freud ci ha mostrato, scandalizzando i benpensanti del suo tempo, come l’aggressività sia una disposizione universale dell’animo umano, come qualsiasi individuo abbia in sé i germi della violenza e dell’assassinio. La società umana, d’altronde, si fonda sui sensi di colpa del Parricidio primordiale, sull’orrore che i figli provarono davanti alle spoglie del padre ucciso. “La civiltà domina il pericoloso desiderio di aggressione dell’individuo infiacchendolo, disarmandolo e facendolo sorvegliare da un’istanza al suo interno, come da una guarnigione nella città conquistata”. 1
Freud ci mostra come il sentimento di colpa possa essere originato da due fonti: dal timore che suscita l’autorità (genitoriale prima e dell’ordinamento sociale poi), e dal successivo timore che suscita il Super-Io. La prima fonte obbliga a rinunciare al soddisfacimento pulsionale. Ma dato che non è possibile nascondere al Super-Io la persistenza dei desideri proibiti, si struttura la ricerca della punizione. La severità del Super-Io prende il posto di quella dei Genitori. Il Maestro ci ricorda che, dato che la civiltà obbedisce ad una spinta erotica interna tesa ad unire gli uomini in una massa coesa, essa possa raggiungere codesto scopo solo attraverso un crescente rafforzamento del senso di colpa. Se questo è il processo che mantiene la civiltà, possiamo facilmente comprende come, in una fase storica in cui trovare un genitore che faccia il Padre è una rarità assoluta, ed in cui si percepisce la totale impunità per i delitti commessi, si possa davvero rischiare una disgregazione della civiltà umana.
Una variante degenere del corpo sociale, impadronitasi dei mezzi di comunicazione di massa, sembra voler condizionare scientemente il comune sentire, eliminando i sentimenti di pietas verso le vittime.
Sulla base di un equivoco quanto delirante egualitarismo incarnato nello slogan “Dio salvi Caino”, l’inclinazione a delinquere, che pur alberga in ognuno, in queste persone viene totalmente diniegata: per proiezione la familiarità degli impulsi aggressivi viene riconosciuta nei carnefici, verso i quali scatta una potente simpatia inconscia. E’ solo in base a questo fenomeno, o per totale ignoranza delle leggi che regolano lo psichismo umano, che alcuni giudici e psicologi possono autorizzare la liberazione di feroci assassini, per poi dirsi assolutamente meravigliati della reiterazione dei delitti.
Solo chi ha esperito una ricerca profonda sul proprio psichismo e si è familiarizzato con le proprie inclinazioni aggressive-distruttive, le ha riconosciute e dunque non le diniega, può chiedere a se stesso e conseguentemente a chiunque altro il rispetto delle regole che l’umanità si è data per costruire la struttura sociale.
Un paese in cui feroci assassini, invece di essere tenuti in condizione di non nuocere per sempre (giacché la cosiddetta rieducazione nei casi di omicidio efferato è pura fantasia ideologica, che si fonda sull’ignoranza di una legge basilare dello psichismo, denominata coazione a ripetere) trovano la libertà dopo pochissimi anni, è destinato ad una inesorabile disgregazione. A noi rimane la sola consolazione di poter dire che, consci della universale inclinazione a delinquere, una società possa avere un domani solo nella certezza della pena e nella tutela incondizionata delle vittime.

© Quirino Zangrilli

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Note:

1 – S. Freud, Il disagio della civiltà, 1929.