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Il Mal d'Amore (estratto della Conversazione tenuta da Alberto Scerrati  e Quirino Zangrilli al XXXI Convivium “AmorevolMente: il Mal d’Amore” tenutosi a Fiuggi il 12 ottobre 2013)

La definizione più icastica ma fedele che si può dare dell’amore consta di una sola parola: “ritrovamento”. E’ in questi termini che si esprimeva lo stesso Freud, parlando di “ritrovamento dell’oggetto”. Non si spiegherebbe, altrimenti, l’intimo sentire del dejà vecu di una sensazione di completezza e armonia che sempre si associa nell’amore corrisposto.

Diciamo che la formula più semplice e completa potrebbe essere: “l’amore è un tentativo di trovare risonanza e soddisfazione nell’investimento pulsionale”.

Freud ascoltando i suoi pazienti scopri che l’amore si basa su prototipi infantili. E lo fece con la scoperta del transfert nella relazione analitica. L’amore nel transfert è per il paziente la ripetizione di una serie di esperienze affettive infantili vere e/o fantasticate; l’analisi di queste ripetizioni nella relazione medico/paziente consente a quest’ultimo di capire quali oggetti e attaccamenti infantili agiscano negativamente sulla vita e le relazioni adulte e gli consente di neutralizzarne progressivamente i condizionamenti. E’ allora che, con l’abbassarsi progressivo della spinta proiettiva, cioè con un minor ricorso all’investimento sulle imago dell’infanzia, che comincia ad emergere sul proscenio della mente la prima vera relazione oggettuale adulta: si comincia, cioè, come amava ripetere il nostro Maestro Nicola Peluffo, a conoscere l’oggetto.  1

• La Regressione

Bisogna sempre ricordare che anche un amore adulto relativamente coerente e costante è soggetto a regressione e fissazione infantile.

Certo capire questo concetto potrebbe togliere molta della drammaticità che attribuiamo alla perdita, rendersi conto che, ci piaccia o no, l’Altro è in gran parte il simulacro di un amore infantile.

Quando mi occupo del mal d’amore, una delle sofferenze più grandi che alcune strutture psichiche possano patire, il primo scopo che mi prefiggo è dimostrare che il dolore viene da un altro tempo e che quasi nulla ha a che fare con il tempo presente e la relazione attuale.

Non voglio passare per un cinico, ritengo che la perdita di un amore procuri anche quote di dolore che hanno origine dalla perdita dell’oggetto presente, ma nulla potrebbe costringere un adulto a suicidarsi (come a volte avviene) se non avesse un vissuto di terrore, che solo un bambino o un lattante abbandonato può sperimentare.

Questa operazione di mostrare agli analizzati la provenienza oltre il tempo dei loro vissuti dolorosi non è semplice come potrebbe sembrare. Tutta una serie di meccanismi difensivi tra cui, per nefasta efficacia svettano la scissione ed il diniego, la rendono estremamente faticosa.

• Amore e Sessualità

Come, d’altra parte, è estremamente difficile separare concettualmente l’amore dalla spinta sessuale; Lo spunto di riflessione ci viene da una secca frase di Freud che egli inserisce all’inizio del 3° saggio sulla sessualità: “Solo l’esatta convergenza delle due correnti dirette verso l’oggetto sessuale e la meta sessuale, ossia la corrente affettuosa e quella sensuale, assicura una vita sessuale normale”. 2 Freud precisa che negli uomini, allo scoccare della maturazione puberale, la nuova meta sessuale diventa l’emissione dei prodotti sessuali. La meta precedente, ossia il conseguimento del piacere con ogni mezzo possibile, che ha accompagnato tutte le precedenti fasi di sviluppo dell’organizzazione libidinale, non le è certo estranea; anzi, il culmine del piacere è connesso a questo atto finale del processo sessuale.

Solo che ora “…l’istinto sessuale si subordina alla funzione riproduttiva, divenendo, per così dire, altruistico”.  (op. cit.) Sono affermazioni su cui vorrei richiamare l’attenzione soprattutto dei colleghi poiché troppo spesso l’enfasi è stata messa sull’assoluta autonomia della spinta sessuale dal sentimento. Al riguardo Freud, con le efficaci metafore di cui spesso si serve, precisa: “E’ come perforare una galleria dalle due parti” per intendere che la fusione di sentimento e spinta sessuale facilitano l’atto e lo potenziano sinergicamente.  (op. cit.)

Per sentirsi amati sono necessari la costanza della percezione del Sé e un solido narcisismo secondario, di conseguenza in una relazione è necessaria la reciprocità amorosa.

Per narcisismo secondario noi psicoanalisti intendiamo quell’attività plastica di poter ritirare gli investimenti della libido che abbiamo fatto su oggetti perduti. Il lavoro del lutto ne rende evidente la grande difficoltà. Ma è solo questa capacità di “riprendersi” gli investimenti e di riportarli transitoriamente sull’Io che rende possibile lo stabilirsi di relazioni future.

Sono elementi importanti delle relazioni d’amore la capacità di trovare nel partner mezzi per elaborare perdite o traumi e l’instaurazione di un senso continuativo di intimità esclusiva, unito alla percezione di una solidarietà.

L’amore si mette pertanto al servizio del progetto vitale dopo il superamento del fisiologico Narcisismo Primario. Ed allora può sembrarci astrusa l’idea che l’espressione di una funzione talmente primaria possa essere continuamente disturbata da una concomitante conflittualità interna.

In primo luogo la spinta istintuale al contatto, alla fusione, alla compenetrazione, deve vincere un’altra spinta, di segno contrario, inscritta in ogni organismo: la battaglia con l’Altro o l’avversario che si compie incessantemente a livello cellulare e immunitario.  Questa attività di salvaguardia della propria unicità esiste e si manifesta anche a livello psichico e l’interazione inconscia che esiste tra le persone fa si che esista nel profondo di ognuno di noi la spinta all’eliminazione dell’avversario, e molto spesso il partner assume inconsciamente i connotati dell’avversario.

Nelle regressioni gravi e in certi casi di arresto dello sviluppo l’individuo è incapace di amare. Questa incapacità è spesso associata ad aggressività primitiva, odio per sé stesso e per l’oggetto. Oppure ad un terrore di svuotamento, come per esempio accadeva ad un giovane uomo che aveva perso sua madre all’età di tre anni. Lo svuotamento libidico dato dalla scomparsa dell’oggetto avvenuto in uno stato simbiotico gli aveva lasciato un terrore insuperabile: ogni volta che la spinta sessuale lo avvicinava ad una donna il suo vissuto era quello di volatilizzarsi nell’altra.

Talora l’amore viene trasferito dagli oggetti originari a oggetti e cause collettive; alla religione, a sublimazioni artistiche, intellettuali e atletiche; ad animali domestici e a interessi quasi esclusivamente personali. Pur essendo difficile delineare il concetto di amore, tutto l’amore adulto ha caratteristiche sia infantili e inconsce che mature e manifesta sempre la tendenza a identificarsi con l’oggetto d’amore e a idealizzarlo. Dopo questa succinta introduzione parleremo soprattutto degli aspetti patologici dell’amore, dell’amore disfunzionale, come è di moda definirlo ai giorni nostri.

• L’Ipereccitazione Amorosa, eccitazione precoce Cherubino

Cherubino è uno dei personaggi-chiave ed enigmatici dell’opera mozartiana “Le Nozze di Figaro”. E’ il paggio del Conte ed è affetto da eccitazione precoce, attratto sia dalla matura Contessa che, soprattutto, dalla “puberale” Barbarina, figlia dodicenne del giardiniere del Conte.

La sua ambivalenza erotica, alla maniera classica di un Eros raffigurato come bambino, ma anche talvolta con fattezze femminili, è sottolineata sia dal ruolo dell’interprete (mezzosoprano, nonostante il personaggio maschile) che dal futuro travestimento nei panni di Susanna, di cui Cherubino è destinato ad assumere le sembianze per tendere un tranello al Conte, coniuge infedele, in una trama tipica della commedia degli equivoci di stampo settecentesco.

Ma non basta, perché più avanti Cherubino cercherà di importunare la stessa Susanna, cameriera del Conte nonché promessa sposa di Figaro. Il nome non appare casuale: i Cherubini, infatti, nella tradizione biblica, sono una schiera di angeli, tra le più vicine a Dio. E come tutti gli angeli, sono ambivalenti rispetto al sesso. E non appare casuale nemmeno il nome di Barbarina, alter-ego nonché oggetto d’eccitazione erotica, come contraltare “selvaggio” all’angelico nome di Cherubino.

1)   Cavatina di Cherubino: “Non so più cosa son, cosa faccio”

Non so più cosa son, cosa faccio, or di foco, ora sono di ghiaccio, ogni donna cangiar di colore, ogni donna mi fa palpitar.

Solo ai nomi d’amor, di diletto, mi si turba, mi s’altera il petto e a parlare mi sforza d’amore un desio ch’io non posso spiegar.

Parlo d’amor vegliando, parlo d’amor sognando, all’acque, all’ombre, ai monti, ai fiori, all’erbe, ai fonti, all’eco, all’aria, ai venti, che il suon de’ vani accenti portano via con sé. E se non ho chi mi oda, parlo d’amor con me.

(NB: Significativo quel “Non so più cosa SON”, ancor prima di “cosa FACCIO”, a sottolineare il senso di smarrimento, quasi di perdita di sé. Per non parlare di quel finale “parlo d’amor con me”, che sfiora il narcisismo)

(Si consiglia la visione della clip sottostante)

Qui si vede la funzione difensiva dell’eccitazione precoce: l’oggetto non può essere l’adulta. La bambina e l’anziana per ragioni diverse sono donne dimezzate, dominabili, che non fanno tanta paura quanto la donna sessulmente matura e potenzialmente feconda.

L’indeterminatezza del sesso, il travestitismo, il transgender, lungi dall’essere una scelta di libertà  è tipica di chi non può assumere un ruolo sessuale definito: sostenere l’esistenza di un terzo sesso è un’affermazione delirante, propria di chi trasforma un suo desiderio/fantasia inconscia in una realtà.

La verità è che l’assunzione del ruolo eterosessuale, ricordiamolo, l’unica possibilità offerta dalla psicobiologia naturale di dar vita al’eternamento del genoma, è impresa faticosa poiché impone la rinuncia progressiva a quote di amore narcisistico.

“ (…) L’intera vicenda può anche essere letta come una metafora delle diverse fasi dell’amore: Cherubino e Barbarina rappresentano l’amore acerbo, Susanna e Figaro l’amore che sboccia, il Conte e la Contessa l’amore logorato e senza più alcuna passione, Marcellina e don Bartolo l’amore maturo (…)” 3

L’importanza del personaggio (forse è ravvisabile una qualche identificazione dello stesso Mozart giovane; basta ricordare il celebre film “Amadeus” di Milos Forman) è sottolineata dalla celebrità delle arie che lo riguardano: “Non so più cosa son, cosa faccio” (cavatina = autopresentazione, esordio scenico); “Voi che sapete che cosa è amor”, e la celeberrima “Non più andrai farfallone amoroso”.

Quest’ultima aria è cantata da Figaro per prendersi gioco del suo amico-rivale: Cherubino, infatti, è stato appena scoperto dal Conte nelle sue “attenzioni” verso la Contessa. Spinto dalla gelosia, questi monta su tutte le furie e ordina la partenza immediata del paggetto per Siviglia, dove dovrà arruolarsi come ufficiale del suo reggimento.

2) Aria di Cherubino: “Voi che sapete che cosa è amor”

Voi che sapete che cosa è amor,

donne vedete s’io l’ho nel cor.

Quello ch’io provo vi ridirò;

è per me nuovo, capir nol so.

Sento un affetto pien di desir,

ch’ora è diletto, ch’ora è martir.

Gelo, e poi sento l’alma avvampar,

–> (NdR: di nuovo, “ or di foco, ora sono di ghiaccio”, vedi sopra)

e in un momento torno a gelar.

Ricerco un bene fuori di me.

Non so ch’il tiene, non so cos’è.

Sospiro e gemo senza voler,

palpito e tremo senza saper

–> (NdR: di nuovo, temi dell’aria precedente)

Non trovo pace notte, né dì,

ma pur mi piace languir così.

Voi che sapete che cosa è amor,

donne, vedete s’io l’ho nel cor.

(Si consiglia la visione della clip sottostante)

 

Quel “è per me nuovo, capir non lo so” rende evidente lo smarrimento e la fatica, intesa come lavoro mentale che cozza contro la spinta al principio di piacere, che tenderebbe a rimanere in una posizione narcisistica di investimento autoerotico. Se per amare si intende un oggetto diverso da sé è evidente che l’attività non è innata ma si deve compiere un cammino per staccarsi dal fisiologico narcisismo/autoerotismo della prima infanzia. (Ricerco un bene fuori di me. /Non so ch’il tiene,non so cos’è.) nel frammento:

Sento un affetto pien di desir,

ch’ora è diletto, ch’ora è martir.

Gelo, e poi sento l’alma avvampar,  

C’è tutta la fatica dell’investimento oggettuale. Se è l’oggetto esterno che deve riscaldarci rischiamo di depauperarci di calore (libido) se l’oggetto non “risponde”. L’investimento diviene uno svuotamento che in strutture fragili può condurre alla morte.

il tema è stato ben rappresentato nel film Le relazioni pericolose del 1988, diretto da Stephen Frears, tratto dal romanzo Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos. Ricorderete come il co-protagonista Valmont (interpretato da John Malkovich), istigato dalla perversa Marchesa de Merteuil (Glenn Close) seduce la semplice e disarmante Madame de Tourvel (Michelle Pfeiffer), che con la sua bellezza e il suo candore lo colpisce e lo interessa, per poi abbandonarla senza ragione alcuna ripetendole ossessivamente la frase “trascende ogni mio controllo”. La giovane donna sopraffatta dal dolore, dall’umiliazione e dalla vergogna morirà di crepacuore.

Cherubino rappresenta, per così dire, il “motore erotico” della vicenda, l’animatore di tutti gli approcci e di tutti i tradimenti, veri o presunti.   L’eccitazione amorosa che esordisce in lui in età precoce, in modo così imprevisto ed incontrollabile, è un fatto nuovo di cui non riesce a rendersi conto né a intuire la causa. E’ energia che si affaccia dal sotterraneo, è vivere emotivo che bussa prepotentemente alla porta, lasciandolo confuso e agitato. Energia che non sa da dove venga né dove conduca, ma di cui sperimenta quella sensazione di irrequietezza, cui tuttavia è bello abbandonarsi, magari per un istante. E’ il femminile che irrompe con forza nell’esile contenitore di Cherubino, scuotendolo dalle fondamenta. 

Da un racconto in cerca d’autore:

“Avvenne alla prova del mio primo saggio di pianoforte. Non avevo ancora compiuto 10 anni e, prima di allora, il mio rapporto col pianoforte era stato del tutto solitario; ma già la presenza, in quell’occasione, di altri bambini e ragazzi mi dava una certa eccitazione. Chissà, forse per la imminente chance di esibirmi e di ricevere sorrisi e sguardi compiaciuti. Lei aveva al massimo un paio d’anni più di me, e le toccò “aprire le danze”, con tre bevi brani di Mozart: Minuetto, Aria e Canzonetta. Aveva appena iniziato, quando cominciai a provare una qual effervescenza mai provata prima, che non riuscivo a spiegarmi: forse la grazia delle musiche, al di là della loro esecuzione, forse il bordo della sua gonnellina che sciattamente si ritirava ad ogni colpo di pedale, forse la sua espressione dimessa, quasi rassegnata. Quando arrivò alla Canzonetta, composta sul motivo popolare francese di “Ah vous dirai-je maman” (titolo che avrei scoperto anni dopo), la mia emozione iniziò a diventare incontrollabile. Dovetti iniziare a distrarmi, a bella posta, dall’ascolto e dalla visione: iniziai a guardare il soffitto, l’insegnante, gli altri bambini. Quando toccò a me provare i pezzi di Schubert, ero ancora turbato, tanto da eseguirli piuttosto male. Ero ancora troppo distratto dal pensiero di quei momenti di felice turbamento. E continuai a fissarli, anche tornato a casa. Di notte, mi svegliai più volte con il motivo della Canzonetta che non smetteva di ronzarmi in testa, insieme al viso di lei, alla sua veste lilla portata alla sans façon, alla sua gonna maliziosamente sollevata sulle gambe, al suo sguardo introverso. Tutto continuò fino al giorno del saggio, ed anche oltre. Provavo emozione e turbamento ogni qual volta la vedevo in strada o l’incrociavo a lezione di piano. Ed ancora per un certo tempo, anche nei saggi degli anni successivi, trepidavo nell’incontrarla e nell’ascoltarla. Addirittura, negli anni dell’adolescenza, inaugurai il mio primo sogno erotico con le note di un brano da lei eseguito. Ma la ragazza del sogno non era lei e non poteva esserlo, tanto grande era la differenza tra il suo essere, chiuso e scontroso, e la fanciulla del sogno, così dolcemente sorridente, accogliente e aggraziata. Continuavo a compiacermi dei miei ricordi e delle mie fantasie, finché un giorno non la vidi accompagnata da un ragazzo. Passeggiavano abbracciati, con passo scomposto, parlando e ridendo in un modo che sfiorava la volgarità: ma non fu quest’aspetto a cancellarla dalla mia immaginazione, quanto il fatto che qualcun altro l’aveva ormai “violata”. Ma forse non cercavo altro che un pretesto per “tirarmi indietro” in una corte che, in realtà, non le avevo mai fatto. Nel frattempo un’altra allieva pianista, molto più brava, iniziava ad affascinarmi prepotentemente, nonostante qualche dentino storto. Ma era carina nelle maniere, simpatica e sorridente: insomma più simile alla ragazza del sogno. Altro che, se sorrideva … e soprattutto, sotto le sue mani, il pianoforte ruggiva come una Ferrari” 

…Continua

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Note:

1 – Nicola Peluffo, Conoscere l’Oggetto, Scienza e Psicoanalisi, 1 giugno 2005.  torna su!
2 – S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, 1905  torna su!
– Da Wikipedia (“Le Nozze di Figaro”)  torna su!

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