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(Estratto della Relazione tenuta all’incontro di studio “OMEOPATIA: Lezioni su i sette peccati capitali”, Cervaro (FR), 14 dicembre 2002)

Cercherò di dimostrare come la definizione dei sette peccati capitali sia un tentativo di ritualizzazione di una vicenda fondante dello psichismo del genere umano: l’uccisione del Padre primigenio e la consumazione del pasto totemico; che nel rito sono condensate tutte le fasi e gli aspetti della vicenda; che dunque i sette peccati sono in realtà Uno: quello capitale, rifacendomi, per capitale, all’evidente etimologia: capitale, dal latinocaput, ossia ”Ciò che riguarda il Capo”.

Innanzitutto abbiamo la necessità di definire il termine “peccato”. Per farlo mi servirò di alcune riflessioni del Dott. Iakov Levi, psicostorico israeliano, che potete visionare in interezza in Psychohistory.
Nella Bibbia, ci segnala Levi, ci sono due parole per peccato. La prima CH -T- ‘ (CHA TA A) ha la stessa radice di “errore”. Quindi peccare significa sbagliare. In ebraico moderno si usa anche per fallire o sbagliare la mira. Per la prima volta appare in Esodo 32,31a proposito del peccato del vitello d’oro: “Ha peccato questo popolo, un grande peccato, e si e’ fatto un vitello d’oro”. Poi in Es., 32,33: “Chi ha peccato contro di me lo cancellerò dal mio libro”. Da queste due citazioni sembra che CH – T – ‘ richieda la pena di morte. Ma poi in Levitico appare una lunga serie di citazioni in cui il CH -T – ‘ è espiabile sacrificando un ariete , in un caso anche pagando del denaro al posto dell’ariete (4,3; 4,23; 4,28; 4,35; 5,6; 5,7;5,10; 5,11; 5,13; 5,16; 19,17; 19,22; 22,9) Ovvero, sembra che sia generalmente espiabile, ed è sempre qualcosa di molto concreto. Un’infrazione misurabile e soppesabile ben specifica. In Deuteronomio 21,22 il riferimento a “peccato” è particolarmente interessante poiché troviamo: “Quando ci sarà nell’uomo peccato che comporta la pena di morte…”, ovvero, l’implicazione è che ci siano CH- T – ‘ che implicano la pena di morte e quelli che non la implicano.
La seconda parola usata per peccato, ricorda ancora Levi, è ‘A -VO -N. (Gn., 15,16; 44,16; Es., 20,5; 28,38; 28,43; 34,7).
Es. 34,7 è particolarmente interessante poiché dice: “Farò ricadere il peccato dei padri sui figli”, concetto in contraddizione con il resto delle prescrizioni della Torà, poiché è scritto: “Non metterai a morte il padre per il peccato del figlio, e non metterai a morte il figlio per il peccato del padre. Ognuno sarà messo a morte per il suo peccato (CH -T -‘)” (Deut., 24,16). Ma mentre in Es., 34,7 è adoperato ‘A -VO – N, in Deut 24,16 è adoperato CH – T -‘. Sembra che A – VO – N non sia un peccato misurabile e quindi espiabile, bensì un’empietà non espiabile che si trasmette di generazione in generazione.
Una entità non misurabile è un’entità di cui si siano persi i riferimenti percettivi, probabilmente perché si sono dissolti nella notte dei tempi o sia protetta da meccanismi psichici di diniego, poiché la presa di coscienza dell’accaduto è talmente ansiogena, da preferire l’oblio o il misconoscimento alla elaborazione (comprensione – vincolamento – neutralizzazione).
Analizzando le citazioni bibliche possiamo avanzare l’ipotesi che il peccato fosse stato esclusivamente un peccato contro dio e l’infrazione di un tabù, legata al corpo stesso del dio. Questo peccato poteva essere espiato solo con la morte. Più tardi, al posto della morte, in certi casi fu concesso di sacrificare un ariete , come nel caso del sacrificio di Isacco che fu sostituito da quello di un ariete. L’ariete rappresenta anche il dio stesso e quindi il sacrificio allude anche all’oggetto contro il quale il peccato era stato commesso, condensando il corpo del peccato e l’espiazione (Iakov Levi, comunicazione personale)

Come è noto, nella parte terminale della sua esistenza Sigmund Freud concentrò le sue energie residue nel tentativo di comprendere la psicologia dei popoli e di individuare la radice universale del senso di colpa: questi sforzi partorirono diversi lavori fondamentali uniti da un costante filo associativo che, partendo da “Totem e Tabù” (1912-13), passa per “Psicologia delle masse ed analisi dell’Io” (1921) per giungere a “L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi” (1934-38).

Freud accoglie le ipotesi del 1874 di Darwin sull’esistenza dell’orda primordiale: secondo la quale, in tempi antichissimi, esisteva un tipo di organizzazione sociale, denominata “Orda primordiale”, in cui gli esseri umani vivevano in piccoli gruppi, sui quali dominava un uomo forte, violento e geloso che si appropriava di tutte le donne, con le quali giaceva e procreava, tenendole lontane dai propri figli e dagli altri giovani maschi, che sovente, quando minacciavano la sua dominanza, evirava. Lo stesso Freud ipotizzò che il ripetersi lungo il cammino evolutivo dell’essere umano di tali avvenimenti traumatici lasciasse nell’individuo una traccia mnestica in cui l’originario avvenimento, realmente consumato, fosse sostituito da rappresentazioni e fantasie inconsce (Psicologia delle masse e analisi dell’io 1921 – L’uomo Mosè e la religione monoteistica, 1934-38).
Ad esempio è solo in base a questa ipotesi che possiamo spiegare il perché, al giorno d’oggi, dopo un periodo di migliaia di anni in cui non si pratica più la castrazione reale dei figli, come, secondo l’ipotesi di Darwin veniva realizzata nell’orda primordiale, i contenuti inconsci che affiorano, nel corso del lavoro analitico, in individui di ogni razza, cultura e credo religioso, siano proprio quelli di un vissuto autentico di castrazione.
Una castrazione talmente potente fantasmaticamente che molti analizzati di sesso maschile, una volta condotta a termine una psicoanalisi, esprimono spesso commenti del tipo: ”Dottore, credo che il mio pene sia cresciuto enormemente in questi ultimi mesi: è possibile?” – oppure -”Ieri, casualmente ho osservato il pene di mio padre nel suo letto d’ospedale: non è così gigantesco come l’avevo sempre visto!”.
Come ricorda Freud “Se studiamo le reazioni ai traumi del bambino piccolo, siamo spesso sorpresi di trovare che esse non si attengono strettamente all’effettiva esperienza individuale, ma si allontanano da essa in una maniera che si adatta assai meglio al modello di un evento filogenetico e che, in modo del tutto generale, si spiega solamente mediante un suo influsso” (Sigmund Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi, 1934-38, Opere, Vol. 11, Boringhieri, Torino, 1975).
Freud studiò a fondo il totemismo, un sistema di organizzazione sociale, esistente, agli albori della civiltà in ogni continente.
Un totem è una categoria di oggetti materiali verso i quali il selvaggio testimonia un rispetto superstizioso perché crede che esista tra la propria persona ed il totem un profondo e particolarissimo rapporto. Possiamo distinguere almeno tre tipi di totem: 1) il totem del clan, che appartiene a un intero clan e si trasmette ereditariamente da una generazione all’altra; 2) il totem del sesso, che appartiene a tutti i maschi o a tutte le femmine dì una tribù, con esclusione in entrambi i casi dell’altro sesso; 3) il totem individuale, che appartiene a una singola persona e non si trasmette ai suoi discendenti. Il clan si attende dal suo totem protezione e riguardi.
L’aspetto sociale del totemismo si esprime anzitutto in un comandamento rigorosamente osservato e in una restrizione imponente. i membri di un clan totemico si percepiscono come fratelli e sorelle (anche se biologicamente possono anche non esserlo), in dovere di aiutarsi reciprocamente e di proteggersi a vicenda.
La restrizione tabù che corrisponde a ciò consiste nel divieto imposto ai membri di uno stesso clan totemico di sposarsi tra loro e di avere un qualsiasi rapporto sessuale all’interno del clan (quindi un tabù incestuoso particolarmente ampio e potente).
Se si vuole giungere a caratterizzare il totemismo originario, emergono i seguenti tratti essenziali: Tutti i totem erano in origine animali, ed erano considerati gli antenati delle singole tribù. Il totem si ereditava soltanto per linea materna. Era proibito uccidere il totem. Era proibito ai membri di uno stesso clan totemico avere rapporti sessuali tra loro.
il rapporto tra bambino e animale è molto simile a quello tra uomo primitivo e animale. Nell’eccellente intesa tra bambino e animale compare non di rado un singolare elemento di disturbo. Il bambino comincia improvvisamente a temere una determinata specie di animali e a proteggersi dal contatto o dalla vista di tutti gli individui appartenenti a quella specie: sono le famose zoofobie infantili, talmente diffuse, diremo universalmente, poiché qualora non dovessero appalesarsi clinicamente, i loro equivalenti sarebbero ben evidenti in sogni d’angoscia con animali, da essere considerate fasi fisiologiche di transizione del processo di maturazione dello psichismo.
Il manifestarsi della fobia per gli animali è semplicemente dovuto a uno spostamento sugli animali della paura nutrita verso i genitori. L’analisi mostra le vie associative, sia quelle dense di significato sia quelle casuali, lungo le quali procede questo spostamento. Si può dire che nelle zoofobie infantili riappaiono, volti al negativo, alcuni tratti caratteristici del totemismo: sono gli animali che si rivoltano e ci minacciano. Per la nota legge del taglione “verrà fatto a te ciò che hai fatto ad altri”. Se l’animale totemico è il padre, i due comandamenti fondamentali del totemismo, le due prescrizioni tabù che ne costituiscono il nucleo – non uccidere il totem e non aver rapporti sessuali con una donna appartenente allo stesso totem – coincidono quanto a contenuto con i due delitti di Edipo, che uccise il padre e prese in moglie la madre, e con i due desideri primordiali del bambino, la cui insufficiente rimozione o il cui ridestarsi formano il nucleo universale di tutte le psiconevrosi. L’uccisione sacramentale e la consumazione collettiva dell’animale totemico, altrimenti proibito, è un elemento importante della religione totemica.
La festa è un eccesso permesso, anzi offerto, l’infrazione solenne di un divieto.
L’eccesso è nella natura stessa della festa; l’umore festoso è provocato dalla libertà di fare proprio ciò che solitamente è severamente proibito. I membri del clan, consumando il totem, si santificano.
La psicoanalisi ci ha rivelato che l’animale totemico è realmente il sostituto del padre: si accordano con questa scoperta la profonda ambivalenza rituale che si accompagna alla festività: credo non possa sfuggire a nessuno che a Pasqua si mangi l’agnello, quello stesso “Agnello di dio che toglie i peccati del mondo” che poi è il Cristo sacrificatosi, che è per ripetizione, di nuovo stato sacrificato in vece del padre.
L’uccisione dell’animale, altrimenti proibita, assurge a occasione festosa, e tuttavia l’animale viene ucciso e addirittura compianto. L’antico pasto totemico ricorre ai nostri giorni nella forma originaria del sacrificio.
Si suppone che lo stesso dio fosse l’animale totemico, poi, in epoca successiva, l’animale perde la sua sacralità e il sacrificio la relazione con la festa totemica: diventa una semplice offerta alla divinità, un’autorinuncia a favore del dio. Possiamo seguire attraverso i tempi l’identità del pasto totemico col sacrificio animale, col sacrificio degli dei umani incarnati e con l’Eucarestia cristiana e riconoscere in tutte queste solennità la conseguenza del crimine che ha tanto oppresso gli uomini, e del quale tuttavia essi dovettero andare così superbi. Ma la comunione cristiana è in fondo una nuova eliminazione del padre, una ripetizione dell’azione da espiare.

Ed ora possiamo giungere ai nostri famosi sette peccati capitali.
Essi sono:

– 1 – la superbia
– 2 – l’avarizia
– 3 – la lussuria
– 4 – l’ira
– 5 – la gola
– 6 – l’invidia
– 7 – l’accidia.

Questo è l’ordine con il quale essi vengono ritualizzati. Non sappiamo se la sequenza sia sempre stata questa, ma essa è veramente suggestiva per la tesi che sto esponendo.
Il proscenio è occupato da un piccolo gruppo di esseri umani che vivono in branco, come accade per altre specie in cui vige un’organizzazione sociale. Su di loro domina un maschio tirannico e dispotico che è sollevato dalle fatiche del raccogliere e del cacciare. Giace con le donne dell’orda che tiene tutte per sé: uccide i giovani maschi che osano sfidare la sua leadership.
E’ il superbo (dal lat. superbus, da un più antico superbhos, da super ed un secondo elemento, il tema bho, dalla radice indoeuropea bhewe (= germogliare, crescere), quindi = Colui che sta sopra coloro che devono crescere.
Come osserva Freud: “I singoli componenti la massa (l’orda) erano soggetti a legami, allora come lo sono oggi, ma il padre dell’orda primordiale era libero. Pur essendo egli isolato, i suoi atti intellettuali erano liberi ed autonomi, la sua volontà non aveva bisogno di essere rafforzata da quella degli altri. Per conseguenza noi supponiamo che il suo Io fosse scarsamente legato libidicamente, che non amasse nessuno all’infuori di sé medesimo e che amasse gli altri solo se e in quanto servivano ai suoi bisogni. Il suo Io non cedeva agli oggetti nulla che non fosse strettamente indispensabile”. (S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, 1921)
Egli, aggiungo io,tiene per sé i beni più ambiti, le donne, reclama a sé il raccolto ed il primo morso alla cacciagione: l’avarizia.
E’ l’unico dell’orda che abbia libero sfogo alla sua libido genitale: lussuria.
Ha il possesso esclusivo delle donne: può realizzare la potente fusione di pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io: lo sfogo libidinale si fonde con la spinta all’eternamento del genoma.
I giovani figli, la torma dei fratelli, può dedicarsi solo alla masturbazione o all’accoppiamento omosessuale e sarà proprio l’alleanza omosessuale dei fratelli che darà al branco dei giovani l’ardire di sfidare il padre.
Ecco l’ira, il dispiegamento della furia omicida.
Il parricidio viene compiuto ma i figli non si fermano qui: mangiano e godono oralmente del corpo del padre per incorporarne la potenza fallica: la gola.
E’ molto probabile che dal pasto totemico fossero escluse le donne dell’orda: è noto come in tutte le popolazioni primitive, e non solo in quelle (basta pensare al sacerdozio cristiano) le donne fossero tenute fuori dal rituale religioso. D’altra parte, ai tempi attuali la donna ha accesso alla dispensa di tutti i sacramenti tranne uno, quello fondamentale, la Comunione, il mangiare rituale del corpo del Cristo figlio e padre, cioè è esclusa dal pasto totemico, dunque dal possesso della potenza fallica paterna: invidia.
Dopo il baccanale rituale subentra la stasi ed il crogiolarsi nei piaceri del tedio dei nuovi privilegi: l’accidia.

Ma perché i peccati capitali sono sette? I comportamenti antisociali sono ben più numerosi, ed alcuni, potenzialmente eversivi, come l’inclinazione al furto.
Qui entriamo nel regno del rituale.
Come ci ricordano Iakov Levi e Luigi Previdi ne “II numeri sacri e il loro simbolismo” “Il numero sacro degli Ebrei, che ricorre senza fine, è il numero sette.
Si comincia dalla cosmogonia, in cui Dio completa la sua creazione in sette giorni.
Poi Noè vene comandato di portare nell’arca sette paia di ogni animale mondo e sette paia di ogni uccello mondo, «perché tra sette giorni farò piovere sulla terra… e dopo sette giorni le acque del diluvio furono sopra la terra.» (Gn.7, 2-10).
Tra la prima volta che Noè manda fuori dell’arca la colomba al secondo tentativo passarono sette giorni, e così tra il secondo tentativo e il terzo (Gn.8, 10).
Quando Abramo conclude un patto con Abimelech: «Abramo mise in disparte sette agnelle del gregge, Abimelech disse ad Abramo: «Che significano quelle sette agnelle che hai messo in disparte?. Rispose: «Tu accetterai queste sette agnelle dalla mia mano, perché ciò mi valga da testimonianza…» (Gn.21,28-30).
E nel contesto dello stesso racconto: “Per questo quel luogo si chiamò Bersabea (Beersheva), perché là fecero giuramento tutti e due” (21,31).
In ebraico beer vuol dire pozzo e sheva vuol dire sette, e la stessa radice sh-v-a’ significa giuramento (Shvua’), quindi sette e giuramento sono la stessa parola.
In un contesto simile alla sacralità connessa al patto e al giuramento, associati al numero sette: “Balaam disse a Balak: “Costruiscimi qui sette altari e preparami qui sette giovenchi e sette arieti” (Num.23,1). Balaam spera di riuscire a maledire i figli d’Israele esorcizzando la loro potenza attraverso la forza magica del numero sette. 

Ecco un fatto molto importante: il sette significa patto e giuramento.
L’ipotesi finale di Freud è che i parricidi fossero al fine schiacciati dal tremendo senso di colpa di aver ucciso il padre, leit motiv delle tragedie di tutti i continenti ed abbiano giurato a se stessi, suggellato un patto sacro, che ciò non dovesse più ripetersi. Il padre ucciso tornava ben più potente di prima: ora diveniva Dio padre cui i figli devono cieca obbedienza. Il parricidio è il peccato originale e quest’ultimo, non a caso, è un parricidio mascherato: i figli di Dio cercano di prendere il suo posto, commettendo un peccato di Superbia: vogliono mangiare il frutto dell’albero della Conoscenza, cioè prendere il posto di Dio.
La vicenda del parricidio dell’orda è d’altra parte già rappresentata nella genesi di Satana: Lucifero, o Satana, condusse un altro gruppo di angeli a ribellarsi contro Dio, molto prima della stessa caduta di Adamo ed Eva. Sebbene fosse stato creato perfetto (difatti alla creazione tutto era “molto buono”, Ge. 1:26), Satana si ribellò contro Dio pensando di prevalere.
In Genesi 3, quando Eva fu tentata, Satana, sedusse Eva dicendole: “DIO sa che nel giorno che ne mangerete, gli occhi vostri si apriranno e sarete come DIO, conoscendo il bene e il male” (Ge. 3:5). Mi pare qui assolutamente trasparente il fatto che il vero frutto della conoscenza fosse Dio stesso.

Non solo: il numero sette è legato al concetto di riti di espiazione e purificazione.
Come sottolinea ancora Levi ci sono innumerevoli esempi nelle Scritture che il numero sette sia legato al tabù del toccare, ma il tabù più importante evidenziato dallo psicostorico di Tel Aviv è per me quello dei morti: «Chi avrà toccato un cadavere umano sarà immondo per sette giorni» (Nm.19,11).
Toccato, dice… pensate averne divorate le carni…

E’ stata compiuta una formidabile opera di condensazione, di spostamento, di suddivisione perché si perdessero i legami con l’Evento fondante di ogni religione: il parricidio, il pasto totemico, il patto dei fratelli, la creazione del Rito, la genesi del Peccato: i sette peccati capitali sono solo uno: l’uccisione del Capo.

Written by: Quirino Zangrilli © Copyright

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