Print Friendly, PDF & Email

 (Tratto dalla relazione presentata al XXIII Valcamonica Symposium 2009 pubblicata nei pre-atti dal Centro Camuno di Studi Preistorici)

Introduzione

Il materiale dal quale prendono spunto le mie riflessioni è quello clinico, raccolto durante l’ascolto frequente e prolungato degli analizzati che portano nella stanza di seduta i loro conflitti e le loro angosce. In questo materiale, come del resto in quello raccolto da ogni psicoanalista, sono presenti una serie di costanti rappresentazionali e affettive facilmente rintracciabili anche in altri campi in cui si manifesta l’espressività umana. E ciò, spesso, a prescindere dalle latitudini, dai contesti culturali, così come dalle epoche storiche. Come scrive S. Fanti in “Dopo aver”, un libricino autobiografico in cui l’autore ripercorre in stile letterario i suoi innumerevoli viaggi nel mondo ed il suo incessante cammino interiore, è possibile ritrovare, in luoghi anche molto lontani tra loro, magari sotto nomi diversi, le stesse usanze, costumi, credenze, effigi, personaggi letterari, mitologici o religiosi, ecc.
Dopo aver a lungo viaggiato fuori e dentro di sé Fanti scopre che gli artisti di tutti i tempi hanno continuamente tentato di esprimere gli Archetipi individuali e collettivi e accostandosi al proprio fondo umano, comune a tutti, scopre che i suoi pensieri, azioni e credenze trovano fondamento nelle tracce lasciate nel suo psichismo dai suoi innumerevoli progenitori.
Credo che il RAGNO possa essere considerato la rappresentazione simbolica di una di queste tracce.

Esposizione

Il ragno, come il serpente, possiede una valenza simbolica positiva ed una negativa in base a come vengono interpretate le sue caratteristiche. Esso ha sempre stimolato l’immaginario degli uomini come lo testimonia il mito di Aracne o le credenze nel fenomeno del tarantismo.
Come simbolo positivo il ragno indica la laboriosità, la precisione e la resistenza in riferimento alla ragnatela. E’ visto da vari popoli come un essere creatore da cui ha avuto origine il mondo. Costituisce un simbolo negativo in quanto essere velenoso in grado di evocare atmosfere di morte. Come trickster diventa un simbolo ambivalente ed assume caratteristiche positive e negative.
Riflettendo sulla frequenza con cui il ragno si presenta sia come simbolo onirico che come oggetto fobico, nell’infanzia, nella pubertà, e nell’età adulta in soggetti di origine socio-culturale diversa, provenienti prevalentemente da aree urbane, in cui la presenza dei ragni è esigua e comunque di specie assolutamente innocua, mi sono imbattuta in un’enorme rappresentazione (45 metri) di questo aracnide, ritrovata negli anni ’20 del secolo scorso, sull’altopiano di Nazca, in Perù.
Secondo le ricostruzioni effettuate fino ad oggi dagli archeologi, le linee di Nazca furono realizzate tra il 300 a. C. ed il 500 d.C. da parte della popolazione che abitava la zona: gli indios Nazca, un ’ antica civiltà peruviana che aveva costruito il gigantesco centro cerimoniale di Cahuachi, poi distrutto da un’alluvione nel 450 d.C.
Questa zona desertica, chiamata dagli indigeni locali “il deserto che parla”, conserva, su un territorio di 520 km2, un patrimonio di gigantesche figure stilizzate di animali, lunghissime linee rette e figure geometriche. Si tratta di disegni che possono raggiungere dimensioni enormi (fino a 200 metri) e sono visibili solo dall’alto. Fu infatti, un pilota dell’aviazione peruviana che le identificò per primo sorvolando la zona e, a partire dal 1939, diversi archeologi e studiosi di altre discipline sono stati impegnati a scoprirne l’origine ed il significato.
Le linee sono tracciate rimuovendo le pietre contenenti ossidi di ferro dalla superficie del deserto, lasciando così un contrasto con il pietrisco sottostante, più chiaro. La pianura è ventosa, ma le rocce della superficie assorbono abbastanza calore per far alzare l’aria proteggendo il suolo. Così i disegni giganti sono rimasti intatti per migliaia di anni.
Il primo studio serio su questi disegni è dovuto all’equipe di archeologi Markus Reindel (della “Commissione per le culture non-europee” dell’Istituto Archeologico Tedesco) e Johnny Isla (dell’Istituto Andino di Ricerche Archeologiche).
Essi hanno documentato e scavato più di 650 giacimenti e sono riusciti a tracciare la storia della cultura che tracciò questi disegni, oltre a dargli un senso, e giunsero alla conclusione che le linee hanno a che vedere molto probabilmente con rituali collegati all’acqua e alla fertilità. L’approvvigionamento idrico, infatti, giocò un ruolo importante in tutta la regione.
La zona è stata lungamente studiata anche dall’archeologo Tomasz Gorka e dalla sua équipe. Anch’egli è giunto alla conclusione che si tratti di cammini sacri e cioè che i Nazca usassero venerare gli animali sacri raffigurati sul terreno. Essi camminavano e tenevano pulite le linee tracciate, percorrendo chilometri e chilometri. Queste stesse rappresentazioni sono state ritrovate sugli oggetti di terracotta.
I disegni formavano un paesaggio rituale il cui fine era quello di procurare l’acqua.
Molti sono gli elementi che rimangono ancora oscuri nell’interpretazione di questi disegni dei quali quello considerato più misterioso è proprio il ragno. Si tratta, infatti, di un ragno ricinulei, una specie rara, innocua, presente solo in zone inaccessibili della foresta amazzonica, quindi a 1500 km di distanza dall’altopiano di Nazca.
Nei maschi l’organo genitale è un’escrescenza appuntita situata sulla terza gamba, visibile solo al microscopio. Il gigantesco ragno nazca è dotato proprio di questa caratteristica. E’ lecito quindi chiedersi come facessero i Nazca a conoscere questo particolare dell’apparato riproduttivo, per giunta di un ragno che vive lontano da quelle terre.
Lungi da me la presunzione di risolvere questo enigma, sicuramente oggetto di studio degli archeologi; ciò nonostante, ho trovato particolarmente interessante il particolare legato alla funzione riproduttiva, relativamente alle mie osservazioni cliniche.
Il ragno, per accoppiarsi fa colare su una apposita ragnatela alcune gocce di sperma che poi risucchia all’interno di quella specie di zampa deputata alla riproduzione. I pedipalpi penetrano le corrispondenti fessure della femmina e vi pompano dentro lo sperma, ma in questa operazione il più delle volte il pedipalpo si spezza e il ragno muore risucchiato dalla femmina che è cento volte più grande di lui. Essere divorato dalla femmina ha il vantaggio di assicurargli che sia il suo pedipalpo a penetrarla e fecondarla. Possiamo dire che il ragno sacrifica la sua vita assicurando la sopravvivenza di se stesso attraverso la riproduzione che avviene per incorporazione, attraverso un atto per così dire “cannibalico” da parte della femmina.
In psicoanalisi il termine “cannibalismo” fu utilizzato da Freud e successivamente da Abraham e Klein in riferimento alla fase orale dello sviluppo. In Totem e tabù Freud parla dell’usanza dei popoli primitivi di rievocare l’uccisione del padre con il pasto totemico in cui i fratelli avrebbero incorporato parte della sua forza. La micropsicoanalisi fa risalire l’inizio di questa relazione alla vita intrauterina e parla di fase iniziatico-orale che corrisponde a quel periodo in cui il feto/bambino si nutre e garantisce la propria sopravvivenza attraverso il corpo della madre. La fissazione a questa fase dello sviluppo determina nel soggetto la tendenza ad instaurare relazioni oggettuali di tipo fusionale. L’allontanamento fisico o psichico dell’oggetto causa nel soggetto profondi vissuti di perdita e sensazioni di marasma psico-somatico risolvibili solo attraverso il ricongiungimento oppure, in modo fantasmatico, attraverso l’incorporazione dell’oggetto dentro di sé. Ovviamente si tratta di una soluzione parziale che lascia sempre spazio al rinnovarsi della sofferenza che può essere eliminata solo con la risoluzione dei nuclei traumatici.

Il materiale clinico

Il materiale clinico degli analizzati affetti da aracnofobia è ricco di riferimenti a conflitti nella relazione con la madre. Negli spostamenti transferali (fidanzati/e, mariti/mogli, amici/amiche ed infine analisti/e) si ripete la stessa ambivalenza: accanto ad un bisogno/desiderio di presenza costante fisica e psichica dell’oggetto d’amore, coesiste una spinta all’eliminazione dello stesso per poter essere finalmente liberi di vivere la propria vita autonomamente.
In questi soggetti il ragno, che suscita schifo e paura contemporaneamente, viene associato ora all’organo sessuale femminile, con riferimento alla peluria pubica, ora al pene, sempre inteso come attributo femminile. La condensazione dei due elementi alimenta il fantasma della madre fallica, un’immagine onnipotente dotata di entrambi gli attributi sessuali. In seduta, la fissazione a questo fantasma viene espressa con associazioni riguardanti il coito parentale visto, udito o fantasticato, oppure altre situazioni di effusioni tra i genitori in cui il soggetto ha sentito il desiderio di separare la coppia, non soltanto per gelosia e possessività edipica, ma anche per distinguere le due figure e consentire un più facile accesso all’identificazione sessuale dell’altro e di sè stesso.
Vorrei illustrare brevemente il caso di una ragazza che lamentava di non avere una piena consapevolezza della propria identità; diceva di aver sempre cercato di imitare qualcun altro, desiderando di possedere i tratti fisici di altre donne che riteneva più interessanti ed attraenti di sé stessa. Nel corso delle sedute la signora faceva frequenti lapsus verbali, si trattava di parole deformate, assolutamente incomprensibili e senza senso che risultavano essere la condensazione di due o più elementi. Un lavoro che, come scrisse Freud, ritroviamo impegnato nella costruzione del sogno e dei sintomi nevrotici, come pure nella realizzazione di tante immagini ibride antropozoomorfe presenti nell’arte sin dai primordi.
L’analizzata fin da piccola aveva sofferto di aracnofobia, ma nei confronti del ragno provava al contempo curiosità e repulsione. Nei sogni aveva paura di essere aggredita e punta, morsa da un ragno femmina che partorisce tanti ragnetti, oppure immaginava le zampette del ragno che si arrampicava sul suo corpo. Ecco un esempio della sua lotta con l’immagine onirica: “Sono in un tunnel stretto e c’è un ragno che mi impedisce di passare. Vorrei ammazzarlo, non c’è posto per due”. Nelle associazioni passa dalla paura di perdere l’amore della mamma/analista al desiderio di eliminarla per essere libera e successivamente rievoca episodi passati e recenti legati alla suzione.
Il ragno/ mamma super potente, attraente e pericoloso dal quale si può essere aggrediti, ma che al contempo si desidera eliminare con un atto cannibalico che consente l’appropriazione del suo apparato riproduttore, fantasmaticamente provvisto della potenza fallica. Proprio come fa il ragno femmina che risucchia il maschio e si autoriproduce.
La scomposizione delle catene associative lascia emergere il contenuto latente del simbolo nel quale sono condensati gli elementi sopra esposti e che nasconde i desideri specifici probabilmente comuni anche ai nostri progenitori peruviani, i quali esaltavano e veneravano la potenza riproduttiva del ragno per ottenere il dono dell’acqua e quindi della fertilità da cui dipendeva la sopravvivenza individuale e della popolazione.
Molti studiosi di archeologia ed arte rupestre si sono chiesti perché i nostri progenitori usassero rappresentare prevalentemente animali e per altro non sempre riproducendone le forme in modo fedele. Gabriella Brusa Zappellini, afferma che i nostri antenati attribuivano al comportamento animale un’intenzionalità a loro propria. In questo modo, secondo l’autrice, l’animale veniva umanizzato e l’uomo si rispecchiava in esso proiettandogli i propri bisogni e desideri.
La Zappellini cita David Hume che già nel settecento aveva colto tale dinamica proiettiva: “ E’ tendenza universale degli uomini concepire tutti gli esseri uguali a se stessi, e attribuire a ogni oggetto le qualità con cui hanno familiarità e di cui sono intimamente consapevoli”. Trasfigurati dagli attributi umani, gli animali ritornano fra gli uomini come esseri divini dotati di poteri straordinari e soprannaturali.
In tal modo anche un piccolo insetto può assumere le sembianze di un essere mostruoso che divora o rappresentare il tocco di una mano che sfiora.

© Bruna Marzi

Bibliografia

E. Anati: 1995 “Les racines de la culture” Edition du Centre, Capo di Ponte, BS
K. Abraham: 1975 “Il ragno come simbolo onirico” in Opere vol. II B. Boringhieri, Torino.
S. Fanti: 1987 “Dopo aver” Borla, Roma
S. Freud: 1899 “Interpretazione dei sogni” in Opere , Vol. 3, B. Boringhieri, Torino.
S. Freud: 1905 “Tre saggi sulla teoria sessuale” in Opere vol. 4, Boringhieri, Torino.
S. Freud: 1912 “Totem e tabù” in Opere vol. 7, B. Boringhieri Torino
S. Freud: 1925 “Inibizione, sintomo e angoscia”in Opere vol. 10, Torino
J. Mitchinson & J. Lloyd: 2009 “Il libro dell’ignoranza sugli animali”, Einaudi .
N. Peluffo: 2007 “ Esteriorizzazioni grafiche preistoriche e sogni attuali” XXII Valcamonica Symposium, Pre – Atti, Centro Camuno di Studi Preistorici
G.B. Zappellini: Morfologia dell’immaginario – l’arte delle origini fra linguistica e neuroscienze – Arcipelago edizioni, Milano 2009.