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Relazione elaborata da Daniel Lysek e Daniela Gariglio e presentata al XXIII Valcamonica Symposium, Capo di Ponte, 28 ottobre – 2 novembre 2009, e pubblicata Nel Bollettino del Centro Camuno di Studi Preistorici (BCSP), N° 36, 2010, pp. 60-70, diretto dal Prof. Emmanuel Anati che ne ha gentilmente consentito la riproduzione in Scienza e Psicoanalisi.

Questo lavoro è stato seguito da una seconda relazione, elaborata da Daniela Gariglio e Daniel Lysek (con la collaborazione dell’archeologo Pietro Rossi) presentata, nel 2011, al XXIV Valcamonica Symposium, Capo di Ponte, sotto il titolo “Arte, comunicazione e Benessere”. Essa approfondisce l’argomento, integrando nuovo materiale ed è anche disponibile su Scienza e Psicoanalisi sia in italiano che in francese.

            L’interpretazione viene comunemente vista come il fulcro del lavoro dell’analista. Questo è certamente vero a patto che la si appoggi sulla ricostruzione del passato. Senza una tale ricostruzione è possibile solo un’interpretazione simbolica che non ha bisogno della presenza della persona, ma che non può prendere in considerazione i contenuti specifici che solo la persona stessa sarebbe in grado di portare, cioè le componenti pulsionali, affettive, rappresentazionali e fantasmatiche legate alla propria storia. Anche se più limitate, tali interpretazioni simboliche sono le uniche possibili nel campo archeologico e, quindi, il paleontologo che si confronta con i reperti rupestri deve accontentarsene. In queste condizioni è tuttavia difficile interpretare perché non si può contare su quell’ampio materiale a disposizione, materiale che viene offerto dalla situazione analitica con le sue onde di pensieri, desideri, emozioni, comportamenti, sogni, fantasie…. Abbiamo allora una grande ammirazione per chi riesce a ricavare informazioni significative da reperti archeologici, come in questo esempio: “Negli anni novanta, la ripresa degli scavi, interrotti da un quarto di secolo, ha portato alla luce nuove informazioni sui rapporti tra i sessi a Catalhöyük, e oggi è possibile iniziare a rispondere a questo interrogativo, ricostruendo quel che significava essere una donna, e un uomo, nella Turchia centrale di 9000 anni fa.” (Ian Hodder, 2004, p. 78). Su queste basi, ci sembra difficile apportare interpretazioni supplementari a quelle che già sono state date.

Rimanendo nell’utilizzo della modalità interpretativa cui si è appena fatto cenno, questo modo di procedere, ‘in assenza’, ci creerebbe dunque una certa difficoltà perché, in quanto analisti, siamo abituati a muoverci seguendo la verbalizzazione della persona che si sta liberamente esprimendo. In altre parole, lo specifico dell’analista è di seguire il flusso associativo di un soggetto che parla secondo la regola fondamentale dell’analisi: “l’analizzato è invitato a dire ciò che pensa e prova senza scegliere né omettere nulla di ciò che gli viene in mente, anche se ciò gli sembra sgradevole da comunicare, ridicolo, privo di interesse o fuori proposito.” (Laplanche & Pontalis, 1989, p. 495). Questa regola mira a facilitare l’emergenza di un discorso diverso da quello che si trova nella vita abituale: una ‘parola’ che evidenzia poco a poco lo psichismo profondo. Il setting analitico dà così all’analizzato la possibilità di esprimersi in maniera autentica, esteriorizzando liberamente i suoi pensieri e i suoi sentimenti nascosti, i suoi desideri proibiti e le fantasie che gli fanno paura… ma anche delle semplici emozioni, dei ricordi di gioia genuina, dei vissuti di appagamento e sentimenti positivi. Quest’obiettivo di autenticità riguarda anche l’analista nell’attività di ascolto ed evidenziazione del significato inconscio in cui egli sa che intervengono pure delle sue linee controtransferali.

Tale libertà di espressione e pensiero è particolarmente riscontrabile nella seduta lunga, specifica della micropsicoanalisi: “le sedute lunghe fanno sì che si sviluppino grandi catene di libere associazioni che assicurano la continuità con i componenti inconsci; creano anche una molteplicità di connessioni… che favoriscono la riemersione di contenuti e dinamismi dell’inconscio.” (Lysek, 2007, p. 52). Più precisamente, l’associazione libera si sviluppa fino a riportare alla luce non solo dei contenuti infantili o uterini, ma anche – e questo è molto importante per il nostro argomento – elementi che sono stati memorizzati, nell’inconscio, durante la storia familiare o addirittura nei tempi più remoti e talvolta oscuri dell’evoluzione umana.

          In altre parole, l’inconscio, come si manifesta nelle sedute lunghe, appare essere un sistema psichico arcaico che ha memorizzato non solo vissuti ontogenetici ma anche esperienze filogenetiche che possono risalire alle origini dell’uomo. Come ne scrive Nicola Peluffo, appoggiandosi sul concetto fantiano d’Immagine (Fanti, 1983): “[…] l’Immagine filogenetica è un insieme di rappresentazioni ed affetti che organizzano l’inconscio [… e] che danno una forma al destino di una persona e che quindi fanno scorrere lungo le generazioni i traumi familiari (ed etnici), i quali si esprimono in modo diverso, a seconda del periodo storico.” (Peluffo, 1991, pp. 31-32).

Vedremo che, per noi, l’Immagine filogenetica memorizza anche esperienze ancestrali non traumatiche e che questo ci pare rintracciabile non solo nel lavoro di seduta analitica, ma anche nell’arte rupestre. In effetti, le caratteristiche primitive dell’inconscio fanno sì che i ricordi vi siano sempre scritti al presente e, quindi, un evento accaduto in un passato anche molto remoto vi rimane impresso e può esprimersi in veste moderna. E qui siamo in sintonia con Emmanuel Anati quando scrive: “Ripercorrere a ritroso la storia dell’uomo, riscoprire e analizzare la sua produzione artistica [….] significa anche riscoprire brandelli primordiali d’iconografia e graficità che sono ancora nostri, della nostra attuale cultura, e che reinventiamo perché riscopriamo ogni giorno, perché sono dentro di noi. Quando osserviamo questi segni antichi, essi riemergono dal nostro sommerso. [….] Sono elementi che rivedendo, riscopriamo. La prima reazione è quella di dirsi “queste immagini le ho inventate io… diecimila anni fa.” (Anati, 1995, p. 15) .

Non avendo a disposizione la persona che si è espressa nelle pitture o incisioni rupestri nè altri elementi e non volendo quindi fare interpretazioni “selvagge” ci siamo chiesti quale avesse potuto essere allora il nostro contributo.

Siamo partiti da una tematica su cui abbiamo acquisito una certa confidenza: la creatività di cui i reperti rupestri sono sicuramente una straordinaria manifestazione. In quanto analisti, abbiamo appunto studiato il percorso dell’atto creatore dall’inconscio che funge da fonte all’elaborazione psichica di tale percorso, fino ad una manifestazione nel mondo esterno dove la creatività si completa con una manifestazione concreta.

Freud ci ha abituato a considerare la creazione come l’espressione sintomatica o sublimata di materiali inconsci conflittuali, in particolare desideri e fantasmi rimossi, rappresentazioni e affetti legati a pulsioni aggressive e sessuali proibite. (Freud, 1906, 1910, 1914). Basandoci invece sulla nostra pratica in cui, come già accennato, la seduta lunga è il fulcro delle nostre osservazioni, siamo giunti a una concezione più estesa della creatività che si colloca nell’area di quegli psicoanalisti – a partire da Jung, fino a tanti odierni, passando per la Klein, Winnicott, Bion – che se ne sono interessati come attività fondamentale.

Addentriamoci ora nella nostra concezione più estesa della creatività, rispetto a quella classica, perché tale concezione potrebbe incentivare il paleontologo a dare una nuova lettura a qualche pittura e incisione rupestre.  

La nostra pratica ci indica con regolarità che la creatività è una tendenza naturale dell’essere umano e che scaturisce da una struttura di origine ancestrale in quanto proviene da un passato molto remoto. E` quindi una disposizione universale propria dell’uomo fin dalla sua origine e forse potrebbe persino essere questa la demarcazione tra l’uomo e l’animale.

In analisi, abbiamo spesso osservato che, dopo la risoluzione di un conflitto importante, si mette in moto un movimento creativo che porta la persona ad uscire da degli schemi di ripetizione nevrotica. In questo contesto, si constata anche che il conflitto è legato ad una perdita – una separazione, un lutto, una mancanza… – che provoca nello psichismo un vissuto di vuoto. Quando tale vissuto viene superato a livello profondo, il soggetto può entrare in contatto con tracce di antichi vissuti di appagamento, distensione, equilibrio, armonia, soddisfazione… Abbiamo considerato che tutti questi elementi possano considerarsi raggruppabili sotto la rappresentazione di un benessere, memorizzato nello psichismo profondo. La rimessa in circolazione di memorie di benessere porta al formarsi di interazioni armoniose e costruttive, sul piano intrapsichico e interpersonale, cioè tra l’uomo con se stesso e le sue istanze e l’ambiente in senso lato. Gariglio, che si è a lungo occupata di manifestazioni creative in situazioni analitiche e postanalitiche dove “si può cogliere molto bene l’osmosi con l’ambiente, godibile in modo naturale”, aveva già avuto la soddisfazione di riscontrare, e quindi di comunicarlo in uno scritto (2001, p. 11), certa similitudine tra le sue osservazioni a tal proposito e le parole di Anati (2000b), parole che sottolineano come “L’Arte rupestre dell’Homo sapiens rifletta la presenza di interpretazioni della natura”.

Nella nostra modellistica, consideriamo che la creatività si metta in moto con l’intervento di una pulsione specifica, la pulsione creatrice, che agisce in alleanza con la pulsione di vita, avendo come fonte tracce di benessere e come meta, tra altri aspetti, il tessersi di una sinergia. Così, pensiamo di aver evidenziato nell’inconscio delle tracce di esperienze ontogenetiche e filogenetiche di benessere, tracce che coesistono con i ricordi di vissuti conflittuali e che sembrano giocare un ruolo chiave nel processo creatore. Abbiamo tentato di dimostrarlo nel libro Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi (Gariglio, Lysek, Armando 2007, L’ Age d’Homme 2008). Il libro trasmette una nuova modellizzazione della creatività.

Per noi, il processo creatore si fonda sulla capacità psichica di assemblare informazioni di natura diversa e di organizzarle in un insieme originale e coerente, prima nello psichismo, poi nella realtà. L’espressione creativa si costruisce più precisamente sull’integrazione di esperienze di benessere con dei residuati di conflitti rimossi disattivati, a partire da situazioni di perdita elaborate. Spieghiamo in modo più dettagliato questo dinamismo che abbiamo chiamato “elaborazione ricombinativa” (p.48). La creazione si mette in moto quando vengono a galla delle tracce di esperienze di benessere, fino a quel momento latenti nell’inconscio. Questo materiale costituisce le potenzialità creatrici che accomunano tutti gli essere umani e, al livello psichico superiore, cioè nel preconscio, detto materiale si associa con delle rappresentazioni e degli affetti che sono dei residui di conflitti legati a desideri sessuo-aggressivi rimossi. Tale associazione accorpa anche elementi tipici del preconscio, elementi che, nel caso della preistoria, potrebbero essere stati rappresentazioni mentali della realtà: organi genitali, riproduzione, funzione alimentare (in particolare allattamento), animali selvaggi o addomesticabili, natura come possibilità di nutrimento o come fonte di pericoli… Tutti questi elementi si elaborano, combinandosi tra di loro e riorganizzandosi fino a formare un insieme originale. Questo “oggetto psichico ricombinato” (p.104) costituisce il prototipo di quel che sarà la successiva manifestazione creativa nel mondo esterno.

Di qui, la definizione della creatività che diamo nel libro (p. 50):la creatività è la capacità universale a raccogliere informazioni di benessere che provengono dall’inconscio, a ricombinarle, in proporzioni diverse, con informazioni conflittuali/traumatiche di origine ugualmente inconscia e con contenuti specifici del preconscio, a fare di queste informazioni un oggetto psichico originale, a renderlo compatibile con le esigenze della realtà e infine ad esprimerlo nel mondo esterno.”

Quando nella ricombinazione le tracce di esperienze di benessere sono maggioritarie avviene un tipo particolare di creatività che abbiamo chiamato creatività benessere perché si svolge in un clima affettivo di equilibrio e armonia, clima che procura appagamento e tesse delle interazioni armoniose. La creatività benessere, come la vediamo in analisi, va nel senso dell’autoconservazione e dell’adattamento ponendosi, quindi, a servizio della vita. Sapendo quanto, per l’uomo preistorico, dovesse essere vitale adattarsi ad una natura ostile, si può ipotizzare che questa forma di creatività fosse già presente proprio per servire a questo scopo.

In effetti, riportando la nostra esperienza alla preistoria, l’arte rupestre potrebbe essere stata anch’essa, in certe occasioni, una riproduzione di esperienze di benessere, ricombinate con vissuti aggressivo-sessuali rimossi. Così se la creatività benessere è esistita al tempo della preistoria, essa ha potuto giocare il suo ruolo vitale nel riprodurre il benessere esperito, in attività comuni che fortificano la capacità umana di adattarsi alle forze della natura, rinforzando così la coesione sociale del gruppo stesso.

Più precisamente, secondo questa lettura, certe pitture e incisioni rupestri potrebbero esprimere una modalità celebrativa di un appagamento e di una distensione, vissuti in un clima relazionale soddisfacente. Queste esperienze avrebbero come denominatore comune interazioni favorevoli alla vita, provate in qualche attività svolta con successo, tra cui il cacciare o la riproduzione. In questo senso, le pitture rupestri potrebbero essere lette come l’espressione di un benessere interiorizzato e aver forse contribuito a modellare benessere nella comunità, tessendone l’identificazione con oggetti che, appunto, parlavano di positività e di vita. Si tratterebbe di interazione e di comunicazione.

Di nuovo ci sentiamo in sintonia con Anati quando scrive: “L’arte come fenomeno culturale diffuso esiste da 40.000 anni […]. L’arte con le sue caratteristiche di simbolizzazione, di comunicazione, […] appare essere espressione caratteristica dell’Homo sapiens e già sembra avere in sé, fin dai primordi, le premesse della scrittura” (Anati, 2000a, p. 22). Non è di nostra pertinenza dire se l’arte rupestre possa aver avuto uno scopo religioso e/o propiziatorio; ciò è stato comunque ampiamente sviluppato dagli specialisti. La chiave di lettura originale che invece possiamo proporre, riguarda la condivisione tra i membri della comunità di esperienze di benessere e la creazione di situazioni di sinergia, situazioni che si incanalano in una corrente di vita. Il meccanismo psichico di questa sinergia e condivisione sarebbe, precisamente, l’identificazione che veicola “impulsi […] eternamente fecondi dal punto di vista energetico che integra le espressioni umane sessuo-aggressive nelle manifestazioni anche creativo-relazionali con i sussurri e le evidenze dell’anima/psiche, della spiritualità e del valore della cultura.” (Gariglio, 2009, p.36) .

A questo punto, dobbiamo richiamare la nostra ritrosia ad interpretare realtà non più presenti e inoltre non sostenute da informazioni supplementari. E’ ovvio che qui possiamo soltanto contare sul nostro vissuto di fronte alle manifestazioni creative, in questo caso, le pitture e le incisioni rupestri. Se, allora, il nostro vissuto è particolarmente di gradevolezza, di armonia, perché tale visione ci infonde appagamento, serenità, senso di calma… forse è perché stiamo respirando l’anima della persona che ha dipinto, in quel momento? Potrebbe darsi. Forse, si attivano in noi gli stessi vissuti dei nostri lontani antenati, quegli stessi vissuti con cui possiamo identificarci e sintonizzarci, essendo essi ancora presenti nel nostro inconscio “per sapere chi siamo a partire dall’unità dei primordi. Conoscere il passato aiuta a capire il presente, a riscoprire noi stessi.” (Anati, 2000a, p. 15)

Noi partiamo, quindi, dal nostro soggettivo vissuto di benessere nel vedere certe pitture o incisioni rupestri di cui forniremo ora qualche esempio e, di lì, osiamo formulare una ipotesi che queste produzioni contengano effettivamente una traccia di benessere che sarebbe stata transfusa dall’esecutore nella pittura o nell’incisione. Dunque, tale manifestazione di benessere ne avrebbe eternizzato il vissuto e questo afflato è arrivato fino a noi: quel che ci è stato comunicato, consapevolmente o meno, è dunque qualcosa di universale che condividiamo ancora, il cui valore è soprattutto affettivo non soltanto cognitivo. Gariglio ne ha fornito una esemplificazione (2008) riferita ai resti di una famiglia preistorica (due adulti e due bambini che si tengono per mano): i resti sono stati amorevolmente ricomposti da qualcuno, sfuggito ad un massacro tra tribù rivali.

Esemplifichiamo ora quanto abbiamo detto con 6 immagini che sono presentate al fondo della relazione. Queste illustrazioni ci sono sembrate tutte altamente originali e significative rispetto al nostro discorso sul benessere, sorta di respiro calmo e regolare che può accomunare chi ha dipinto a chi vi si espone, senza che il tempo ne possa mai affievolire la risonanza interiore di vita.

  • La figura 1 (Anati, 1995, p. 200) l’abbiamo chiamata Esuberanza vitale perché ci induce a condividere un senso di soddisfazione nella rappresentazione della pienezza del corpo femminile. E’ anche interessante notare la ricchezza degli elementi aggiunti al corpo, elementi che fanno intravedere il lavoro di ricombinazione avvenuto.
  • La figura 2 (Anati, 2000a p.135) l’abbiamo chiamata Bellezza ed energia perché ci evoca la completezza, la forza e l’armonia, caratteristiche del benessere e che diventano anche un manufatto di vera bellezza artistica, appagando così il canone estetico in chi guarda.
  • La figura 3 (Anati 1995, p.183) l’abbiamo chiamata Dialogo in armonia perché attualizza la spinta eterna a condividere momenti di distensione in un dialogo tra maschile e femminile, possibilità di dialogo che accomuna le genti di ogni paese e tempo. Di nuovo si può isolare un’attività di ricombinazione, osservando gli elementi sulla testa della figura maschile, elementi interpretati come “pensieri” dal paleontologo ma che a noi sono piuttosto sembrati dei grappoli d’uva, delle foglie, dei fiori… e quindi dei pensieri “golosi” (piacere della bocca o degli occhi).
  • La figura 4 (Anati, 1995, p. 53), che abbiamo chiamata Vita quotidiana in equilibrio e in abbondanza, si commenta da sé sia per l’aspetto armonioso che illustra un’esperienza di vita di famiglia, da riproporsi per la sua piacevolezza, sia per la ricchezza degli elementi ricombinati.
  • La figura 5 (Anati, 2000a, p 221) l’abbiamo chiamata Benessere nell’erotismo. Quel che il paleontologo considera una danza evoca in noi una sensualità e un erotismo, propri del piacere del corpo. Inutile dire che, anche qui, vi è la presenza di una ricombinazione attestata dalle maschere e dalla plasticità della composizione.
  • La figura 6 (Anati, 1995, p. 15) l’abbiamo chiamata Les Demoiselles d’Avignon e i bisonti, pensando che forse Picasso avrebbe potuto ispirarvisi. Oltre a una possibile interpretazione classica della rappresentazione degli organi genitali femminili come risultato di una castrazione, emblema della perdita, e comunque, per Gariglio, interpretazione riduttiva, preferiamo invece invitare a soffermarsi sul “potere creatore del vuoto” (Lysek, 2000, p. 251). Vi possiamo allora vedere, anche qui, la stessa esuberanza vitale che abbiamo già indicata nella figura 1. Inoltre, l’inserimento, nella pittura, dei bisonti potrebbe essere visto come un originale racconto della possibilità di coesistenza tra la sessualità e l’aggressività quando quest’ultima abbia perso le sue spinte distruttive. Coesistenza da cui può mettersi in moto un’attività di creazione, facendo nascere un nuovo tentativo.

In conclusione, indicando nei materiali preistorici la presenza di tracce di benessere ricombinate, abbiamo cercato di fornire una chiave di lettura supplementare. Si tratta anche di un invito ad apprezzare, attraverso la risonanza tra il nostro psichismo e l’espressione artistica preistorica, la presenza di una memoria inconscia e universale del benessere da cui trarre sempre nuova ispirazione.

             (BCSP 36 Definire l’identità, ED. DEL CENTRO, 2010, pp. 60-70)


Illustrazioni:

• Figura 1, Esuberanza vitale (Venere di Laussel, Francia; disegno CCSP; Archivio Wara W00725)

  Fig 1

• Figura 2, Bellezza ed energia (Vogelherd Cave, Germania; foto M.Otte; Archivio WARA W05523)

  Fig 2

• Figura 3, Dialogo in armonia (Sefar, Algeria;disegno H. Lothe; Archivio Wara W00140) 

  Fig 3

• Figura 4, Vita quotidiana in equilibrio e in abbondanza (Lakhajuar, India; disegno CCSP; Archivio WARA W00021)

Fig 4

• Figura 5, Benessere nell’erotismo (Addaura, Italia; disegno E. Anati; Archivio WARA W00231)

Fig 5


• Figura 6, Les Demoiselles d’Avignon e i bisonti (Roc-aux-Sorciers, Francia; Archivio WARA W00190)

Fig 6

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SUMMARY

(Pre-Atti XXIII Valcamonica Symposium 2009, “Produrre storia dalla preistoria, il ruolo dell’arte rupestre, p. 206).

This paper finds its origin in the analytical approach that we have used to study the subconscious basis of creativity. Psychoanalysis has given the habit of viewing creativity as the expression of subconscious desires, removed representations and consequences of aggressive, sexual and conflicting drives. With reference to our practice of micropsychoanalysis we have reached a wider concept of creativity, which could inspire palaeontologists into a novel interpretation of some rock paintings and engravings. Our practical experience regularly shows us that creativity is a natural tendency of human beings that stems from a structure of ancestral origin as it comes from a very distant past. We think therefore of having demonstrated the existence in the subconscious of remnants of ontogenetic and phylogenetic experiences of wellbeing which coexist with memories of life conflicts and seem to play a major role in the creative process. We tried to demonstrate it in the book Creatività benessere . Movimenti creativi in analisi (Creativity wellbeing. Creative movements in analysis), which portraits a new modelling of creativity.

We have been able to observe that creative work emerges from the integration of experiences of wellbeing with residual conflicts that have been inactivated by elaborating situations of personal loss. We have called this dynamic interaction “recombinant elaboration” . If we apply our experience to prehistory, rock art itself could have been, in certain instances, a reproduction of experiencing wellbeing once recombined with aggressive-sexual events, which had been removed, for example, for religious and/or ritualistic purposes. More precisely, following this approach, some rock paintings and engravings would express a way of celebrating satisfaction and relaxation that was experienced in a satisfying climate of human relationships. These experiences would have, as a common element, positive life interactions that had been experienced during successful activities, such as hunting or reproduction. From this point of view, rock art could be interpreted as the expression of internalized wellbeing. To conclude, we propose to consider that some rock paintings and engravings could be interpreted as the representation of life events that had been memorized subconsciously in combination with also components of wellbeing.

© Lysek Daniel e Daniela Gariglio