1° La ridondanza

« La parola “aesthetica” trae origine dal vocabolo greco αἴσθησις, che significa “sensazione”, e dal verbo αἰσθάνομαι, che significa “conoscere attraverso la mediazione  dei sensi”.»

 (Alexander Gottlieb Baumgarten, 1750 ).

La mia personale opinione sull’Origine e il significato dell’Arte Rupestre si basa sulla funzione primeva e fondamentale sviluppata dai messaggi incisi sulla roccia: essi costituiscono un immenso catalogo o archivio planetario di informazioni, dati, indicazioni o insegnamenti utili all’individuo e al suo gruppo per costruire e consolidare l’identità e per salvaguardare l’esistenza, propria e della specie. In altri termini, considero l’insieme di incisioni rupestri nel suo aspetto di “Mnemotecniche volte alla conservazione, trasmissione e rielaborazione di esperienze e conoscenze a determinazione fenotipica” che si sono via via stratificate per tentativi casuali, apprendimenti mirati o comprensioni intuitive nel corso del processo di ominazione e che sono state valutate tanto importanti da essere mantenute in una sorta di “memoria esterna secondaria”, integrativa e complementare alla capacità genotipica di trattenere e trasmettere istruzioni, per essere divulgate e perfezionate nel corso delle generazioni a venire.

estetica

Incisione rupestre. Soggetto: argali maschio (Ovis ammon -Linnaeus/pecora selvatica asiatica). Tarda Età del bronzo. Tsagaan Gol, Altai, Monglia (foto Gary Tepfer, 2004). Archivio Prof.ssa G. Brusa-Zappellini

La Manifestazione Rupestre è composta di fatto da rappresentazioni di ricordi di esperienze utili o piacevoli, da riprodurre e potenziare, e congiuntamente da rappresentazioni di ricordi d’accadimenti traumatici e spiacevoli da evitare o annullare. È a questo livello che si inserisce la questione nodale relativa al concetto di “Arte”.

Possiamo di conseguenza chiederci: per quale motivo un registro o un repertorio di conoscenze scaturite dall’esperienza, diurna e onirica, debba necessariamente assumere e rivestire quei paradigmi estetici basilari che caratterizzano le incisioni rupestri fin dal loro apparire?

La prima risposta proviene dalla biologia evoluzionistica, dove si annoverano infiniti esempi di informazioni vitali veicolate per via visiva, e non olfattiva, e questo a tutti i livelli del regno animale, non solo a quello dei Primati. Si pensi ad esempio all’ esuberanza cromatica delle “parade” nuziali, durante le quali la magnificenza visiva s’impone come elemento dominante alla percezione dei soggetti coinvolti. Chiaramente, l’inserimento del concetto di “bellezza” in questo contesto realizzerebbe una mera proiezione umana, tuttavia tale dovizia e profusione di segnalazioni evidenzia come l’informazione visuale debba assicurarsi una notevole sovrabbondanza di elementi accessori per aumentare le probabilità di trasmettersi ed essere quindi recepita.

Esaminiamo, a titolo illustrativo, una delle prime realizzazioni artistiche rivelate dall’Archeologia Rupestre, inerente a quella che potremmo considerare come una proto – estetica di origine paleolitica, forse neandertaliana-sapiens ma in forma embrionale situabile già nell’Erectus: un cadavere deposto in una frattura della roccia, impiastricciato di ocra rossa, con accanto posata un’amigdala intagliata, che raffigura l’ossimoro del “Morto/Vivente”. L’insieme di tutti gli elementi considerati, anfratto, cadavere, ocra e amigdala, concorre a costituire uno “schema percettivo”, ossia uno stimolo supernormale (ridondante) che descrive una relazione proporzionata e adeguata tra tutte le sue varie parti – l’armonia – e che privilegia segnali che garantiscono una convergenza bilanciata di informazioni– l’equilibrio -, veicolano un messaggio gravido di –simbolismo trascendente-, fruiscono del carattere di – universalità – del suo contenuto ma soprattutto esprimono una – simmetria traslazionale- che integra le varie componenti in un unico significato omogeneo, riconoscibile e trasmissibile, organizzando così l’insieme di tutti gli stimoli intorno a una finalità senza altro scopo utilitario se non quello di una –contemplazione-, collettiva e condivisa.

Riscontriamo in seguito come ognuno degli elementi contrassegnati in corsivo coincida puntualmente con uno dei criteri estetici esplicitati con scrupolo e minuzia nel primo trattato sull’ “Aesthetica ” scritto da A. Gottlieb Baumgarten (1750).

Pressioni selettive faranno sì che il messaggio incrementi sempre più i caratteri straordinari di proporzione, bilanciamento, simmetria, armonia, equilibrio, volume e profondità, con i successivi corollari di prescrizioni rituali e specifiche simboliche, amplificati dall’utilizzo sempre più raffinato degli universali pigmenti cromatici, indispensabili per acquisire quegli elementi di ridondanza atti all’esaltazione dei componenti critici (illustrativi) insiti nell’informazione, con il peculiare intento di potenziare l’attendibilità dei segnali e la loro possibilità di impiego.

Viene in tal modo a stabilirsi una relazione circolare tra la complessità del messaggio e l’incremento della ridondanza come funzione della sua affidabilità. In breve, questo equivale a dire che quanto più l’informazione diventa articolata e molteplice, tanto più si riveste di schemi e criteri estetici. Il petrogramma, a partire dai primi artefatti di industria litica distinti da valenze decorative non finalizzate a fini pratici (amigdale dell’Acheuleano, ma probabilmente anche antecedenti), con tutta evidenza si rivela stocasticamente programmato ad assumere le qualità della proto-estetica primordiale per trasformarsi in soggetto artistico, allo scopo d’imporsi prima alla percezione sensoriale, poi all’attenzione mentale, fino ad essere interiorizzato nel sistema mnemonico individuale e collettivo.

 2° La contemplazione

  «… Dovremmo concludere che le pulsioni, e non gli stimoli esterni, costituiscono le vere forze motrici del progresso che ha condotto il sistema nervoso – le cui capacità di prestazione sono illimitate – al suo livello di sviluppo attuale.»
(S. Freud, 1915)

 Si è verificato come gl’impulsi visuali beneficino di minore persistenza, esattezza e facilità di propagazione rispetto alle stimolazioni olfattive e come questo fenomeno sia nel Sapiens strettamente connaturato con la fisiologia dei recettori e il loro funzionamento biochimico. Si è inoltre stabilito che la stimolazione visiva per mantenersi necessiti di continui rinforzi e potenziamenti da parte di elementi accessori, che divengono essenziali al mantenimento dell’informazione mano a mano che essa si accresce e complessifica. Tuttavia, per comprendere appieno la genesi del processo estetico, occorre non limitare l’osservazione alle sole caratteristiche delle sollecitazioni ambientali ma introdurre lo studio delle peculiarità intrapsichiche specifiche che, almeno nel Sapiens S., risultano essere identiche a quelle attuali.

Con l’acquisizione della statura eretta e il progressivo ridursi dell’importanza degli stimoli olfattivi, si è ingenerata una vera e propria necessità a guardare (nel vernacolo specialistico si definisce pulsione scoptofilica), che spinge e dirige in modo quasi autonomo lo sguardo alla ricerca di oggetti o situazioni che possano produrre un vero e proprio piacere nell’essere visti. Tale caratteristica, di certo già operante nel Pre-Sapiens (si pensi alla raccolta di vari materiali scintillanti d’origine minerale o vegetale ), ha sicuramente rivestito un ruolo fondamentale nella realizzazione della proto-estetica rupestre, amplificando sia gli aspetti più intimamente connessi col sentimento del bello e del sublime sia quelli associati alle sensazioni angosciose, che hanno generato le immagini orrorifiche e spaventose che costellano la memoria di pietra.

In aggiunta a questa propensione, sovente nell’esaminare le produzioni rupestri non si tiene conto dell’intreccio pulsionale che congiunge il guardare al toccare, in quanto residuo mnestico delle esperienze precoci tipiche dell’allattamento, periodo durante il quale l’unico modo per il bambino di poter accarezzare ed esplorare il corpo materno è quello di scrutarlo accuratamente, essendo la motricità volontaria scoordinata e segmentata. Soltanto introducendo la predisposizione a guardare come sostituzione del toccare si può comprendere appieno il turbamento emozionale che nelle caverne-santuario si sprigiona dai grandi animali di Altamira, Lascaux o da altre possenti raffigurazioni rupestri molto più recenti, come le incisioni e i dipinti pre-neolitici del Tadrar. Inoltre, la pulsione scoptofilica non è solo intimamente connessa ma costituisce il fondamento della spinta a conoscere, ossia di quegl’istinti epistemofilici che da sempre hanno operato all’interno dello psichismo umano, già nel Pre-Sapiens.

La concatenazione propulsiva tra i il bisogno di guardare, quello di toccare e la necessità di conoscere risulta fondamentale nella costituzione della proto-estetica primordiale. Per eliminare la tensione, l’energia mobilitata al fine di soddisfare i bisogni innati e istintivi connessi alle azioni del guardare – toccare – conoscere, deve necessariamente sfociare nel conseguimento di quel risultato “proporzionato, armonico, equilibrato, simmetrico ed universale”, sprovvisto di qualsiasi scopo utilitario se non quello della contemplazione e della funzione fatica che agirà da fondamento e fulcro della meditazione, del misticismo e della spiritualità. In altri termini, il grafismo rupestre possiede le qualità per suscitare un effettivo e concreto godimento non solo visivo ma anche sensoriale e cognitivo, appagando una vera e propria necessità di ammirare, tastare, stabilire un contatto. riflettere. In questo senso, il significato veicolato dalla parola “Estetica”associato alla comprensione raggiunta tramite la mediazione dei sensi assume tutto il suo pieno significato neuro-fisiologico ed intrapsichico. Ne deriva logicamente che nel manufatto artistico si concentra e si conclude il processo di diseccitazione sia delle pulsioni scoptofiliche sia degl’impulsi epistemofilici che hanno spinto gli antenati preistorici a guardare, a interrogarsi ed a indagare i vari livelli di realtà, quella ambientale/terrena e quella spirituale/metafisica.

3° Il riconoscimento

«Il simbolo, parola derivata dal greco συμβάλλω «mettere insieme, far coincidere», significa segno, oggetto e altre manifestazioni atte a suscitare nella mente un significato diverso da quello proprio, evocato comunque attraverso connessioni reali o metaforiche. Nell’uso degli antichi Greci, era mezzo di riconoscimento e di controllo, costituito da ognuna delle due parti ottenute spezzando irregolarmente in due un oggetto. » (Enciclopedia Treccani)

«È nel corso dell’attività Sonno- Sogno che avviene il riallineamento tra i dati genotipici e le informazioni fenotipiche» (Michel Jouvet,1993). Ed è proprio nell’ambito della speculazione metafisica (magica, spirituale e allegorica) che appare evidente la necessità di introdurre l’elaborazione onirica come elemento di comprensione del “processo simbolico” che si colloca a paradigma universale della Rock Art. Nel corso dell’attività cardinale del Sonno – sogno, i bisogni e i desideri, le idee, i ricordi, le cognizioni, le preoccupazioni, i sentimenti, le emozioni o le intuizioni vissute nella vita quotidiana vengono tutte trasformate, tramite particolari e complicati meccanismi psico-neuro-fisiologici, in immagini sensoriali che vanno a comporre un aggregato visivo. Il complesso delle informazioni diurne viene in questo modo spezzettato e ricomposto in un ‘residuo notturno’ cioè in un insieme a distribuzione stocastica (e non deterministica) d’impressioni, rappresentazioni, interpretazioni, ragionamenti e significati di natura essenzialmente visiva e a decorso pseudo – allucinatorio, all’interno del quale si compie il vero e proprio processo di simbolizzazione. O meglio, una specie di caleidoscopio a base onirica, che assembla continue ricombinazioni aleatorie, il cui sviluppo è nel tempo governato da leggi probabilistiche. Tale attività ricombinante diverrà operativa nella vita di veglia, dove la funzione rappresentativa potrà accostare significati diversi ai segni originari. In effetti, con il termine di simbolo si indica, genericamente, un segno, un’ immagine o un oggetto che ne rappresenta un altro con il quale è connesso da molteplici e pluridimensionali legami associativi. La relazione simbolica travalica e trascende i confini linguistici e di qualunque codice di trasmissione-dati tipico della vita di veglia, in quanto nell’espressione simbolica onirica vengono condensate informazioni che il pensiero vigile non conosce, generate da connessioni neurali e psichiche altamente stocastiche 1, ovvero aggregati mentali di per sé aleatori ma che includono un elevato grado di probabilità di verificarsi per cui si compiono eventi che hanno un’ampia aspettativa di autorganizzazione e al contempo posseggono le qualità che le rendono inedite, impreviste, impensate e inimmaginabili al di fuori di tale contesto. In tal modo, apparenze casuali diventano “ineluttabili” per paradosso.

Nella continua opera probabilistica di rielaborazione, ricombinazione e trasformazione di stimolazioni reali, d’impressioni sensoriali, di fantasticherie diurne, ossia di esperienze fenotipiche da rendere compatibili con le disposizioni genotipiche, i residui onirici plasmano nuove raffigurazioni, alimentano i miti – e per ripercussione i riti- e, mediante le immagini scaturite dal riallineamento simbolico, formano nuove idee inerenti alla realtà ambiente, alla sacralità, alla spiritualità, al linguaggio e all’estetica, ossia a tutti quegli elementi che verranno trasferiti sulla pietra e su altri materiali (quali cortecce, ossa, avori, ceramiche) e andranno a comporre l’universo dell’Arte Rupestre.

Il Sogno si definisce quindi come il più importante, vitale ed indispensabile tra tutti i “fondamenti costanti dell’impianto simbolico”(cfr.: U. Sansoni), in quanto opera tramite modalità esterne e complementari alla logica della percezione e può così evocare realtà più vaste, ultraterrene, e sintetizzare entità puramente astratte, non raggiungibili tramite i sensi.

Per concludere, è possibile sostenere che è proprio grazie a questa mirabolante azione creatrice, inaspettata ed imprevedibile, di rimodulazione simbolica assicurata dal processo onirico, che la Rock Art assume andamenti e distribuzioni instabili ed incoerenti, presentando discontinuità, interruzioni e criticità a volte straordinarie, quasi inverosimili. Basti pensare al semplice fatto che, nello stesso periodo in cui, a Paspardo, i Camuni incidevano ancora sulla roccia le loro rappresentazioni mentali mediante tecniche di derivazione paleolitica, a poche migliaia di chilometri i Greci stavano scrivendo le loro meravigliose tragedie con tecniche non molto differenti da quelle contemporanee2. Fenomeni che dimostrano come il processo di simbolizzazione non si compia in modo ordinato, progressivo e lineare ma si svolga all’interno di una dinamica di tentativi per lo più aleatori e disomogenei. Così s’individuano in Moravia reperti di manufatti in ceramica risalenti al 23.000 a.C. 3 e un abbozzo, sia pur rudimentale, di un simbolismo logico – astratto deve necessariamente aver accompagnato i primi esperimenti di agricoltura in Indocina, risalenti circa all’11.000 a.C. Rilevamenti che sembrano scuotere nel profondo le stesse suddivisioni tra Paleolitico Superiore e Neolitico e richiedono l’inserimento di fasi di transizione come il Mesolitico, tramite l’intermediazione di concetti di connessione, spesso arbitrari, come quello di ‘Epipaleolitico’.

Per complicare ancor di più il ragionamento, all’interno del processo evolutivo attinente allo sviluppo delle capacità simboliche e delle facoltà rappresentazionali del Sapiens S., devono essere inclusi svariati fenomeni, quali i fattori innati (gli NGF di Rita Levi Montalcini), le indefinibili espansioni spontanee di pensiero intuitivo, le condizioni ambientali più o meno favorevoli e i traumatismi, sia di origine esterna sia di definizione interna, che hanno di certo enormemente influito sull’evoluzione dei processi cognitivi e l’incremento del pensiero astratto. Possiamo in definitiva affermare che lo sviluppo delle capacità logiche umane espresse tramite la mediazione del loro simbolismo più evoluto, quali il linguaggio, la musica, la matematica, le applicazioni tecniche (torni e altiforni), le pratiche apotropaiche o l’astronomia, è costellato da “irrazionalità” eterogenee, da turbolenze e anomalie, in funzione di una dinamica di tentativi che tendono, in modo assolutamente probabilistico e non teleologico, ad apparire, per poi scomparire e riaffacciarsi altrove, in forma modificata, ma sempre come funzione subordinata ai processi onirici che incessantemente immettono nel pensiero le loro costanti non uniformi ed irregolari di ricombinazione operatoria e trasformazione simbolica. Dopo aver imparato a elaborare rappresentazioni mentali di ogni tipo, il Sapiens S. impara ad usarle, associarle, interconnetterle tra loro, e ricombinarle nei più imprevedibili dei modi: nel corso dell’attività Sonno – sogno si auto-riprogramma, come direbbero gl’Informatici.

– Ringrazio il Prof. Umberto Sansoni e la Dottoressa Cinzia Bettineschi per il sostegno archeologico che gentilmente mi hanno voluto offrire.

Sintesi

L’autore presenta la personale definizione di Arte rupestre, come l’ “Insieme di mnemotecniche volte alla conservazione, trasmissione e rielaborazione di esperienze e conoscenze a determinazione fenotipica”.

Tali informazioni si sono stratificate per tentativi casuali o apprendimenti mirati nel corso del processo di ominazione   e sono state valutate tanto importanti da essere mantenute in una sorta di “memoria esterna”, integrativa e sussidiaria alla capacità genotipica di trattenere e trasmettere istruzioni, per essere divulgate e perfezionate nel corso delle generazioni a venire.

Quindi solleva l’interrogativo: perché un registro o un catalogo di dati e conoscenze diurne e oniriche si riveste di paradigmi estetici?

Per rispondere a questa domanda, l’Autore prende in considerazione tre ordini di fattori:

1)  – La natura degli stimoli visuali in relazione alla struttura psico-neurofisiologica dei recettori cerebrali del  Sapiens.S.

2) –  L’organizzazione intrapsichica che spinge il Sapiens S. alla ricerca di oggetti piacevoli da vedere.

3) – Partendo dalla fondamentale scoperta effettuata da Michel Jouvet (Paris, 1993) secondo cui il riallineamento dei dati genotipici con le esperienze fenotipiche si compie in Sogno, l’Autore illustra in quale modo si compie il processo di simbolizzazione durante l’Attività Onirica.

Summary

The Author presents his definition of Rock Art as the complex of Mnemo-Techniques aimed to the conservation, transmission and re-elaboration of experiences and knowledge determined by the phenotype.

Such information has grown by stratification of random attempts and specific learning acts in the course of the process of hominization. This body of experiences and knowledge has been considered so important that it has been stored in a sort of “external memory”, which complements and helps the genotypic ability to hold and transmit instructions to be passed to (and to be perfected by) the generations to come.

This fact raises the question as to why an inventory of diurnal and oneiric data and knowledge takes on aesthetic paradigms.

In an attempt to answer this question the Author considers three categories of factors:

  • – The nature of visual stimuli in relation to the psycho-neurological structure of cerebral receptors of Homo Sapiens Sapiens;
  • –   The intra-psychic organisation compelling Homo Sapiens Sapiens to look for objects ‘nice to see’;
  • –   Starting from the basic discovery of Michel Jouvet that Dreams are the place where realignment of genotypic data and phenotypic experience is occurring, the Author shows how the process of symbolization is carried out during Oneiric Activity.

Abrégé

L’Auteur présente sa personnelle définition de l’Art Rupestre, entendu comme l’ensemble de Mnémotechniques visées à la conservation, à la transmission et à la réélaboration d’expériences et de connaissances à détermination phénotypique. Telles informations se sont stratifiées au cours de l’évolution de l’Homme, au biais d’essais fortuits et accidentels, ou bien par apprentissages spécifiques et calibrés. De plus, les Ancêtres préhistoriques les ont considérées de grand intérêt , au point de les garder dans une sorte de “mémoire extérieure”, subsidiaire et complémentaire à la capacité génotypique de retenir et propager des enseignements programmés, au fin qu’elles soient divulguées et perfectionnées au cours des générations à venir. C’est à ce niveau que la question subséquente s’impose: pour quelle raison un simple catalogue ou répertoire de données, diurnes et oniriques, devrait-il se revêtir de tous ces paradigmes esthétiques qui vont composer l’univers de l’Art Rupestre?

Pour répondre à cette demande, l’A. prend en considération trois ordres de facteurs:

1) –   La nature des stimulations visuelles, en relation avec la structure psycho-neurophysiologique des récepteurs   cérébraux du Sapiens S.

2) – L’organisations intrapsychique qui pousse le Sapiens S. à la recherche d’objets plaisants et agréables à regarder.

3) – En s’appuyant sur la fondamentale découverte effectuée par Michel Jouvet (Paris,1993), selon la quelle l’embranchement et le réalignement des expériences phénotypiques aux données génotypiques se réalise pendant l’Activité du Sommeil – Rêve, l’Auteur illustre de quelle manière le processus de symbolisation s’accomplit-il au cours de la vie onirique.

Note:

– 1. Sinai, Jakov,Grigor’evič, matematico e fisico russo, naturalizzato statunitense,  ha dato contributi fondamentali (1959) al calcolo dell’entropia dei sistemi dinamici. In meccanica statistica ha dimostrato che la stocasticità nei sistemi dinamici non è necessariamente associata a molti gradi di libertà, contribuendo ad aprire il nuovo filone di ricerca denominato caos deterministico.  torna su!

– 2. La “Roccia del Grande Fallo” scoperta e illustrata nel 1969 da E.Anati è situabile attorno alla metà del primo millennio a.C. ed è quindi coeva all’ “Edipo Re” di Sofocle (430-420 a.C. circa).  torna su!

– 3. Mi riferisco alle statuine antropomorfe di Dolní Věstonice in Moravia, la cui cronologia è stata sistemata nel    Gravettiano, attorno al 25.000 a.C.(e ci sono testimonianze di uso della ceramica persino precedenti, tra il 32.000 e il 26.000 a.C. a Kleisoura nell’Epiro)  torna su!

[show_hide title=”L’immagine di copertina è liberamente ispirata al dipinto di Salvador Dalì, Medidative Rose, del 1958″]This artwork may be protected by copyright. It is posted on the site in accordance with fair use principles.
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