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Gran parte dell’esistenza di una persona si svolge nell’abitazione in cui egli vive: inizierò quindi con il descrivere accuratamente ubicazione e tipologia dell’abitazione di Freud, nel tentativo di offrire al lettore una vivida presa di contatto con i luoghi e le atmosfere in cui si svolse la vita quotidiana dello scopritore della psicoanalisi.
Freud viveva in via Bergasse, così chiamata perchè scende con ripida pendenza da una strada principale, costituita da edifici del settecento tipicamente viennesi e con una bassa presenza di attività commerciali. L’entrata dell’edificio in cui viveva il Maestro era molto ampia per consentire alle carrozze un ingresso diretto nella rimessa situata nel retro. Sulla sinistra si trovava l’abitazione del portiere, mentre sulla destra, una rampa di sei gradini, conduceva all’appartamento di tre stanze che, dal 1892 al 1908, fu lo studio di Freud. Le finestre affacciavano direttamente sul giardino posteriore, ed un’elegante rampa di gradini di pietra conduceva al piano superiore, dove Freud viveva con la famiglia.
Il 6 maggio 1954, la Federazione Mondiale per la Sanità Mentale, fece affiggere, al n.19 della Bergasse, una lapide con la seguente iscrizione in tedesco:

In questa casa visse e lavorò
il Professor Sigmund Freud
Fondatore della psicoanalisi.
Dedicato dal VI Convegno
annuale della Federazione Mondiale
per la salute mentale, Vienna, agosto 1953.

Sigmund FreudNel 1930 il Consiglio Municipale propose di variare il nome della strada da Bergasse a “Sigmund Freudgasse” ma Freud, che non approvava l’iniziativa, fu notevolmente sollevato quando la proposta cadde nel dimenticatoio. Fu però il 15 febbraio del 1949 che il Consiglio Municipale decise di chiamare “Sigmund Freud-Hof” un edificio del IX distretto di Vienna con apposita iscrizione: ”Dr. Sigmund Freud, Professor der Neurologie an dei Universität Wien. Begründer der Psychoanalyse.1856-1939.”
Nel 1908, l’abitazione di Freud fu sottoposta ad una ristrutturazione: l’appartamento di tre stanze venne ceduto, mentre venne acquisito quello della sorella Rosa al primo piano, che Freud fece congiungere al suo tramite una porta di comunicazione. L’appartamento si presentava con una sala d’aspetto dotata di finestra sul giardino, abbastanza grande da aver potuto ospitare per alcuni anni le riunioni del mercoledi della Società di Vienna. In essa era presente un tavolo oblungo e le pareti erano ornate dalle antichità della vasta collezione di Freud. Da questa stanza si passava allo studio, dotato di una porta imbottita, coperta su ambo i lati da pesanti tendaggi, il divano per le sedute, ed una sedia di fronte alla finestra che si apriva sul giardino. Il giardino era circondato da un muro che inglobava una grotta pseudo-rinascimentale dentro allla quale era stata posta una statuetta di scarso valore, raffigurante una giovinetta con anfora.

L’abitazione era dotata di tre stanze di rappresentanza e le camere da letto.
La giornata lavorativa del Maestro iniziava alle otto del mattino, dopo una rapida colazione e la lettura del “Neue Freie Presse”; le sedute avevano una durata di cinquantacinque minuti. All’una Freud si recava a pranzo dove ritrovava tutta la famiglia, mentre la cena, che spesso aveva luogo tardi, vedeva solitamente i ragazzi già a letto. Freud amava molto i piatti di carne (durante la guerra soffri non poco per la loro mancanza) e durante i pasti era molto taciturno pur non trascurando le incombenze del quotidiano. Tra l’una e le tre, a meno che non sopraggiungesse qualche impegno, era solito fare una passeggiata che gli consentiva anche di effettuare acquisti, per esempio nella sua tabaccheria preferita, o di consegnare le bozze agli editori. Alle tre riprendeva il lavoro a studio che si protraeva anche fino alle ventidue. Dopo cena faceva un’altra passeggiata con la moglie, la figlia o la cognata ed a volte si fermava in un caffè: d’estate nel Caffè Landmann, d’inverno nel Caffè Central. Tornato a casa si ritirava nel suo studio per visionare la corrispondenza alla quale rispondeva puntualmente. Partecipava, inoltre, esponendo a volte i suoi lavori, alle riunioni della Società di Vienna, ogni mercoledi, ed ogni quindici giorni alla loggia ebraica, il B’nai B’rith. La serata del sabato era dedicata al gioco dei tarocchi, mentre la domenica mattina, accompagnato da uno o più membri della famiglia, si recava a far visita a sua madre. Vi incontrava anche le sorelle, prendendo parte attivamente alla vita della famiglia d’origine.

Per quel che attiene la cura della sua persona, Freud abitualmente fu sempre molto ordinato e sobrio non concedendo nulla alle tendenze dettate dalla moda del momento. L’abito che più amava indossare, prima della guerra, era un ampio abito scuro con colletto duro e basso, con una cravatta nera a nodo fisso, mentre il copricapo preferito era un cappello nero a tesa larga.
Freud si impegnò allo stremo perchè i suoi figli non soffrissero di ristrettezze economiche. Ne era tanto ossessionato che organizzò un fondo per la famiglia, alla quale la moglie potesse attingere, e quando poi lasciò definitivamente Vienna, si preoccupò di depositare una somma di denaro alle sorelle. La signora Freud si occupò con dedizione della gestione del menage familiare, riuscendo a coltivare l’interesse legato alla lettura della letteratura contemporanea, che culminava con il ricevere in casa uno dei suoi autori preferiti: Thomas Mann.
L’introito economico sul quale Freud poteva contare proveniva unicamente dal suo lavoro: il suo onorario prima della guerra era di 40 corone, mentre i diritti di autore, che furono molto esigui per anni, venivano investiti a titolo di regalo per i figli.
Per i primi quaranta anni di matrimonio, Freud non fu mai seriamente ammalato: del primo episodio doloroso, un ascesso, si accenna nell’Interpretazione dei sogni, poi un’infezione alla gola lo colpì durante una visita a Praga. Il disturbo che più lo accompagnò, e che era divenuto motivo di scherzo in famiglia, fu una costipazione cronica, che fu diagnosticata di volta in volta come colite, colecistite ecc.
Freud frequentemente riferiva della sua paura della morte: d’altro canto i calcoli “periodici” di Fliess gli avevano concesso cinquantuno anni di vita! Quando poi questo termine venne superato, per scaramanzia Freud disse a Ferenczi che sarebbe morto nel febbraio del 1918; e allorché anche questa data venne oltrepassata, commentò: ”Ciò dimostra quanta poca fiducia si debba riporre nel soprannaturale”. 1 
Fin qui la descrizione delle giornate scandite dai suoi impegni lavorativi e familiari, in una Vienna che, quando in forma ufficiale gli scrisse per motivi fiscali, facendo riferimento alla sua fama “al di là dei confini dell’Austria”, ricevette la seguente e significativa risposta: ”Il prof. Freud è onoratissimo di ricevere una comunicazione del Governo. E’ la prima volta che il Governo si è accorto di lui, ed egli ne prende atto. Su solo un punto egli non è d’accordo, cioè sul fatto che la sua fama si estenda ben al di là dei confini dell’Austria: ai confini essa comincia .” 2
In questa intensissima esistenza, piena di logoranti impegni lavorativi, possiamo comprendere quanta importanza ricoprissero le vacanze estive. infatti Freud aveva l’abitudine di effettare dei sopralluoghi, solitamente durante il periodo pasquale, nelle località che per clima, panorama e quiete, potessero fornirgli la possibilità di riposare durante la permanenza estiva con la famiglia. Prima delllo scoppio della guerra era solito trascorrere le vacanze indossando un costume titrolese: pantaloni corti con vistose bretelle ed un cappello verde con un ciuffetto di Gamsbart da una parte. Era anche munito di un bastone e di una mantella da alpino in caso di pioggia. Più tardi l’abbigliamento fu sostituito da un paio di pantaloni alla zuava e successivamente da un sobrio abito grigio. Era un grande camminatore ed era appasssionato della raccolta di funghi, ma mancava completamente del senso dell’orientamento. Il periodo di vacanze si prolungava per circa sei settimane. Raramente veniva accompagnato dalla moglie e ne era puntualmente rammaricato, tanto che, in una lettera scritta da Palermo dove era in compagnia di Ferenczi, scrive: ”Sono disperato di non poter fare in modo che tutti voi possiate vedere queste belle cose. Per riuscire a goderne con altre sette o nove persone, o magari tre sole, non avrei dovuto fare lo psichiatra né essere riconosciuto come il fondatore di una nuova branca della psicologia, bensì il fabbricante di qualche utilità generale, come per esempio la carta igienica, i fiammiferi o i bottoni da scarpe. Ma è troppo tardi per imparare la lezione, quindi devo continuare a godere egoisticamente, da solo, ma con un profondo rimorso. 3 
Freud amava molto scrivere e confidò sia a Jones che a Ferenczi come tale attività gli consentisse di metabolizzare l’impatto del lavoro di ascolto in seduta.
In un’occasione scrisse : ”Nessuno scrive per ottenere la fama, che del resto è cosa molto transitoria, o l’illusione dell’immortalità. La prima ragione che ci spinge a scrivere è certamente quella di soddisfare qualcosa dentro di noi, e non di soddisfare gli altri. Naturalmente quando gli altri riconoscono i nostri sforzi, la soddisfazione è maggiore, eppure scriviamo in primo luogo per noi stessi, seguendo un impulso interiore. 4 
Di fronte a tale affermazione è significativo ricordare il prestigioso riconoscimento che ottenne, il Premio Goethe per la letteratura, che gli venne conferito a Francoforte nel 1930.

© Rossana Ceccarelli

Note:

1 Ernest Jones, “ Vita e opere di Freud. Gli anni della maturità 1901-1919,” Il Saggiatore. 
2 Ernest Jones, “ Vita e opere di Freud. Gli anni della maturità 1901-1919”, Il Saggiatore. 
3 Ernest Jones, “ Vita e opere di Freud. Gli anni della maturità 1901-1919”, Il Saggiatore. 
4 Ernest Jones, “ Vita e opere di Freud. Gli anni della maturità 1901-1919”, Il Saggiatore.