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Il sofa di Freud

Entrare in casa Freud, attraverso le parole della domestica Paula Fichtl, mi ha offerto l’opportunità di conoscere alcuni aspetti privati della vita di un grande uomo. In questo breve scritto cercherò semplicemente di condurvi nello studio dove riceveva i suoi pazienti e dove forse avrei potuto trovarmi per il grande interesse che ho sempre nutrito nei confronti della psicoanalisi, per poi passare nell’altro, dove Freud trascorreva molte ore durante la giornata, scrivendo le sue importanti opere e fumando i suoi amati sigari.

Come detto sopra, il 15 luglio del 1929, Paula Fichtl si presenterà in casa Freud per offrire i suoi servigi come domestica e sarà proprio il Maestro ad assumerla istruendola sulle future mansioni. Entrare nello studio comportava l’ingresso in una sala d’attesa: attraverso una porta collocata sulla sinistra si accedeva invece al laboratorio di ricerca più innovativo dell’epoca, lo studio di Sigmund Freud.
Il gran numero di tappeti colpì subito Paula: il più grande, persiano, ricopriva il pavimento, un altro era posto sul divano dietro il quale ne era appeso un terzo ed infine uno più piccolo era stato collocato su di un tavolino. Su di esso erano stati posti degli oggetti che Freud amava collezionare e che Paula descriveva come ometti mezzi nudi, teste calve, piccoli leoni e un cammello, che rendevano l’ambiente per lei pauroso. Nell’angolo accanto al divano c’era una stufa di maiolica marrone e la cassetta contenente il carbone, mentre di fronte all’ingresso era stata posta una comoda e morbida poltrona con degli alti braccioli e poggiapiedi. Erano presenti inoltre una parte degli oggetti che Freud amava collezionare: era infatti possibile osservare, sugli scaffali o sul tavolino, le statuine, i busti o i vasi.
Paula aveva il compito di rassettare questo ambiente, sbattere i cuscini di felpa rosso scuro presenti sul divano e rinnovare le salviette di lino bianco che coprivano il guanciale.
Torniamo nella sala d’aspetto dove, accanto alla porta principale, ce n’era una più piccola, che Paula chiamerà “porta segreta“, che consentiva di passare direttamente in corridoio, senza dover attraversare la sala d’attesa. Di fronte a questa porta ce ne era un’altra che conduceva nello studio privato del Professore. La domestica vi si recava tutte le mattine alle otto trovavandolo intriso del fumo dei sigari Avana, quindi arieggiava la stanza, puliva i portaceneri dai mozziconi, spolverava la scrivania e svuotava il cestino solitamente pieno di fogli e di appunti, che, probabilmente, avrebbero dato corpo alle importanti scoperte di Freud. Questo ambiente veniva chiamato da Paula il “museo”, perchè Freud vi esponeva statue, vasi, ciotole, maschere in creta e teste in pietra; vi erano anche i ritratti della pricipessa Marie Bonaparte, quello di Lou-Andreas Salomé e della famosa cantante e ballerina Yvette Guilbertl, immortalata da Henri de Toulouse-Lautrec. Altro elemento non trascurabile erano le librerie che raggiungevano il soffitto, ricolme di libri. Una vetrina esponeva una ventina di accendisigari in oro ed argento che Freud riceveva in regalo in occasione dei compleanni o per altre ricorrenze.
In questa zona venne realizzato anche l’ambulatorio dove Freud veniva assistito quotidianamente dalla figlia. Questo ambiente era molto essenziale: vi era un piccolo tavolo a rotelle, sul quale c’erano: uno specchio, due bicchieri, una confezione di cotone idrofilo ed una vaschetta in smalto, contenente forbici e pinze. Sopra il tavolino era stata posta una mensola per i medicinali, accanto ad essa, sopra la sedia, c’era una lampada a muro.
Ogni mattina, verso le otto e mezza, Paula introduceva il barbiere che pettinava e spuntava la barba di Freud, verso le nove veniva servita in sala da pranzo la colazione e poco dopo iniziava la lunga giornata lavorativa del Maestro.

© Rossana Ceccarelli

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