Psicoanalisi del trapianto d’organo – il vissuto dell’alieno | di Quirino Zangrilli ed Elena Consoli | Armando Editore | 2025
Prefazione
di Gioia Marzi
Psichiatra e Micropsicoanalista Didatta
Non che siano mancate pubblicazioni o riflessioni in merito, ma è mancata la specificità che solo un lavoro dedicato poteva offrire, a partire dalla descrizione del campione e della metodologia di ricerca. L’importanza che gli autori hanno inteso dare alla possibilità di verbalizzazione dell’esperienza di trapianto, almeno sul piano della coscienza, rappresenta poi l’originalità della ricerca.
Non dimentichiamo che gli strumenti in possesso dello psicoanalista restano tali anche quando non si applica con rigore quella metodologia di ricerca. Quindi il sapere del dott. Zangrilli, integrato con quello della dott.ssa Consoli, rappresentano un punto di partenza prezioso per le loro riflessioni.
Dal punto di vista clinico il trapianto è l’unica possibilità di cura per un vasto gruppo di malattie degenerative, talora ad evoluzione acuta, in cui altre terapie non sono sempre possibili.
L’idea del trapianto di organi o parti del corpo ha storia molto lunga e radici anche mitologiche. A tal proposito Tartari scriveva che “il mito è un tentativo di ricercare (…) i miti elaborano connessioni tra oggetti di pensiero, come le rappresentazioni del mondo, quelle inerenti le relazioni e i vissuti associati”.
“Il desiderio di riparare parti del corpo umano – scrive Marcello Paci, membro dell’Accademia dei Lincei – ha da sempre accompagnato l’uomo (…) L’integrità del corpo dopo la morte, in diverse culture, era un requisito essenziale affinché potesse risorgere e numerosi sono i racconti che narrano il reinserimento di parti del corpo andate perdute…”
La presenza di ibridi nella mitologia classica è ben nota e anche il cristianesimo non è esente da episodi di reinserimento di parti del corpo perdute. Paradigmatico è il miracolo compiuto dai Santi Cosma e Damiano che rappresenta il primo trapianto di gamba. Tale episodio è illustrato dal Beato Angelico nella tavola del 1443, detta “Guarigione del diacono Giustiniano”. Per la loro impresa Cosma e Damiano sono considerati i santi patroni dei chirurghi.
Date queste premesse non sorprende che l’idea di riuscire in un simile intento abbia accompagnato l’evoluzione della medicina moderna. Vari tentativi hanno evidenziato le difficoltà tecniche e i limiti biologici fondamentali del trapianto. La storia dei trapianti è dunque anche la storia della scoperta e del superamento di questi ostacoli. Ma si deve giungere al secolo scorso perché si cominci a segnare qualche successo: a parte il superamento delle difficoltà strettamente chirurgiche, la causa dei fallimenti risiedeva nella mancata comprensione della reazione di rigetto. Solo nel 1970 i laboratori svizzeri della Sandoz hanno messo a punto una molecola, la ciclosporina, in grado di ridurre la reazione di rigetto inibendo il sistema immunitario.
Ogni anno nel mondo più di 130.000 persone ricevono un trapianto di organo. In Italia nel 2018 sono stati fatti 3.718 trapianti. “La loro efficacia è indubbia: per chi riceve un trapianto la probabilità di sopravvivenza è di circa 70% a 5 anni, rispetto ad una prospettiva che senza trapianto non lascerebbe molto spazio” (nota della Città della Salute, Torino).
Ma ogni anno, solo meno del 30% dei pazienti in attesa di trapianto lo riceve: “Il primo problema è dunque incrementarne il numero tramite il reperimento di donatori deceduti che abbiano espresso in vita la volontà di donare, o promuovere i programmi di donazione da vivente” nei casi possibili (per esempio il rene).
È anche vero che una certa quota di trapianti smette di funzionare nel tempo, principalmente perché il sistema immunitario dell’ospite riconosce l’organo trapiantato come diverso e lo rigetta. Per questo motivo il 20% circa di chi aspetta un trapianto di rene lo sta aspettando per la seconda volta. Di qui l’importanza di migliorare l’abbinamento tra donatore e ricevente, selezionandoli per caratteristiche genetiche compatibili.
È noto da tempo che le caratteristiche genetiche dei tessuti (antigene HLA) svolgono il ruolo più importante, un po’come i gruppi sanguigni nel caso delle trasfusioni. Eppure, anche nei casi di compatibilità ottimale per l’antigene HLA, una certa quota di trapianti viene rigettata a causa di altre incompatibilità.
La ricerca sulla questione del rigetto dal punto di vista biologico ha portato alla identificazione di un gene LIMS1 che, quando diverso tra donatore e ricevente, contribuisce in maniera significativa a peggiorare la riuscita del trapianto.
Il Prof. Amoroso (Città della salute di Torino) spiega che il 40% degli individui possiede varianti genetiche che non permettono di esprimere la proteina sintetizzata attraverso questo gene.
In caso di trapianto di rene che provenga da un donatore con la variante che esprime la proteina LIMS1, i riceventi che geneticamente non la producono possono riconoscerla come estranea ed indirizzare contro di essa una risposta immunitaria di rigetto dell’intero trapianto. Si è infatti dimostrato che i riceventi negativi per la proteina sviluppano – quando trapiantati con reni positivi – anticorpi anti-LIMS1.
Ecco un possibile meccanismo di rigetto di trapianto, anche in condizioni di compatibilità HLA.
Silvia Deaglio – della Genetica dei Trapianti di Torino – spiega che le implicazioni di queste scoperte potrebbero permettere di trovare le combinazioni più compatibili quando si selezionano i riceventi da trapiantare.
Fin qui si sono usati i test di tipizzazione tissutale (o HLA) per scegliere quale dei pazienti in lista di attesa presenti le caratteristiche più simili a quelle del donatore che si rende disponibile. Ora si potrebbe introdurre anche l’analisi di questa caratteristica genetica al fine di migliorare gli abbinamenti e con essi l’esito dei trapianti.
Gli studi fin qui prodotti sono riferiti a trapianti di rene, ma questa proteina è però espressa anche in altri organi per i quali bisognerà verificare l’incompatibilità per LIMS1.
Ma facciamo ora un passo indietro per affrontare la nota importanza dell’antigene di istocompatibilità (HLA) anche nel processo di impianto della gravidanza e nell’aborto spontaneo ripetuto che si verifica con un’incidenza altissima: fino al 50% delle fecondazioni, anche se in gran parte misconosciute quando precedenti l’impianto. L’aborto spontaneo ripetuto rimane inspiegato nel 60 % dei casi.
Tuttavia sappiamo che almeno una gravidanza su otto ha un inizio gemellare. L’impiego dell’ecografia su vasta scala ha permesso di evidenziare questa condizione che si risolve con la perdita di uno dei concepiti entro il primo trimestre; ma il fatto non è senza rischi per il superstite che può presentare danni embrionali o da anastomosi feto-fetale o feto-placentare (ciò potrebbe portare a liberazione di tromboelastina e conseguente rischio di Coagulazione Intravascolare Disseminata).
Nel lavoro di Consoli e Zangrilli i vissuti dei trapiantati vanno dall’identificazione/introiezione all’incorporazione, fino al riconoscimento dell’altro da sé, o al suo respingimento.
Questi sono concetti ben noti alla psicoanalisi che li ha affrontati sotto diversi punti di vista.
Per Introiezione si intende quel processo inconscio, per cui l’Io incamera e fa proprie le rappresentazioni mentali, relative ad un oggetto esterno e/o a parti di esso.
Così, le pulsioni di vita e di morte sono spostate dall’oggetto alla sua rappresentazione mentale e l’Io può stabilire, al proprio interno, una relazione sostitutiva con questo oggetto introiettato.
Questo termine è in stretta relazione con quello di proiezione, poiché con esso condivide il fatto di essere tra i primi meccanismi che regolano i rapporti del soggetto, ma anche la valenza di meccanismo di difesa, anche se il primo ha un ruolo importantissimo nel processo di strutturazione della psiche. Infatti, il processo di formazione del Super-Io avviene proprio attraverso la messa in atto del meccanismo dell’introiezione: il bambino, per evitare la frustrazione, può introiettare le figure parentali, assumendone i valori, i codici, ecc. Ne è testimonianza il fatto che, pur col progressivo venir meno della dipendenza dai genitori, non cessa il timore della punizione.
Freud continuò ad usare il termine introiezione come sinonimo di incorporazione. L’assunto freudiano, infatti, si basava sull’ipotesi che i modelli mentali di base, come l’introiezione e la proiezione, fossero paralleli ai modelli di base del funzionamento corporeo, ovvero l’incorporazione e l’escrezione, sottolineando, così, la stretta relazione simbolica tra alimentazione, rapporto con gli altri e costruzione della personalità.
L’incorporazione rappresenta una delle modalità più arcaiche di rapporto con l’oggetto ed è strettamente connessa alla fase orale.
Secondo Greenson (1954) l’incorporazione è un’attività istintuale orale che ha come obiettivo di prendere nella bocca una parte esterna del mondo che in questo modo entra a far parte del mondo interno e per questa via entra nel sé fisico (vedi a tal proposito il caso del trapiantato di fegato, riportato dagli Autori, che deve alzarsi di notte per mangiare dolci pur non avendo mai avuto, negli anni precedenti, una simile appetenza); l’obiettivo dell’incorporazione per Greenson sarebbe la soddisfazione istintuale, senza tenere in considerazione il destino dell’oggetto, in questo senso l’incorporazione non è indicativa né di odio né di amore verso l’oggetto. E nel trapiantato rappresenterebbe un comportamento istintuale attribuito all’organo incorporato.
Freud utilizza il termine di incorporazione nei Tre Saggi sulla teoria sessuale segnalando l’intreccio inestricabile tra attività sessuale e assunzione di cibo e sottolineando l’indifferenziazione tra le due attività e la comunanza della meta che consiste “nell’incorporazione dell’oggetto”.
In Lutto e melanconia tornerà sull’incorporazione nella disamina della complessa relazione tra l’Io e l’oggetto perduto in relazione alla regressione che il lutto comporta. L’Io vorrebbe incorporare in sé tale oggetto e, data la fase orale o cannibalica della propria evoluzione libidica vorrebbe incorporarlo divorandolo.
Abraham riprendendo la teorizzazione di Freud enunciata in Lutto e Melanconia avanza l’ipotesi che la Melanconia derivi da un processo di regressione della libido del malato “a quel primissimo stadio orale…”; l’Autore sottolinea l’importanza di due processi contestuali: da un lato vi è una regressione della libido alla fase orale, dall’altro un processo d’introiezione dell’oggetto d’amore; poiché nella malinconia vi è una regressione della libido allo stadio cannibalesco, l’introiezione dell’oggetto d’amore avviene, di fatto, tramite un processo di incorporazione.
M. Klein postula la possibilità di incorporare oggetti parziali come conseguenza della scissione dell’oggetto che avviene per proiezione dell’angoscia primaria sull’esterno, proiezione che in parte torna all’interno dell’Io precoce, avendo come risultato l’incorporazione di un oggetto parziale persecutore.
Klein ipotizza che l’incorporazione dell’oggetto nella sua totalità sia il risultato di un processo di maturazione dell’Io che consente di sperimentare la posizione depressiva, caratterizzata dalla spinta a riparare o salvaguardare l’oggetto danneggiato; i processi riparativi permetterebbero di incrementare i processi di sintesi e integrazione dell’Io.
Da parte sua Fenichel sottolinea come il primo comportamento istintivo positivo, nei confronti di un oggetto desiderato sia quello di diminuirne la distanza e di inghiottirlo. L’atteggiamento opposto è quello di sputarlo e rappresenta il primo istinto negativo nei confronti di un oggetto non desiderato, aumentandone così la distanza; con il progredire dello sviluppo l’atteggiamento è volto ad eliminarlo, come succede nella defecazione. Fenichel ribadisce come la prima incorporazione cerchi di distruggere l’oggetto, in questo senso l’oralità rappresenta la base per ogni incorporazione. La prima incorporazione rappresenta la radice comune dell’amore e dell’odio, con il procedere dello sviluppo l’oggetto è conservato anche per poterlo usare quando ce ne sarà ancora bisogno.
Dunque l’intervento psicologico sui pazienti che sono stati sottoposti al trapianto e che debbono misurarsi con il ritorno di rimossi di identificazione/introiezione/incorporazione si deve sviluppare in due direzioni, seguendo un po’ le fasi della vita pre- e post-trapianto. L’intervento precedente il trapianto già si pone in direzione del miglioramento della qualità della vita cercando di evidenziare la percezione soggettiva che un individuo ha della propria posizione nel contesto di una cultura e di un insieme di valori nei quali egli vive. Ciò potrebbe migliorare le prospettive di buona riuscita del trapianto anche nei casi più difficili di persistenza dell’immagine del Doppio, il sosia o “Doppelgänger”.
Il Doppelgänger è una leggenda medievale tedesca sulla vana speranza di sopprimere il sosia, l’altro da noi, ma identico a noi.
I Doppi, dice la leggenda, non possono essere eliminati e sono presagio di morte; un’esperienza clinica del doppio, dell’altro da sé, è drammaticamente offerta dalle forme dissociative: secondo M. Alessandrini, esse sono la forma distorta assunta da un’emozione ignorata e soffocata la quale, se non riconosciuta, opprime e annichilisce l’Io.
Una particolare forma di esperienza del Doppio o Sosia viene descritta dallo scrittore S. Lem che, nel romanzo di fantascienza Solaris immagina che su un lontano pianeta si trovi un prodigioso oceano che fa emergere ogni sorta di Sosia e di emozione, anche se solo immaginate o proprio inconsce. Per esempio l’incontro del protagonista con la moglie morta suicida si accompagna alle emozioni che lui non era stato mai in grado di dirle o di dirsi anche dopo l’evento.
Nell’opera quindi si descrive il confronto di ciascun membro dell’equipaggio con il doppio delle proprie emozioni, mai salite alla coscienza. Su questa base, quindi il sosia non è il gemello immaginario ma un’incarnazione, anche con fattezze diverse, di emozioni inconsce rimaste ingabbiate. In sostanza si tratterebbe dell’apparire o personificarsi del Sosia o Doppio di profondi e particolari stati emozionali interni.
Queste emozioni inesprimibili e impensabili, quindi rimosse, rientrano nell’indifferenziato, si discostano dalle congiunzioni verbali per rientrare negli affetti arcaici, prendendo le distanze dalle rappresentazioni mentali.
Come si agganciano queste considerazioni al vissuto del trapiantato? Laddove questi parla di incorporazione dell’organo e di istanze narcisistiche si direbbe che l’organo diventi la rappresentazione di un’altra parte di sé, di un Doppio/Sosia depositario di rappresentazioni e affetti mai esperiti. Il trapianto svolgerebbe dunque le funzioni dell’oceano creatore del libro di S. Lem: una condizione situazionale che fa emergere quelle parti che il trapiantato non ha mai pensato di custodire nel suo profondo. In questo senso si comprende l’importanza della stretta collaborazione fra psicoanalisti ed equipe che si occupa di trapianti.
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