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Emanuela Costantini di FOTO Cult intervista il Direttore di “Scienza e Psicoanalisi” sul “Fenomeno Ofelia”: Le Ragioni di un Mito Immortale.

per gentile concessione di FOTO Cult  (Anno XI, Numero 113 – Luglio 2014)
 (Foto di Sarah Ann Loreth, Elena Kalis, Serena Biagini, Diana Debord)
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La morte le fa belle. Almeno stando alla nuova tendenza fotografica che coinvolge sempre più fanciulle. Tutte vive e vegete, precisiamo. Le giovani donne di cui parliamo si ritraggono o si fanno ritrarre immerse nel sonno eterno o in atteggiamenti estatici, in sembianze sublimi, abbigliate con vesti impalpabili e con il corpo adorno di fiori, in una sorta di stato di grazia. Spesso individuano nell’ambiente domestico il luogo in cui inscenare il loro trapasso – gettonatissima, la vasca da bagno – oppure boschi, prati, case diroccate. O, ancora, riverse sulla riva di un lago, proprio come l’Ofelia di William Shakespeare che, a causa del dolore per l’abbandono dell’amato Amleto e per l’uccisione del padre, si tolse la vita gettandosi in un fiume. Ciò che colpisce delle tecnologiche Ofelie degli anni Duemila è l’intento di governare la loro immagine anche nel momento estremo della loro caducità, ritraendosi sul letto di morte così come appaiono nel loro massimo rigoglio fisico e affidando alla fotografia la funzione di conservarlo intatto nel tempo. Ci siamo chiesti se la rievocazione del personaggio di Ofelia non sia solo l’ennesima declinazione dell’ancestrale contrapposizione tra amore e morte su cui l’uomo comune e l’arte si interrogano da sempre, o se ci sia qualcosa di più che valga la pena di approfondire.


(ecco l’intervista al dott. Quirino Zangrilli)

Prima di ogni considerazione: dobbiamo preoccuparci di vedere così tante Ofelie nel web?

Tendenzialmente no. Scattare o farsi scattare questo tipo di ritratti, se è un’attività episodica, può significare un modo per esorcizzare la fascinazione per la morte. Se, invece, diventa una pratica ripetitiva e monotematica potrebbe essere la spia di un disagio psichico.

Ofelia Quirino Zangrilli

Come spiega il diffondersi di questa tendenza?

Le moderne tecnologie “social” danno più visibilità a fenomeni che sono sempre esistiti. Oggi basta uno smartphone o una fotocamera digitale per rappresentare e condividere sentimenti, ansie o aspirazioni. Per la psicoanalisi, la morte è la rappresentazione simbolica di un vissuto di perdita, di assenza, di vuoto. Il mondo virtuale rende ancora più lacerante la solitudine generalizzata di una società frammentata e narcisista come quella attuale. E la donna, che piaccia o no, è l’essere umano che maggiormente vive se stesso come incompleto, mutilato. Una mancanza, rispetto all’uomo, che è quella fallica. Ovviamente tutto questo è vissuto a livello inconscio.

Nelle immagini di cui parliamo l’agonia è raffigurata solitamente eterea, sublime, ma talvolta anche violenta. Da cosa dipendono visioni così diverse?

La versione più inusuale della morte, quella sublime, corrisponde alla rappresentazione inconscia del desiderio di soddisfazione orgasmica. Non a caso l’orgasmo fu definito dai francesi “la piccola morte”. Ciò si deve all’intima vicinanza dell’universo psichico femminile con il vuoto. L’abbandono conturbante è la ricerca di un totale rilassamento e l’abbandono di ogni vincolo con il mondo, a volte spaventoso, altre volte attraente.

Ofelia Quirino Zangrilli

Pensa sia cambiato il modo in cui le donne vedono loro stesse?

Sicuramente sì, soprattutto nell’ultimo ventennio. Per secoli, nel mondo occidentale, regole sociali e tabù religiosi hanno disciplinato duramente l’esercizio della sessualità delle donne, relegandole a una condizione di totale passività nei confronti degli uomini. La recente liberazione sessuale ha risvegliato in loro appetiti atavici, trasformandole da prede a cacciatrici e a cercare il riscatto dalle esperienze di privazione e di sottomissione delle loro progenitrici. In mano a queste nuove donne, gli uomini sono diventati meri strumenti di fecondazione.

Da cosa è influenzato il rapporto che ogni donna stabilisce con se stessa e con il proprio corpo?

L’immagine di sé si costruisce fin dal periodo intrauterino. Ogni esperienza traumatica lascia una traccia nella psiche difficile da ignorare. Gli adolescenti non hanno una percezione reale del proprio corpo, ma lo vedono filtrato dalle proprie paure e dai desideri conflittuali. Per questo motivo, ragazze che agli occhi altrui appaiono bellissime possono percepirsi come mostruose. Un fenomeno in netta espansione, che metto in relazione con il parallelo aumento delle patologie narcisistiche, è quello del rifiuto dei caratteri sessuali secondari: molte donne nascondono il proprio seno, si rasano i capelli, si emaciano con diete punitive per smettere di essere oggetto del desiderio.

Ofelia Quirino Zangrilli

Di cosa hanno paura le donne di oggi?

Le condizioni sociali della donna, almeno in Occidente, non sono mai state favorevoli e garantite come in questa epoca. Nonostante ciò, vive in un forte stato di smarrimento. I media le hanno cucito addosso un ruolo di icona-bambola che non le dà delle vere gratificazioni. Il culto narcisistico per l’apparenza le trasmette l’angoscia dell’inadeguatezza che tenta di respingere con il ricorso massiccio alla chirurgia estetica. L’evaporazione dei ruoli del maschio seduttore e di quello del padre amplificano il suo senso di solitudine e di incompletezza a cui tenta di porre rimedio indossando una maschera. Ma, come per gli attori, finita la rappresentazione, torna alla solitudine della “maschera vuota”.


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