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L’archeologo dispone di pochi elementi per capire il senso delle figure che l’uomo preistorico ha scolpito nella roccia o che vi ha dipinto. Ci sembra quindi che gli apporti scientifici di altre discipline, anche se modesti, possano essere graditi, a patto che abbiano una  sufficiente pertinenza. Il nostro contributo analitico, che si appoggia sull’esperienza delle sedute lunghe di micropsicoanalisi  (Fanti, 1981) in rapporto all’Arte preistorica, si inscrive in quest’ottica.

Il lavoro analitico fa emergere rappresentazioni e affetti che il contesto associativo permette d’interpretare. Possiamo collegare la maggior parte di questo materiale ad eventi vissuti dal soggetto in analisi, in particolare nel suo periodo evolutivo, cioè nei primi sei anni di vita. Certe rappresentazioni, però, si rivelano di origine anteriore alla persona: talvolta, le libere associazioni sfociano su motivi familiari dell’analizzato. Ciò consente di considerare tali motivi familiari come vissuti memorizzati da qualche antenato della persona in analisi, vissuti, riapparsi in seduta come rivissuti. Ce ne sono anche altri che sembrano far parte del fondo mnestico dell’umanità, in quanto memoria collettiva che si trasmette geneticamente da una genenerazione all’altra, secondo le leggi dell’inconscio, cioè in un modo che sembra non essere soggetto alle modifiche imposte dal tempo.

Descrivere tutti gli elementi associativi sui quali ci appoggiamo per affermare quanto sopra, oltrepasserebbe il quadro della nostra relazione. Precisiamo solo che le rappresentazioni e gli affetti filogenetici cui accenniamo si collegano con elementi che sappiamo appartenere a strati molto arcaici dell’inconscio, quali i fantasmi delle origini (Laplanche e Pontalis, 1964), le fondamentali proibizioni inconsce che sono all’origine delle società umane, come i tabù dell’incesto e dell’omicidio (Freud, 1912, 1929) e un materiale specifico dell’esplorazione micropsicoanalitica di cui vale ora la pena dire qualcosa.

Il nostro lavoro analitico ci ha indicato infatti due classi di memorie  inconsce: una conservazione di tracce di pericoli vissuti in tempi molto remoti o di paure arcaiche legate a un ambiente inquietante e una conservazione di meccanismi primitivi d’adattamento alle circostanze, con tracce di vita tribale armoniosa, soddisfazioni pulsionali legate alla sopravvivenza, desideri realizzati di autoconservazione personale e/o collettiva. Questi ultimi elementi sono di particolare interesse per il nostro argomento. Si tratta, in effetti, di componenti dell’inconscio che riguardano la creatività, come abbiamo potuto osservare in persone attuali e che potrebbero anche valere per tutti gli uomini preistorici.

Nel libro Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi (Gariglio, Lysek, 2007, 2008) abbiamo così proposto una nuova modellizzazione della creatività, con l’ipotesi che il processo creatore si metta in moto quando delle tracce di esperienze di benessere, iscritte nell’inconscio e, fino a quel momento, soffocate da vissuti conflittuali o traumatici, si riattivano, uscendo dal fagocitamento cui le costringeva il rimosso. Ritornatane alla luce la specificità, queste tracce inconsce di benessere diventano capaci di manifestarsi. L’espressione creativa si costruisce, più precisamente, quando il soggetto riesce a superare il senso di vuoto legato a una perdita, integrando esperienze di benessere con residuati di conflitti rimossi (per es. dinamiche edipiche, vissuti di castrazione… tipo quelli legati al ‘terrificante padre del mitico branco primitivo’ di freudiana memoria…). Chiamiamo questo processo, che avviene negli strati più evoluti dello psichismo (cioè nel preconscio), “elaborazione ricombinativa”, perché raccoglie ed organizza in un insieme originale e coerente – che abbiamo chiamato “oggetto psichico ricombinato” – informazioni di natura diversa, prima nello psichismo, poi nella realtà.

Ora, tutto ci indica che questo processo accomuna gli essere umani. Abbiamo inoltre notato che il confronto con i reperti preistorici provoca risonanze profonde tra noi e l’opera creata dall’uomo preistorico. Mettendoci in uno stato d’attenzione fluttuante, atteggiamento tipico dell’analista in seduta, ci vengono in mente rappresentazioni e affetti di benessere, che si collegano spontaneamente con del materiale analitico simile, per esempio quello che viene a galla quando l’analizzato prova appagamento e distensione, in un clima relazionale fatto di interazioni favorevoli all’unione e alla conservazione della vita, materiale che possiamo condividere con lo stesso in un movimento controtransferale positivo.

Basandoci su tali elementi,abbiamo presentato nel XXIII Valcamonica Symposium (Lysek e Gariglio, 2010) l’ipotesi che certi elementi soddisfacenti della vita quotidiana, espressioni sia preistoriche che contemporanee, testimonierebbero l’esistenza di tracce inconsce, lasciate da vissuti di benessere. Nella psiche dei nostri antenati, queste tracce possono essersi riattivate in momenti di tranquillità e soddisfazione di bisogni biologici e relazionali, ciò che avrebbe favorito l’elaborazione e la ricombinazione delle informazioni memorizzate nella psiche e, quindi, spinto alla creazione. Tra gli elementi accorpati, nel caso della preistoria, potrebbero esservi state rappresentazioni mentali della realtà: organi genitali, riproduzione, funzione alimentare (in particolare allattamento), animali selvaggi o addomesticabili, natura come possibilità di nutrimento o come fonte di pericoli…

In altre parole, abbiamo fatto l’ipotesi che manifestazioni di creatività benessere possano essere esistite nella preistoria e che l’arte rupestre potrebbe essere stata anch’essa, in certe occasioni, una riproduzione di esperienze di benessere, ricombinate con vissuti aggressivo-sessuali rimossi. Nella presente relazione, cercheremo di cogliere nelle società pre-letterate questa ipotesi di una dinamica legata alla memoria inconscia del benessere. Ciò crea un legame supplementare con i nostri lontani antenati.

Il periodo che si intende prendere qui in esame è ristretto al Paleolitico superiore europeo dove abbondanti e particolarmente esplicative sono le iconografie inerenti all’argomento. Pertanto, abbiamo raggruppato rappresentazioni grafiche e scultoree, creando delle aree tematiche di tracce di benessere, elaborate e ricombinate, cinque per la precisione, che sono: 1) figure femminili (gravettiane e magdaleniane), 2) figure ibride (uomo-animale), 3) scene di relazione tra due o più soggetti, animali e umani, 4) gradevolezza estetica di alcune figure di animali, 5) evidenziazione di una splendida osmosi con l’ambiente.

Area 1. Veneri gravettiane e magdaleniane: tra maternità e femminilità. (Figure 1a 1b)

1 a – Piccola scultura femminile in avorio di mammut. Altezza 59,7 mm. La datazione dei livelli corrispondenti la situa nell’Aurignaziano iniziale, tra circa 40.000 e 36.000 anni fa, facendone, ad oggi, la più antica raffigurazione femminile inquadrabile nel tipo delle cosidette “veneri” gravettiane. Ritrovamento del 2008. Grotta di Höhle Fels, Schelklingen, Germania. (da N. J. Conard, 2009, p. 248)

 

1 b – Piccola scultura femminile in avorio di mammut, detta “Venere Impudica”, la prima statuetta paleolitica ritrovata in Francia, nel 1864. Altezza 77 mm. La testa sembra essere fratturata e perduta. Datazione al Magdaleniano medio o superiore. Riparo di Laugerie-Basse, Dordogna, Francia. (da A. Roussot, 1996, p. 23)

 

Le prime sono donne grasse dai grandi seni e non corrispondono ai canoni estetici attuali. Però, quasi tutte le persone che guardano queste figure gravettiane provano un’emozione positiva nei loro confronti, un regressivo desiderio di rannicchiarvisi, un senso di sicurezza e di protezione contro le vicissitudini della vita. Quando ne parlano in analisi, vengono fuori delle rappresentazioni di figure materne rassicuranti e degli affetti di benessere. Si potrebbe tentare di spiegare la proiezione di tali fantasie con il fatto che il contatto visivo con questi reperti faccia risuonare in noi rappresentazioni e affetti filogenetici molto arcaici, che potrebbero essere riconducibili a una memoria persino di eventi preistorici. Tutto lascia intendere che queste tracce si riattualizzino ontogeneticamente, quando l’essere umano, a contatto con la madre, vive un’esperienza di benessere. Quindi, guardando una venere gravettiana potremmo collegare il vissuto di appagamento attuale con una riattivazione di memorie ontogenetiche e tracce filogenetiche di benessere.

Un esempio:  dopo aver visitato un museo archeologico, un analizzato apporta questo materiale: “Mi ha colpito la statuetta di una venere preistorica. Me ne sono innamorato. Estasiato nel rimirarla, stavo veramente bene; provavo una distensione totale, uno stato di felicità fuori del tempo. Me ne sono poi comperato una riproduzione, che adesso troneggia sulla mia scrivania in ufficio. […] Mia moglie è disperata perché è molto ingrassata; a me, invece, come piaceva quella Venere, lei piace anche grassa. Certo, mi eccita meno sessualmente, però ciò viene compensato da un senso di pace e di serenità che provo quando siamo insieme; […] Mi torna in memoria un sogno fatto  all’acquisto  della statuetta: ero in Jurassic Park, circondato da Tirannosauri molto aggressivi, che stavano per divorarmi. Dietro, c’era la mia statuetta che ha cominciato ad ingrandirsi, diventando gigantesca. Poi, si è animata, diventando una donna-dea che si è avvicinata senza timore ai grossi animali. Li accarezzava e questi sono subito diventati docili ed affettuosi. La dea mi ha appoggiato su di sè e non mi sono mai sentito così bene…”

Quest’estratto di seduta è un tipico esempio degli anelli associativi che si formano nelle sedute lunghe. Unanello associativo è una successione di elementi verbalizzati che ritornano al loro punto di partenza collegato però con contenuti più profondi, svelando così rappresentazioni e/o affetti contenuti nell’inconscio. (Lysek, 2007, 2010). Nella fattispecie, tale formazione di anelli associativi collega il presente ai tempi preistorici, favorendo “un’elaborazione ricombinativa” di elementi in cui la sessualità si arricchisce di tenerezza e senso di sicurezza. Tornando alla preistoria, il benessere emanante dai reperti ne sarebbe l’equivalente.

Per quanto riguarda poi le veneri magdaleniane, più recenti, meno abbondanti ma in cui si riconosce ugualmente la femminilità (natiche prominenti e seno a volte solo accennato…), c’è ugualmente piacevolezza nel considerare forme più stilizzate. Infatti, questo tipo di femminilità porta l’impronta di un benessere nel senso del piacere di vedere ‘un virgulto’ che sta crescendo: l’adolescente in fase di trasformazione.

Area 2. Figure ibride: “L’ibrido come integrazione e potenziamento” (Figure 2a 2b)

 

2 a – Composizione detta “sorcier” (stregone), situata su un diedro roccioso nella Sala del Fondo, formata da un triangolo pubico femminile, dalle relative cosce e da un essere composito (in altro a destra), formato dalla testa di un bisonte, da un braccio sinistro umano completo di dita e, forse, da una gamba umana posta verso il basso. Quest’ultima potrebbe completarsi in altri tratti, posti ancora più in basso e sul retro del diedro (nel rilievo, in basso a destra) di non facile interpretazione. In alto a sinistra è infine la testa di un leone, volta verso sinistra e di profilo. L’interpretazione selettiva dei molteplici tratti, rimane da confermare. Datazione all’Aurignaziano. Scoperta del 1994. Grotta Chauvet, Vallon-Pont-d’Arc, Ardèche, Francia. (da J. Clottes (a cura di), 2001, pp. 169-170)

 

2 b – Essere ibrido detto “sorcier” (stregone) o “Dieu cornu” (dio cornuto), dipinto e inciso, con elementi umani (arti posteriori, arti anteriori, barba, raro volto frontale) e animali (occhi da civetta, coda equina, corna di cervo, orecchie ferine, sesso), situato nella Sala del Santuario. Datazione al Magdaleniano, stile IV di A. Leroi-Gourhan. Scoperta del 1914. Grotta di Les Trois-Frères, Montesquieu-Avantès, Ariège, Francia. (da N. Coye (a cura di), 2006, p. 95)

 

In un lavoro sull’Ibrido, Gariglio (2011), presenta tale immagine nella tripla sfaccettatura di “conflitto, trasformazione e integrazione, in un’ottica di universalità psicobiologica”, attestabile sia da reperti presentati dall’archeologo Pietro Rossi che ha collaborato a tale lavoro, sia da alcuni estratti di sedute micropsicoanalitiche, presentate nelle dinamiche transferali e controtransferali. Si tratta di sequenze associative di due analizzati che hanno preso spunto dal manufatto di un ibrido, presente nella stanza d’analisi. Così, come per Gabriella Brusa Zappellini, l’ibrido può interpretarsi come una “restituzione grafica di un’esperienza visiva emozionale” (2009, p. 144), queste sequenze associative, nel lavoro di Gariglio, sottolineano “l’integrazione rappresentazionale-affettiva, propria dell’Immagine” e il  passaggio dalla sfaccettatura del conflitto a quella della sinergia. Quindi, a partire da un induttore associativo, che sente l’ibrido come “prodromo di spinta trasformativa”, o “potenzialità di passaggio” , l’autrice giunge a sentirlo come qualcosa di “vitale, nuovo e originale”, dando ragione a Luigi Luca Cavalli Sforza (2010, p. 46) che parla di “vigore degli ibridi” (p. 46), per cui “più gli individui sono mescolati, più sono prestanti rispetto all’ambiente (p. 47). Le sequenze riportate nell’articolo evidenziano un continuum conflitto-perdita-integrazione, a partire dall’imprenscindibile essenza conflittuale e traumatica, insita nell’ibrido, secondo quanto attestano i lavori di Anati (2010), di Bolmida (2010) che vede l’ibrido “un tentativo di elaborare vicende traumatiche di origine catastrofica esterna, incisesi nella memoria inconscia individuale e collettiva, o andamenti gravidici perturbati, proiettati sull’animale mostro e reintroiettati in un’identificazione pseudo-umana persecutoria”,  fino all’ipotesi formulata da Bruna Marzi (2011) per cui “le figure ibride sarebbero una rapprentazione del conflitto psicobiologico intrauterino”.

In questa sede,  utilizzeremo un estratto delle sequenze associative di cui si è detto (Gariglio, 2011), per evidenziarne il movimento trasformativo, avvenuto nel corso delle sedute.  Eccone una  condensazione associativa : In (…) “questo connubio uomo-animale, mi sono visto (…)  come in uno specchio (…) in conflitto tra due nature. (…) Nell’ibrido, ho riconosciuto il mio vero blocco, quello affettivo, un blocco che mi ha da sempre immobilizzato le emozioni e non va né verso l’interno né verso l’esterno. Una stasi. (…).Come qua in seduta (…). In questa serie di sedute sento di aver fatto un gran passaggio dalla modalità passiva infantile alla consapevolezza di essere adulto e darmi quel che serve, quello che posso. Nel sogno di questa notte, c’era un uomo che stava  corteggiando la mia donna. Mi ci confronto, per la prima volta. (…) Ho sognato che mia madre moriva (…) questo andare avanti non lo capivo : il rapporto madre-figlio è statico invece il rapporto verso l’esterno è dinamico. Mi sento soddisfatto (…) Ora mi sento io quella possibilità di vita calda (…) Il bello dell’ibrido è che, una volta diventato tale, non può più tornare indietro a una sola delle due entità che si sono fuse, fortificandosi, in una forma sola.(…) Stavo fantasticando su un’idea di pittura(…) una base di uomini-radice, piantati nella terra e in contatto con il fuori, tendenti all’alto.  Spero che anche lei sia soddisfatta. ”

Nell’articolo, un’altra persona in analisi, con un lutto doloroso di difficile elaborazione, vedendo l’ibrido in seduta, compie via via il seguente iter associativo:  “lo sento come una forma umana la cui testa  è di  diavolo malvagio, qualcosa di proprio cattivo, pronto a scattare (…) Una volta sognavo sempre il diavolo nella stanza … ma l’ultima volta ho detto: il diavolo sono io!  Se esco dalla distruttività perchè ne ho coscienza, poi creo .(…) Mi sono venute in mente tante nuove cose che potrei fare, ora che son sola…. Anche insieme ad altri. (…) Sto sentendo una convergenza verso una ricerca comune.  (….)  Ho sognato che mi erano cresciute due splendide ali che mi rendevano molto forte. ” .

Nel resoconto finale, come primo tentativo di sintesi psicoanalitico-archeologica, i due autori, Gariglio e Rossi scrivono (pp. 68-69): “L’ibrido come adattabilità è in linea con i movimenti di trasformazione-integrazione che porta, alla fine, ad un potenziamento energetico e di possibilità. Questo può vedere l’ibrido come “tentativo riuscito”di una forma nuova, da consapevolizzarsi e che caratterizza la concettualizzazione della “nascita di un proprio originale” (Gariglio, 2009), a seconda di chi lo inventa e a disposizione di chi lo utilizza. Nel proprio originale, il continuumtrasformativo ne è l’essenza, frutto di un processo, portato a termine, di “elaborazione ricombinativa”, secondo l’esplicitazione fattane in Creatività benessere (G.&L., 2007). Nell’ottica sciamanica, tale adattabilità dell’Essere ibrido, uomo-animale unito alla entità divina, è associabile alla facilitazione dello spostamento dello spirito nei diversi mondi del cosmo, risultato della trasformazione dello sciamano. Tale rappresentazione è quindi in linea con certi sogni, fantasie e associazioni che, nella seduta analitica, sono riscontrabili: ciò che in principio era azione, movimento spirituale è oggi diventato attività psichica: creatività (benessere, movimento e relazione), sonno-sogno, aggressività, sessualità, spiritualità. Lo sciamano esiste ancora come entità energetica profonda che, nel campo analitico, coinvolge analista e analizzato e, nella realtà, può riguardare chiunque accetti di confrontarsi anche con ciò che sente strutturalmente diverso” .

Area 3. Relazione appagante tra due o più soggetti, animali e umani (annusamento, avvicinamento, sfregamenti, baci, accoppiamento). (Figure 3a 3b 3c 3d)

In analisi, si constata che risolvendosi gradualmente i conflitti, l’analizzato relaziona di più e soprattutto stabilisce dei rapporti più appaganti sessuali e affettivi. Possiamo ipotizzare che anche questi ‘rari’ reperti preistorici, che ci illustrano relazioni affettivo-erotiche, testimonino una tale evoluzione che fa quindi coincidere immagine e parola. Non stiamo a sporgere esemplificazioni da materiali associativi perché queste azioni sono di comprensione immediata.

3 a – Frammento di propulsore in corno di renna con due stambecchi affrontati, in lotta o gioco, ascrivibile al tipo IV di P. Cattelain. Lunghezza 9,4 cm. Datazione al Magdaleniano medio. Grotta di Enlène, Ariège, Francia. (da I. Barandiarán, 2006, p. 41)

 

3 b – Incisione su osso con due renne in probabile scena di olfazione genitale (maschi?). Datazione al Magdaleniano superiore/finale. Grotta de La Vache, Ariège, Francia. (elaborato da fotografia di H. Delporte, 1993, p. 135)

3 c – Incisione su placchetta rocciosa con probabile bacio tra due figure umane. Datazione al Magdaleniano III/medio. Grotta di La Marche, Vienne, Francia. (da I. Barandiarán, 2006, p. 197)

3 d – Incisione su parete rocciosa con scena sessuale o di accoppiamento tra due figure umane. A sinistra, non rappresentate nell’immagine, sono alcune figure non facilmente leggibili e sovrapposte, fra le quali, dei mammut. Datazione al Gravettiano-Solutreano. Grotta di Los Casares, Guadalajara, Spagna. (da J. Angulo & M. García, 2005, p. 151)

 

Area 4: Gradevolezza estetica di alcune figure di animali. (Figure 4a 4b 4c)

Ribadiamo il fatto che certe pitture provocano in noi un’emozione artistica che ci dà uno stato di benessere e ci appaga. Possiamo ipotizzare che tale stato di benessere possa dipendere anche dal fatto che l’uomo preistorico ha dipinto in un’attitudine performativa, sintonizzandosi con l’essenza dell’animale che viene rappresentato in una resa più naturalistica-veristica o stilizzata.

4 a – Disegno di un gruppo di leoni in nero, parte del Grande Pannello della Sala del Fondo. Datazione all’Aurignaziano. Scoperta del 1994. Grotta Chauvet, Vallon-Pont-d’Arc, Ardèche, Francia. (particolare tratto da J. Clottes (a cura di), 2001, p.139)

 

4 b – Disegno di cavallo in nero, dal panello 3 del Salone Nero. Datazione al Magdaleniano finale. Grotta di Niaux, Ariège, Francia. (da J. Clottes, 1995, p. 102)

 

4 c – Piccola scultura di mammut in avorio di mammut. Lunghezza 37 mm. Datazione all’Aurignaziano. ritrovamento del 2006. Grotta di Vogelherd, Stetten, Germania. (da N. J. Conard, M. Lingnau, M. Malina, 2007, p. 23)

Area 5: Osmosi con l’ambiente. (Figure 5a 5b 5c 5d)

L’osmosi con l’ambiente rimanda all’intima adesione al supporto roccioso in grotta, tanto che i volumi, sovente, sfruttano aggetti naturali così che“le accidentalità assumono una funzione dinamica (…). Gli animali si sviluppano a partire dai volumi e dalle cavità “e “l’azione della mano” sottolinea, “con il ritocco, (…)” (Brusa Zappellini, 2009, p. 168) questo “realismo fortuito” che  diventa “intenzionale”, come ne scrive lo psicologo Georges Henri Luquet, citato da Zappellini, per cui “le proiezioni visionarie sono l’equivalente sul piano visivo di ciò che è la metafora sul piano verbale” (p.169).  

5 a – Disegno di bisonte in nero, dal Grande Pannello della Sala del Fondo. Il corpo appare di profilo mentre la testa, frontale, sfrutta un angolo nella parete rocciosa per suggerirne la tridimensionalità. Datazione all’Aurignaziano. Scoperta del 1994. Grotta Chauvet, Vallon-Pont-d’Arc, Ardèche, Francia. (particolare tratto da J. Clottes (a cura di), 2001, p.142)

 

5 b – Bisonti modellati in argilla, raccolta dal suolo della grotta e disposta su un blocco roccioso. Lunghezza 63 cm e 61 cm. Datazione al Magdaleniano medio. Scoperta del 1912. Grotta di Tuc-d’Audoubert, Ariége, Francia. (da R. Bégouën, C. Fritz, G. Tosello, J. Clottes, F. Faist, A. Pastoors, S. Lacombe, P. Fosse, 2007, p. 30)

 

5 c – Testa di cerva dalla sala de La Hoya. Dipinta in nero, sfrutta il bordo di un aggetto roccioso naturale per suggerire la parte inferiore del collo e del muso. Datazione al Magdaleniano inferiore cantabrico. Grotta di Altamira, Cantabria, Spagna. (da A. Beltran, 1998, p. 150

 

5 d – Dente inferiore di capodoglio con due figure di stambecchi scolpite e con motivi geometrici lineari incisi. Esse occupano tutta la superficie possibile del supporto naturale, disponendosi quindi in verticale e in orizzontale. Datazione al Magdaleniano medio. Riparo del Mas d’Azil, Ariège, Francia. (da L’art préhistorique des Pyrénées, 1996)

 

Tentando di tradurre in parole associative questo fatto preistorico, si può collegarsi ad analisi avanzate che stanno attualizzando patrimoni potenziali di benessere, verificabili in certe invenzioni di “creatività postanalitiche”  di cui si è occupata Gariglio (1999-2002), ove si può cogliere molto bene l’osmosi con l’ambiente, vissuta in modo naturale. L’uomo preistorico che sfrutta un punto già esistente in natura, per costruire un’idea nuova, potrebbe essere assimilato all’analizzato che parte da qualche aspetto della sua struttura caratteriale, cioè naturale, associandovi altri fili per costruire nuovi tentativi, in particolare, azioni originali. A questo punto del lavoro, con l’accettazione della propria struttura caratteriale, la persona è diventata capace di adattare il desiderio al principio di realtà, accettandone i limiti.  Su questo dunque, si possono recuperare nuove immagini…. Se consideriamo ciò agli occhi della nostra modellistica, possiamo interpretare tale capacità di adattamento che si appoggia a qualcosa  della propria natura, come l’inizio del processo di elaborazione ricombinativa in cui echi conflittuali e traumatici si condensano con apporti di benessere.

Un esempio, tratto da qualche “seduta di approfondimento”. L’analizzata porta in seduta un nuovo materiale di scrittura, scaturito naturalmente come desiderio. Associando, durante la lettura di qualche pagina del suo scritto, la persona scopre di star relazionandosi con l’immagine della natura, in modo spontaneo e, scopre anzi, con l’avanzare del racconto, che sta proprio “appoggiando” la trama della storia alle manifestazioni della natura che l’attornia. La persona che abita, per l’appunto, in campagna, vive immersa, da molti anni, nell’avvicendamento delle stagioni: “Mi è venuto naturale, dice, dare la voce alla natura che ho sempre visto morire e rinascere e non mi rendevo conto di quanto mi ci fossi, quotidianamente, fatta aiutare.”. Controtransferalmente, all’analista viene in mente che, durante l’analisi, la persona aveva già introdotto, in un flash, questa sfaccettatura di osmosi con una natura sentita amica: “dalla finestra della sua camera di bambina, l’analizzata vedeva un grosso albero che disegnava continuamente, come conforto a periodi di grande angoscia”. L’analista si ricorda di averne inconsciamente già colto l’importanza, in una poesia (del valore di sogno, cfr. Marzi, 2011), scritta silenziosamente e dedicata all’analizzata. La poesia, cogliendo l’identificazione della persona con la ‘crescita spontanea di rami’ che “da lor stessi nascean”, conteneva in nuce l’idea che l’analizzata si fosse già ‘salvata la vita’, pescando dall’esperienza dell’ambiente i suoi adattamenti interni di benessere, proprio per la capacità inconscia di ‘appoggiarsi’ sull’immagine di quel grosso tronco, fonte di creazione (esempio di riattualizzazione transferale-controtransferale). Quindi, una volta che i conflitti più disturbanti siano stati disattivati, distendendosene il rimosso, al di là delle “tracce legate alla morte” (Roux, 2005, p. 41), la traccia di benessere può diventare maggiormente protagonista, così come, nella nostra ipotesi, lo era già, naturalmente, nella preistoria, quando le rocce venivano incise lasciandovi registrata la vibrazione di un benessere che aveva spinto il nostro antenato a compiere questo atto di distensione e piacere. Una traccia che oggi recepiamo in una dinamica di tipo controtransferale, avendo in noi, probabilmente, lo stesso desiderio inconscio dei nostri antenati. Tale desiderio potrebbe manifestarsi secondo il meccanismo descritto da Nicola Peluffo (2006) di “contemporaneità di desideri nel campo analitico”.

In conclusione, sembrerebbe che, quel certo benessere che si continua a provare, osservando qualche reperto preistorico che va nel senso da noi descritto, possa essere una traccia eterna e universale, legata ad esperienze di benessere che ci accomunano.

Daniela Gariglio, Daniel Lysek © (con la collaborazione di PietroRossi (archeologo)

Immagini a cura di Pietro Rossi

(Articolo già pubblicato nei Pre-atti del XXIV simposio della Valcamonica dalle Edizioni del Centro)

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