(estratto della relazione presentata alla Seconda Conferenza Tematica SIP, Roma 2005. Area Simposi Tematici: Genesi della personalità: tra bios e nous)

Il problema della durata del trattamento, della sospensione o del suo termine si pone quotidianamente in psicoterapia. Appare particolarmente delicata la sua sospensione e se ne discute la concomitanza con il trattamento psicofarmacologico.
Nella clinica psichiatrica, malgrado talune difficoltà a parlare di cronici, non ci si stupisce affatto delle ricadute, dei nuovi episodi, delle trasformazioni di quadri clinici.
Invece in psicoterapia ci s’interroga e si è interrogati su ripresentazioni, trasformazioni di disturbi o loro spostamenti anche sul piano somatico.
La questione era stata affrontata dallo stesso Freud in “Analisi terminabile e interminabile”, opera del 1937, nella quale, forte della sua ultradecennale esperienza di psicoterapeuta e di didatta, il Maestro confermava e discuteva il fenomeno. Forse la psicoanalisi delle origini aveva un po’ risentito del positivismo ancora strisciante alla fine dell’‘800 e delle attese di una definitiva risoluzione dei sintomi nevrotici, ma, nel 1937, Freud aveva già scritto “Al di là del principio di piacere” formulando il concetto di Coazione a Ripetere (CaR), quale necessità inconscia a rimettersi in situazioni dolorose e assurde nel tentativo di  ripristinare la situazione antecedente al trauma.
Può essere un esempio odierno di questi concetti una mia giovane analizzata che, dopo molta sofferenza, aveva accettato di sottoporsi al lavoro di seduta risolvendo il suo problema di tossicodipendenza da oppiacei e una penosa relazione sentimentale con un giovane portatore dello stesso disturbo. La ragazza aveva appena ripreso le sue normali attività e un discreto benessere quando si era trovata con un altro partner, questa volta cocainomane, e solo dopo altro lavoro e altri partners, tutti in odore di abuso di sostanze, aveva potuto affrontare la figura del nonno alcolista, morto in circostanze mai chiarite.
Anche la dimensione transgenerazionale, non solo dei disturbi psicopatologici, ma degli stessi conflitti inconsci, delle fissazioni e delle loro ripercussioni sul piano della vita psichica era stata affrontata da Freud nelle sue ultime opere.
Fanti ha ripreso questi temi formulando il concetto di Immagine: insieme geneticamente organizzato delle rappresentazioni e affetti che strutturano l’inconscio a partire dall’Es.
Nella sua opera “Immagine e Fotografia”, N. Peluffo riprende e sviluppa il concetto di Immagine quale forma potenzialmente conoscibile della relazione d’oggetto; una forma rimossa, che lascia un’orma nello psichismo.

Wadi Mathendous, Libia:
orme di civiltà in un meraviglioso graffito rupestre (IX-VIII sec A.C.)
(foto di G. Marzi – ©)

E’ quest’orma che continua ad agire mentre l’individuo, ignaro, continua ad impostare su quella forma tutte le sue relazioni. La rimozione può essere avvenuta nell’ontogenesi, prenatale o postnatale, o nella filogenesi, cioè nella vicenda evolutiva (Immagine filogenetica). In micropsicoanalisi, assieme al concetto di rimozione propriamente detta, vengono applicati i concetti di rimozione pre-originaria e originaria. Nella rimozione pre-originaria la fissazione è a livello dell’Es e agisce sugli insiemi di tentativi in strutturazione psico-biologica; nella rimozione originaria la fissazione è a livello dell’Es e dell’inconscio e agisce sulle entità in strutturazione psichica. Per quanto riguarda la rimozione propriamente detta si deve tener presente che le fissazioni energetiche della rimozione pre-originaria e originaria magnetizzano le rappresentazioni e gli affetti e tendono ad agglutinarli nell’inconscio.
Nel caso della giovane di cui sopra, l’imago di un nonno sconosciuto, plasmatasi attraverso i racconti della madre, ma soprattutto per le taciute, ambivalenti coloriture dell’Edipo della madre, andava a costituire un aspetto integrante dell’Immagine della relazione con la figura del padre ancestrale: un’Immagine con esigenze insaziabili, che continuava a piegare la forma delle relazioni della giovane, servendosi del meccanismo della Coazione a Ripetere, e costringendola alla ripetizione di relazioni nelle quali quell’Imago fosse rievocata. In altri termini: affinché quella relazione rivivesse.
Bisogna dire che queste precisazioni nel corso del lavoro analitico sono delle conquiste preziose e anche abbastanza rare. Quando si verificano, il sollievo per il soggetto in analisi è manifesto .
La micropsicoanalisi è giunta al concetto di Immagine quale insieme geneticamente determinato, grazie al lavoro delle sedute lunghe e degli accorgimenti tecnici.
Utilizzando una terminologia importata dalla genetica, la Micropsicoanalisi segue l’illustre esempio di Piaget che aveva usato il termine di “epistemologia genetica” per indicare  lo studio del significato che hanno concetti quali spazio, tempo, velocità, causalità, ecc., attraverso il  processo per la loro acquisizione.
L’intelligenza umana per Piaget non è plasmata dall’ambiente esterno né preesiste fin dalla nascita alle varie esperienze. Essa, piuttosto, si autocostruisce dall’interno, in un processo che assicura un equilibrio sempre più stabile dell’organismo umano nei confronti dell’ambiente esterno.
Noto nel pensiero di Piaget la dimensione processuale e dinamica che egli pone alla base dello sviluppo dell’intelligenza (Piaget si è occupato prevalentemente degli aspetti cognitivi in psicologia dello sviluppo) e che si ritrova nelle recenti acquisizioni in genetica.
La genetica è una scienza giovane, ma progredisce e acquisisce conoscenze molto rapidamente ed è da tempo uscita da quella sorta di avvilente determinismo che sembrava caratterizzarla all’inizio, quando si parlava di relazione univoca gene-proteina.
Infatti, nell’era post-genomica, il concetto di “geneticamente determinato” deve tenere conto di molte variabili quali, ad esempio, l’integrazione tra proteomica (studio di tutte le proteine espresse da una cellula in ogni momento del suo ciclo vitale) e trascrittomica (studio dell’insieme dei trascritti presenti in una cellula in ogni momento del suo ciclo vitale).

I geni, come tutti i sistemi biologici, quasi certamente operano in modo sistemico identificabile con una vera e propria rete biologica cibernetica.
Al fine di favorire il mantenimento di grandi ‘riserve profetiche’, solo una parte delle sequenze nucleotidiche si esprime, mentre la maggioranza è silente.
Le recenti acquisizioni sul genoma umano evidenziano che ben il 98% del DNA che costituisce il genoma non viene espresso in  proteine; di esso, circa il 50% è rappresentato dal cosiddetto ‘DNA ripetitivo’ e circa il 23% da introni e pseudogeni. Alcuni studi preliminari sul DNA ripetitivo, denominato in passato DNA spazzatura’, evidenziano che esso contribuisce a fornire spiegazioni soprattutto in merito ai meccanismi evolutivi degli organismi viventi nonché a quelli di regolazione dell’espressione genica; questi ultimi si esplicano attraverso la sintesi di molecole di RNA coinvolte nell’attivazione e nella disattivazione dei geni. È da  aggiungere la presenza dei cosiddetti geni ‘ballerini’ (trasposoni) cioè segmenti  di DNA senza fissa dimora, che rientrano nella famiglia del ‘DNA ripetitivo’ e rappresentano circa il 45%  del DNA genomico. Indubbiamente, questi trasposoni svolgono un ruolo molto importante nella conservazione della diversità genetica, cioè  biologica.
La differenza tra le specie non è tanto nella quantità-qualità dei geni, ma in come essi si arrangiano in gruppi  e come questi siano regolati attivandosi e disattivandosi: ciò che cambia è il programma di funzionamento di geni molto simili.
La complessità-unicità del sistema immunitario, i problemi di istocompatibilità e dei trapianti, le trasfusioni, le cosiddette intolleranze sembrerebbero in contraddizione con criteri di genetica generale se non tenessimo conto delle differenti attività e funzioni della proteomica e della trascrittomica che vanno ben oltre la sequenza del DNA.
L’uomo ha solo il doppio di geni della Drosofila melanogaster, il moscerino della frutta, e il genoma ‘codificante’ umano possiede solo il doppio dei geni di una banana; ma il numero delle proteine sintetizzate non dipende strettamente dal numero di geni.
Qui entra in gioco la trascrittomica: ciascun gene, infatti, può codificare per diverse proteine in dipendenza dal numero dei trascritti prodotti.
Più del 60% dei geni umani presenta varianti multiple di modificazione che si realizzano dopo la trascrizione ad opera del RNA messaggero: questo fa aumentare il numero delle sequenze proteiche prodotte  da un singolo gene in modo considerevole: nell’ordine del milione di proteine con diversa funzione biochimica. Ciò dà ragione della complessità funzionale della cellula umana a fronte di soli 35.000/40.000 geni.
L’osservazione, per ora limitata ad alcune specie vegetali, che la quantità di DNA ripetitivo non codificante è maggiore nelle specie che vivono in latitudini più alte e diminuisce a basse latitudini e con l’aumentare delle temperature, indicherebbe che il genoma non codificante svolga qualche funzione legata all’adattabilità dell’individuo.

La trascrittomica oggi non si riferisce più al genoma ripetitivo non codificante come a DNA “spazzatura”, ma a una componente di estrema importanza funzionale, capace di esercitare effetti nucleo-tipici e regolativi, utili entrambi all’adattamento ai vincoli eco-etologici delle specie, capaci di assicurare potenzialità evolutive o che possano influire sulle caratteristiche del fenotipo.
DNAI genetisti sostengono che il DNA ripetitivo non codificante svolge una funzione informazionale; potremmo aggiungere una funzione plastica come in geometria frattale
Vediamo ora un possibile contributo della trascrittomica su un comportamento umano complesso di drammatico interesse pratico per lo psichiatra e lo psicoterapeuta: il comportamento suicidario.
Recentemente sono stati riportati differenti modelli di montaggio del recettore per la serotonina 5-HT2C pre-mRNA nelle vittime di suicidi, confrontato con i controlli.
In animali da esperimento è stato osservato che il trattamento con fluoxetina altera il modello di trascrizione del montaggio del recettore 5-HT2C nella direzione opposta a quella osservata per le vittime di suicidi. Gli autori speculano su un possibile meccanismo serotoninergico che controlli il montaggio del 5-HT2C pre-mRNA.
Il processo di montaggio dell’RNA può essere concettualizzato come analogo alla modificazione post-traslazionale di proteine, in cui, attraverso alterazioni covalenti sulla proteina, si producono molecole con proprietà biologiche differenti da quelle codificate nel genoma.
Ci sono diversi meccanismi di montaggio dell’RNA, compresa l’inserzione di uridina, conversione da citidina a uridina, e conversione da adenosina a inosina (A-I).
C’è adesso la prova che il modello di montaggio A-I del trascritto 5-HT2C sia alterato nei disturbi psichiatrici.
Lo scritto di Gurevich et al. (2002) è il terzo nel riferire differenze nel montaggio A-I del recettore 5-HT2C da cervelli di soggetti che soffrono di disturbi psichiatrici (Gurevich et al., 2002; Niswender et al., 2001; Sodhi et al., 2001). È anche il secondo che riporta risultati di vittime di suicidio, sebbene entrambi gli studi dovrebbero essere considerati molto preliminari dato il basso numero di soggetti coinvolti (sei suicidi).
Questi autori notavano anche che non c’è differenza nei modelli di montaggio tra soggetti con depressione, schizofrenia, o controllo, ma che la differenza è tra la vittima di suicidio e il controllo, indipendentemente dalla diagnosi psichiatrica.
L’idea suggerita da questi studi è che potrebbe esserci una patologia indipendente alla base del suicidio non riconducibile tout court alla depressione, o alla schizofrenia, o ad altri disturbi psichiatrici.
Infatti quelle vittime di suicidio (disturbi dell’umore, disturbi psicotici, e un caso senza disturbo psichiatrico accertabile) avevano tutte alterazioni nel montaggio dell’RNA.
La scoperta potrebbe essere esaltante e provocatoria, anche se il vero significato di queste osservazioni deve essere ancora determinato; sembra si cominci a guardare in una nuova prospettiva ai differenti processi che conducono alla psicopatologia e al suicidio.
Che cosa fare di questi suggestivi risultati della trascrittomica?
In tutta prudenza e in attesa di ulteriori approfondimenti si rileva che, in quella parte di genoma non codificante, sembra sia presente una funzione dinamica, che varia in presenza di serotonina, in grado di condizionare un comportamento complesso quale quello suicidario.
In tutti i casi attualmente identificati, gli RNA messaggeri colpiti codificano per recettori neurotrasmettitoriali che sono bersagli (diretti o indiretti) per farmaci attivi sul SNC: farmaci neurolettici (recettori D3), benzodiazepine (recettori GABA), e antidepressivi (recettore 5-HT2C).
Inoltre, in tutti i casi, alterate attività di montaggio o di splicing portano all’espressione di RNA messaggeri che codificano sia per i recettori non funzionali (D3) che per i recettori poco funzionali (GABA, 5-HT2C). Questo suggerisce che la regolazione post-trascrizionale dell’espressione genica svolga un ruolo nel modulare l’espressione di distinti recettori neurotrasmettitoriali nel cervello di pazienti con i più importanti disturbi psichiatrici.
Nel suo articolo del 1998 “A new intellectual framework for psychiatry” comparso su American Journal of Psychiatry, Kandel sostiene:
“La psicoterapia produce modifiche a lungo termine nel comportamento, probabilmente mediante l’apprendimento, provocando modifiche nell’espressione genica che alterano la forza delle connessioni sinaptiche e causano modifiche strutturali che alterano i modelli anatomici di interconnessione tra cellule nervose del cervello. Il miglioramento delle tecniche di visualizzazione cerebrale, dovrebbe eventualmente permettere una valutazione quantitativa del risultato della psicoterapia”.
Scrive Peluffo citando ‘L’Io e l’Es’: “.. le esperienze dell’Io si inseriscono nell’Es, che è inconscio, e, per mezzo della ripetizione in generazioni successive, diventano ereditarie… L’Es.. ha la proprietà di essere ereditato…, cioè di entrare a far parte del codice genetico,.. cioè, se Freud non si è sbagliato, nel DNA..”
Quale DNA, dovremmo chiederci oggi noi?
Per le caratteristiche dell’ES: “polo pulsionale della personalità”, “grande serbatoio dell’energia pulsionale”, “cerniera.. tra energia e motricità..” saremmo portati ad avvicinare questo concetto “ereditario” della psicoanalisi  a quello di DNA ripetitivo non codificante.
Posso solo concludere con il pensiero espresso da Kandel: “la psicoanalisi rappresenta ancora la visione della mente più coerente e soddisfacente dal punto di vista intellettuale… Il mio proposito … è di suggerire un modo in cui la psicoanalisi potrebbe ri-energizzarsi, cioè sviluppando una più stretta relazione con la biologia in generale e con le neuroscienze ..”
L’impegno del grande scienziato, premio Nobel per la Medicina e le Neuroscienze, di avvicinare scienze apparentemente distanti, o di recente sviluppo nella certezza di un maggiore progresso nell’integrazione delle conoscenze è l’autorevole conforto per i nostri sforzi di comprensione dei fenomeni.

© Gioia Marzi

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