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Il dibattito sull’isteria risulta molto attuale, dal momento che, ancora di recente,  molti professionisti se ne sono interessati ed hanno scritto sull’argomento. Il fatto in sé può essere interpretato come conferma della persistenza del disturbo, ma non tutti la pensano così.

Occupandoci dell’isteria dobbiamo necessariamente fare riferimento a Freud e alla scoperta dell’inconscio: quella  parte sconosciuta della mente, che può essere causa di sintomi e comportamenti ingovernabili. Lo stesso Freud affermò che tale scoperta rendeva necessario rinunciare ad un’immagine razionale dell’uomo e abdicare ad ogni desiderio di megalomania ed onnipotenza. Una rinuncia ardua e faticosa che continua ad incontrare molte resistenze. Infatti, sebbene i termini “inconscio” e “rimozione”, a distanza di oltre 100 anni dalla loro comparsa, siano largamente usati nel linguaggio quotidiano, le divergenze espresse da psichiatri e psicoanalisti sull’attualità dell’isteria, lasciano pensare ad una parziale condivisione dei concetti.
Lo psichiatra genovese Giuseppe Roccatagliata, ad esempio, sostiene che l’isteria sia una malattia “inventata” dall’uomo che intendeva asservire a sé la donna. Essendo ora la donna divenuta libera di vivere la propria sessualità ed avendo ottenuto, assieme alla raggiunta parità con l’uomo, anche il diritto al piacere sessuale, l’isteria avrebbe cessato di esistere. Roccatagliata non è il solo ad essere di questo parere; altri studiosi hanno sostenuto che l’isteria sia stato il frutto della repressione sessuale imposta alle donne per secoli e del disconoscimento dell’orgasmo femminile.
In ambito psicoanalitico, invece, la tesi più diffusa è quella del polimorfismo dell’isteria che avrebbe assunto altre sembianze; oppure il disaccordo è sulle fasi di fissazione: genitale o orale?
Personalmente non sono di questo parere, al contrario ritengo che l’isteria non sia affatto scomparsa. Tutt’al più è diventato meno frequente osservare alcune delle sue manifestazioni sintomatiche come il famoso “arco di cerchio” o le convulsioni che in passato avevano indotto i medici a confondere l’isteria con l’epilessia, così come può capitare che le conversioni colpiscano altri organi e/o funzioni rispetto ad un secolo fa. Ciò nonostante non è una regola ed i casi che incontro nella pratica clinica spesso presentano esattamente gli stessi sintomi delle pazienti osservate da Charcot, Breuer e Freud alla fine dell’800. Di seguito ne darò un esempio.
Ritengo che la difficoltà a stabilire una nosografia condivisa possa essere attribuita ai seguenti motivi:

    •  la diffusione degli psicofarmaci (ansiolitici ed antidepressivi) che vengono facilmente assunti per sedare i sintomi di ansia, molto spesso inquadrati in un’affrettata diagnosi di “attacchi di panico”;
    • la diffusione delle sostanze stupefacenti che, alterando gli stati di coscienza ed il comportamento, rendono difficile la diagnosi differenziale;
    • infine, alcune manifestazioni isteriche sono state codificate in un comportamento adatto ad un certo contesto socio-culturale.

In Europa, dal medioevo alla metà dell’800, negli anni dell’inquisizione e dei tribunali ecclesiastici,  i sintomi isterici erano stati inquadrati nella categoria delle “possessioni”: le pazienti isteriche venivano torturate e condannate al rogo perché giudicate streghe possedute dal diavolo e colpevoli di atti di lussuria. Chissà come mai ? scriveva successivamente Freud in una lettera a Fleiss ? le confessioni estorte sotto tortura alle cosiddette streghe, in cui le donne riferivano atti di libidine subiti dal diavolo, erano tanto simili ai racconti delle pazienti in cura presso di lui.
È possibile, inoltre, che le divergenze sulla classificazione diagnostica siano imputabili anche ad una diversa idea sul funzionamento dell’apparato psichico e della conversione.
Prima di passare all’esposizione del caso, è bene ricordare che il termine “isteria” deriva dal greco “ϒστερα”,  che vuol dire “utero”. L’origine sessuale dell’isteria è nota dai tempi di Ippocrate (V Sec. a.C.). Fu poi materia di studio di Platone  e successivamente di Galeno (II sec d.C.). I filosofi greci citati pensavano che la difficoltà della donna al concepimento determinasse un’afflizione che si sarebbe manifestata come un “vagolare” dell’utero all’interno del corpo. Con Galeno si ebbe anche il riconoscimento dell’importanza che una regolare attività sessuale ha sul benessere psico-fisico. Ciò nonostante occorsero molti secoli prima che si riconoscesse la componente psichica del disturbo e lo stesso Freud per un certo periodo aderì alla teoria dell’arco riflesso, in base alla quale l’isteria sarebbe stata causata dall’irritazione degli organi genitali e che tale irritazione si trasferisse ad altri organi, tra cui il naso (ancora un tentativo di spiegare la conversione sul piano strettamente organico). Di conseguenza, frequentemente si faceva ricorso alla chirurgia con interventi anche fortemente demolitivi e castratori. Abbiamo forse il coraggio di affermare che questi interventi non esistono più? Come potremmo allora inquadrare tutti i trattamenti delle sterilità psicogene, la cui vera causa è spesso la scarsità dei rapporti sessuali, sempre insoddisfacenti? Le donne si sottopongono ad indagini estenuanti, a pesanti “bombardamenti” ormonali e ad interventi spesso fallimentari che rinforzano il vissuto di castrazione. Solo allora, non sempre, vengono inviate dallo psicologo, perché “depresse”.
Abbandonata l’idea delle determinanti neurofisiologiche Freud equiparò l’isteria alle nevrosi traumatiche ed avanzò l’ipotesi del trauma sessuale precoce. Le esteriorizzazioni delle sue pazienti sotto ipnosi e/o trattate con la “talking cure” riguardavano spesso episodi di seduzione sessuale infantile, operata da parte di adulti nell’ambito familiare (spesso il padre o lo zio materno). I fatti traumatici, soggetti a rimozione, si sarebbero riattivati con la pubertà. Successivamente Freud rivide la teoria della seduzione sessuale; egli non credeva più ai suoi “neurotica” perché aveva scoperto che nell’inconscio non esiste il “dato di realtà” ed «(…) è impossibile distinguere tra verità e finzione investita d’affetto», ma non rinnegò l’importanza del trauma reale, come scrisse in Nuove osservazioni sulle neuro psicosi da difesa, in una nota aggiunta nel 1924.
Freud riconobbe l’importanza delle fantasie collegate all’attività autoerotica dei bambini e ai desideri edipici di possesso/distruzione. Approfondì anche il concetto di trauma psichico che non corrisponde più qualitativamente e quantitativamente al trauma reale, cioè ai fatti. Il trauma psichico è l’accumulo di tensione determinato da un eccesso di stimoli esogeni ed endogeni. L’alterazione che ne deriva nella materia psicobiologia determina la necessità di trovare un nuovo equilibrio attraverso vie di compromesso: i sintomi psichici e/o somatici e le difese. Nel 1905 scrive:
«(…) i sintomi più complicati si rivelano raffigurazioni convertite di fantasie, le quali hanno come contenuto una situazione sessuale. Chi sa capire il linguaggio dell’isteria, impara che la nevrosi tratta soltanto della sessualità rimossa dell’ammalato».

Un caso

Per conformità con l’impostazione freudiana, descrivo la casistica partendo dalla sintomatologia, ma desidero sottolineare che il fine del lavoro psicoanalitico e ancor più di quello micropsicoanalitico, non è la scomparsa del sintomo che, come si sa, può avvenire anche rapidamente, grazie all’instaurazione della nevrosi di transfert. Per spostamento e condensazione, la relazione analitica diventa depositaria del conflitto psichico ed il sintomo psico-somatico trasla sull’analista.
Carla, una brillante studentessa di medicina, era l’ultima di cinque figli. I fratelli, tutti maschi, erano più vecchi di parecchi anni. La ragazza era cresciuta in un mondo di grandi, di coppie più o meno stabili che avevano la loro vita affettiva e sessuale.
Carla era sempre la “piccola di casa” che doveva andare a letto quando i grandi restavano a fare cose che lei poteva solo cercare di spiare o fantasticare ad occhi aperti. Rimasta priva di qualsiasi esperienza sessuale fino a 26 anni, finì per innamorarsi di un collega con il quale condivideva anche un forte sentimento religioso e l’appartenenza ad una setta che implicitamente imponeva l’astinenza sessuale dei suoi adepti.
Il vecchio trucco di evitare la deflorazione vaginale, venne usato dai giovani per denegare gli agiti e quindi “il peccato”, ma la difesa era insufficiente a placare il senso di colpa che attanagliava i due giovani.
Il rapporto era di carattere sado-masochistico: Carla accontentava il ragazzo nei suoi desideri perversi, a sua volta soddisfacendo il suo desiderio di passività espresso nelle tante fantasie di carattere sessuale. La più frequente, tra l’altro presente in quasi tutte le donne, era quella di essere legata, sfiorata in tutto il corpo e violentata da più uomini. La ragazza giungeva regolarmente all’apice del piacere senza mai provare l’orgasmo e subito dopo scattava un sintomo: si trattava a volte di paure di tipo ipocondriaco che riguardavano ora un organo ora un altro, altre volte di convulsioni con tremori, sudorazione e sensazione di essere schiacciata.  Ovviamente in entrambi i casi, veniva mobilitata la preoccupazione dei presenti/spettatori che accorrevano in suo aiuto. Nel descrivere un attacco convulsivo avvenuto dopo un sogno in cui aveva un rapporto incestuoso con il fratello e dopo un’intensa attività fantasmatica di tipo erotico/sessuale, Carla diceva di trovarsi in una specie di trance in cui non riusciva a distinguere quanto quei tremori fossero volontari e servissero ad attirare l’attenzione su di sé. Certo è che non riusciva ad ottenere l’appagamento del desiderio espresso nel sogno e nelle fantasie e la frustrazione le generava  tanta rabbia. Scrive Freud: «Già gli antichi dicevano che il coito è una “piccola epilessia”. Modificando il detto, possiamo dire che l’attacco convulsivo è un equivalente del coito». Per anni erano stati consultati medici di ogni specialità sia per i presunti tumori di questo o quell’organo, sia per le convulsioni. Tutti avevano diagnosticato un disturbo di tipo nervoso, ma la ragazza non si era arresa e all’ennesimo tentativo aveva trovato una parziale soddisfazione, riuscendo a farsi diagnosticare un disturbo metabolico. Le furono prescritti piccoli e frequenti pasti. Era tornata ad essere una neonata con sei pasti al giorno e siccome non riusciva a svegliarsi autonomamente durante la notte, obbligava qualche parente a farlo. Il desiderio di fare quello che facevano i grandi (genitori, zii, fratelli), non aveva subito l’auspicato spostamento: gli innamorati erano relazioni “impossibili”, perversi o di bassa estrazione socio-culturale, quindi la libido era rimasta agganciata all’oggetto incestuoso (padre/fratelli). In questi soggetti, le componenti orali, più che indici di una fissazione a quello stadio, testimoniano di una regressione difensiva: non riuscendo ad avere accesso alla sessualità genitale, che implica una chiara definizione dei sessi e della loro complementarietà, oscillano verso stadi antecedenti per denegare la castrazione.
Il nucleo della nevrosi consiste nell’inibizione della sessualità genitale soddisfacente e della funzione riproduttiva e l’origine è da ricercarsi nel conflitto edipico e nella fissazione allo stadio fallico. Ritengo che la compiacenza somatica, che consente all’isteria di esprimere simbolicamente il conflitto investendo una parte del corpo, sia rimasta tale nei secoli, sebbene le manifestazioni fenotipiche possano talvolta essere discontinue e modificarsi. Il fatto è spiegato dal modello micropsicoanalitico secondo cui il corpo diventa oggetto di traslazione  a causa dell’intrinseca «(…) identità aggressiva-sessuale di certe entità psichiche o somatiche». Si prenda ad esempio la relazione tra il bisogno di riprodursi in quanto funzione biologica ed il desiderio di maternità. Uno è l’aspetto somatico, l’altro quello psichico della stessa spinta pulsionale, potremmo dire due facce della stessa medaglia. Il mancato soddisfacimento di uno equivale alla frustrazione dell’altro, pertanto il conflitto da cui origina può colpire alternativamente ed indifferentemente il polo psichico o quello somatico in funzione del terreno psichico del soggetto.
E’ proprio il caso di dire che gli antichi avevano ragione nel chiamare questo male  “ϒστερα”, cioè utero; un’intuizione che doveva attendere più di 2000 anni  per trovare una formulazione scientifica. Il conflitto da cui origina l’isteria si manifesta attraverso l’inibizione della pulsione sessuale il cui fine ultimo è la riproduzione; la conversione agisce attraverso lo spostamento, un meccanismo inconscio che consente la traslazione dell’investimento da un’entità psichica ad una somatica, come da un organo ad un altro.

© Bruna Marzi

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Bibliografia

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