Recensione di Daniela Gariglio:
ELABORAZIONI IN CORSO…

terrorismoLa vita ai tempi del terrorismo, a cura di Luciano Peirone, è un’opera interdisciplinare di 15 competenze indirizzate a tutti con ricchezza di informazione scientifica, spirito di umanità e saggezza, vibranti di un sano anelito al “Bene”. Vi si colgono ottimismo e speranza non per altruistico idealismo ma per aver mostrato, ciascun Autore, di essersi confrontato col brivido del “Male”. Già solo per questo, ritengo il libro un pregevole tentativo di indirizzare all’esplorazione dell’angoscia sottostante, spesso rimossa (individualmente o collettivamente), negata o minimizzata, spostata o addebitata ad altro, attraverso quei meccanismi difensivi ben noti alla Psicoterapia, nelle sue varie profondità. Edito Ordine degli Psicologi del Piemonte, il libro, fuori commercio ma scaricabile (http://ebook.ordinepsicologi.piemonte.it), è il risultato del lavoro di volontariato no profit degli autori e dell’editore il cui messaggio è trasmesso attraverso una Psicologia di “Cultura contro il male, per il bene, per la pace”.

Assorbita un po’ la spiegazione di terrorismo e terrorista con i sostanziosi apporti, tra altri, di Luciano Peirone (cap. 6), Andrea Margelletti (il “nuovo attore del terrorismo internazionale”, pp. 18-21) e l’interessante riflessione di Luigi D’Elia sull’attuale “rapidità dei processi di elaborazione identitaria” (p. 98, cap. 5), il mio pensiero è andato subito all’orrore di chi subisce l’atto terroristico, direttamente o come diabolica informazione mediatica, micidiale arma di suggestione e amplificatrice della paura/terrore della morte coi suoi correlati di perdita e lutti da elaborarsi. E rimando al cap. 8 di Luigi Ranzato, “Il dolore dei bambini nelle guerre e nei genocidi” dove i toccanti esempi di “Tradimento, perdita e trauma” sono inseriti, anche, nella “ritrovata capacità di resilienza” (“resilienza assistita” nelle attuali “linee guida internazionali”) che trasforma la “sofferenza subita in testimonianza per la pace”, come “visione del mondo non distruttiva”.

Riflettendo sull’angoscia attraverso il dato psicoanalitico profondo, so che solo un lungo incontro con la personale angoscia di morte (dilatandosene il dialogo inconscio-preconscio fino ad una sufficiente neutralizzazione) contribuisce a relativizzarla, con l’accettazione che possano accadere eventi al di là del controllo personale meno imbrigliato da censure castratrici e inibitrici. Qui, soddisfattasi l’indagine onto-filogenetica che ha reso più plastica la struttura psicobiologica, l’analizzato può concentrarsi sulla disponibilità del suo presente, accettandone l’episodicità del benessere, avendo constatato l’oscillazione della realtà umana con i suoi diversi e spesso ambivalenti protagonismi delle tendenze mortifere e vitali. Queste, certe risultanze psicoanalitiche.

Ora, per eventi abnormi quali il terrorismo dove l’imprevedibilità (ben presentata nel libro) è sovrana e la domanda di “cura” è obnubilata dallo stravolgimento, penso ci sia bisogno di molto tempo (e rimando solo all’indagine, ancora in corso, sugli effetti post-traumatici dell’Olocausto!) per raccogliere altrettanti dati “soggettivi e oggettivi” (Gerardi, cap.12) e predisporne una riflessione. Qui, potrà sicuramente aiutare l’esperienza della Psicologia dell’emergenza (cfr. in particolare, Galliano, cap. 9), attivamente presente nel libro, la competenza in merito alla “gestione delle crisi” con i suoi fenomeni di “paura e ansia” di cui ben scrive Daniele Luzzo (cap. 4) e l’attuale, operativa segnalazione di Carlo Cabigiosu (cap. 7) in merito all’ “aspetto multidimensionale del fenomeno terrorismo”, in quanto “estremismo violento”. Già nella Prefazione, il magistrato Gian Carlo Caselli, parlando di “saggezza, giustizia, pace” ma anche di “logiche di sicurezza, forme di risposta capaci di contenere il male”, con indicazione di “strategie, e robusti argini”, suggerisce di “rompere dei circoli viziosi”, sostituendoli con “una cornice etica”.

Intanto, questo libro, sorta di manuale informativo di alta specializzazione, può essere già visto in un’ottica di conoscenza del fenomeno e di “prevenzione” cui si richiamano molti circostanziati interventi, a partire da quelli del Curatore, ribaditi in chiusura da Igor Graziato (p. 211).

Partendo dalla presentazione a più livelli della personalità del terrorista (ad esempio, vedi ancora Peirone, cap. 2 sulla “crudeltà e ferocia di quello del XXI secolo” e Pezzullo, cap. 3 sugli “Aspetti psicosociali”) e proseguendo nella lettura, ciò che mi è venuto in mente, è che il libro possa anche servire a contattare miriadi di sfaccettature del contagioso Male le cui radici appartengono all’animo umano come già Freud mise bene in luce (cfr. anche Geminiani, cap. 1, che dà uno spaccato sulla “neurobiologia della rabbia e dell’aggressività”). Avvicinarvisi, intendo, almeno come personale conoscenza razionale, così che tendenza ed espressione aggressiva vengano inserite nella ricerca parallela dell’anima-psiche, di quella minima, eventualmente ancora presente nel terrorista e di chi ne è stato annientato nel farsi dello scontro vittima carnefice. Sappiamo come in questo modulo espressivo si alternino terrore angoscia disperazione impotenza umiliazione, gravati dai noti vissuti di colpa impropria e di rabbia vendetta, espresse in situazioni di violenza, doppiamente pericolose perché possono indurre identificazione, come ne scrive Laura Borgialli nel suo appassionato cap. 11, sottolineando il “rischio di contagio del Male”. Sappiamo anche come il sadomasochismo sia un diabolico protagonista della distruttività della pulsione di morte che genera vissuti e stati di sofferenza. Ne possono dare chiara evidenza il lavoro psicoanalitico- psicoterapeutico e quello degli specialisti delle emergenze traumatiche e postraumatiche, allenatisi a lungo per individuare, dentro al Male, risorse vitali, per me, “latenti manifestazioni di benessere” (Gariglio, Lysek, 2007 https://www.psicoanalisi.it/libri/3605), presenti anch’esse dalla notte dei tempi e spesso fagocitate dal Male (leggi: tracce psicobiologiche onto e filogenetiche, inscrittesi nello psichismo come immagini confittuali-traumatiche, destinate a reiterarsi).

A questo servono i tramiti: persone-operatori che, dopo l’addestramento con i maestri, restino capaci di vedere più in là di chi sta soffrendo e, sintonizzandovisi, cerchino anche la vitalità, dentro l’espressione terrifica. Ne ho spesso scritto, per trasmetterlo come testimonianza di trasformazione della solitudine e resilienza, nozione che permea il libro (per tutti, vedi Lombardo, p. 14). E rimando alla “Cultura della Pace” (Borgialli, p. 191) dove trovo scritto di “spostare il focus” per forgiare “condizioni” atte alla promozione di “processi attivi e positivi”.

Per tutta la lettura, mi interrrogo sull’eventuale vantaggio esistenziale, generale, a contattare tali diaboliche sfaccettature, proprie del repertorio umano. Farlo, intendo qui, anche attraverso la lettura del libro. Come vediamo succedere nell’elaborazione di certi sogni, in analisi avanzate però, in cui si liberano porzioni di energia, vincolata nella rimozione aggressiva (ad esempio, l’odio, non riconosciuto e proiettato), con la messa in atto, nel sogno, del desiderio inconscio a vantaggio della realtà, beneficiata di una sottrazione di violenza. L’energia liberatasi dal rimosso aggressivo, può allora indirizzarsi verso esperienze più vitali, o rievocazioni meno drammatiche. Un incontro sovradeterminato, quello analitico dove, con l’aiuto di un “tramite”, avviene anche la trasformazione del vuoto d’angoscia, implicito nell’elaborazione dei lutti, in un vuoto creativo/creatore che incontrerà le risorse vitali, latenti nell’individuo. Questo, nel modo contemporaneo di lavorare di molti operatori, me compresa. Ciò che osservazione e lavoro clinico mi hanno insegnato è che, contattare le radici legate alla pulsione di morte che si esprime con distruttività aggressiva, oltre a disattivare traumi e conflitti, può dare la possibilità a materiali latenti, legati alla vita e alla relazione soddisfacente, di slatentizzarsi e ritornare in circolo, come apportatori di un benessere che può riverberare in tutta la situazione. Questo ripescaggio profondo permette a immagini conflittuali (più disturbanti, legate alla morte per le componenti distruttive) e adattive (legate alla vita) di incontrarsi in quel processo di “elaborazione ricombinativa” (op.cit. 2007), emerso dallo studio sulle radici inconsce della creatività, attraverso l’indagine di molti anni di profondo lavoro psicoanalitico, confrontatosi. Integrarsi, nello psichismo individuale e, per risonanza, estendersi alla situazione.

La risposta mi giunge ed è positiva: la pulsionalità umana vibra in noi dalla storia dei tempi. C’è chi rifiuta tale assodato scientifico, chi ne è caratterialmente interessato e chi lo diventa, spinto da traumi esterni che vengono riassemblati nei conflitti psichici. Ecco, questo libro può servire da tramite a questi ultimi e come supporto alla popolazione tutta. In questo senso, non è un caso che l’editore sia un Ordine degli Psicologi, categoria di operatori indirizzati alla prevenzione, al sostegno collettivo nelle grandi calamità come il terrorismo e al tentativo di produrre o quanto meno tendere al benessere psicobiologico, secondo certo fisiologico indirizzo scientifico contemporaneo. Come non è un caso che libro, Curatore e Ordine degli Psicologi del Piemonte abbiano ottenuto il riconoscimento da parte dell’Assemblea Parlamentare NATO con l’invito a partecipare ai lavori presso la Camera dei Deputati a Roma: l’attenzione al trauma include il recupero della fiducia e la ricerca sinergica di soluzioni.

Auspico che, unendosi i risultati di interventi psicoterapeutici già effettuati, in atto o a venire (cfr. Gerardi cap. 12, trattamenti di “sostegno e scavo” ove individuare “nuove paure” che poggiano su “emozioni ancestrali” – appannaggio universale inconscio – in cui “il microscopico e il macroscopico” possono anche incontrarsi), con quelli di lettura di libri, come questo curato con maestria e sensibilità da Luciano Peirone, si riesca a tendere tutti (come chi già lo fa) a considerare la pulsione di morte in un continuum con la pulsione di vita, collegabile, a sua volta, con quella creativa-creatrice (op. cit., 2007). Qui, potrebbe forgiarsi un’immagine di coralità, impregnata di sufficiente neutralità. In analisi, ci si arriva attraverso l’integrazione di rappresentazioni e affetti, espressisi nella relazione inconscia transferale/controtransferale, con la lettura del libro, cognitivamente.

Sento questa rappresentazione di neutralità una condizione sine qua non per accostarsi al fenomeno terrorismo, anche, come tentativo di elaborarne una sinergia vitale costruttivo-ricostruttiva propria dell’adattamento e accomodamento. Questo libro vi si instrada in modo naturale fin dalla prima parola del titolo Vita, sistemata in una relazione vita-morte che riparte dalla vita attraverso l’attenzione alle risorse vitali e creative, recuperabili dal patrimonio resiliente, proprio dell’uomo: “Ci vollero molti giorni, prima che iniziassi a vedere i primi segni del Bene”, scrive nel suo splendido intervento (cap. 10) Rita Erica Fioravanzo: “Il Bene ha bisogno di tempo, al Male, basta uno sguardo”.

Ho assimilato questa lettura a un viaggio preistorico alla ricerca di filamenti energetico-pulsionali ancora vitali in riattualizzazioni attuali.

Daniela Gariglio, Torino, 6 dicembre 2017