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Il presente lavoro è parte integrante del volume “Il Mnemonista“, Autori Vari, a cura di Baldo Lami, Zephyro Edizioni, 2003. Si ringrazia la casa editrice Zephyro per l’autorizzazione concessa

Nel bellissimo lavoro di Aleksandr Romanovic Lurija, dedicato al caso del mnemonista Serasevskij, il piccolo paragrafo di commiato (Uno sguardo al futuro) contiene alcune affermazioni che mi hanno colpito “… (La psicologia) non è ancora giunta…al punto di poter descrivere la natura della personalità, in modo tale che ogni funzione possa essere vista nella sua relazione con la struttura totale, e le leggi della sua formazione divengano altrettanto nette e precise quanto quelle della sintesi dei corpi chimici composti”. 1

Nella Prefazione all’opera, Alberto Oliverio, mette in risalto come, nel saggio-romanzo di Lurija, le conoscenze neuropsicologiche siano ferme agli anni sessanta e riflettano l’isolamento della psicologia sovietica rispetto a quella occidentale. E come, aggiungo io, non vi si trovi traccia alcuna delle feconde scoperte di Freud sui processi psichici inconsci: come sappiamo la psicoanalisi fu messa al bando dallo stato sovietico nell’anno 1936, sorte inevitabile per qualsiasi attività umana che abbia come fine la ricerca della verità, al di là del delirio sociale delle proiezioni e delle illusioni; in questo i due totalitarismi di opposto segno raggiunsero una perfetta concordanza di intenti. Lurija era entrato, addirittura, nel 1921, a far parte del ristretto gruppo dei sostenitori della psicoanalisi in Russia ma, sotto il feroce controllo delle strutture sovietiche, abiurò completamente la sua fede scientifica, facendo in pratica tabula rasa dei principi psicoanalitici.

Lurija invoca la precisione delle leggi che regolano i processi chimici. Spesso mi sono trovato a riflettere in seduta che la scienza che pratico (non uso il termine a caso) sia vicina all’algebra, tanto inconfutabili siano le risultanti di un lavoro che, neutralizzando le incognite, addiviene ad un risultato verificabile con più metodiche.

E’ ovvio che non posso pensare che la psicoanalisi permetta la dissoluzione di qualsiasi dubbio, ma trovo incomprensibile, se non come risposta aggressiva angosciosa coatta del corpo sociale, la continua opera di diniego che incessantemente la scienza di Freud abbia subito fin dai suoi albori.

Uno psicoanalista avrebbe potuto aggiungere qualcosa all’inarrivabile chiarezza analitica della fenomenologia psicologica mostrata da Lurija? Credo di si.

Intanto possiamo partire da una riflessione che può sembrare banale: non esiste psicoanalisi o micropsicoanalisi nella quale l’analizzato non affermi con preoccupazione: “Ma dottore, io parlo ormai da centinaia di ore e lei non prende che pochissimi appunti: come farà a ricordare le mie cose?” Oppure, sull’altro versante, esprima le lodi del suo terapeuta: ”Mi rendo conto che non le sfugge niente, anche quando riprendo qualche dettaglio affrontato anni fa, capisco dal contenuto dei suoi interventi che lei ricorda esattamente quello che era stato detto”. Chiunque svolga questo lavoro con la dovuta perizia sa che le cose stanno esattamente in questo modo. Gli psicoanalisti sono tutti mnemonisti? Evidentemente no.

Nella vita di tutti i giorni ritengo di avere una memoria normale. Il fatto è che l’analista, si conforma al rispetto della Regola analitica fondamentale che, mentre per l’analizzato consiste nel verbalizzare qualsiasi cosa arrivi alla sua mente, senza operare alcun processo di discriminazione logica, per l’analista consiste nell’ascolto neutro delle libere associazioni del suo paziente in uno stato di attenzione cosiddetta fluttuante. In altri termini analista ed analizzato cercano di conformarsi, quanto più possibile, alle leggi dell’inconscio regolate dal processo primario.

Mi sembra che ogni analizzato faccia quotidianamente l’esatto percorso opposto a quello del mnemonista. L’analizzato ignora cosa deve trovare, o meglio sa che nella rete estesissima della sua mente, nel compartimento inconscio, esistono delle memorie che deve raggiungere. Per conseguire questo scopo, non senza grandi resistenze, accetta di verbalizzare una massa apparentemente inutile di dettagli, connessi da legami associativi, più o meno espliciti, che pian piano lo condurranno al ricordo perduto. Non sfuggirà al lettore che il Sig. Serasevskij compisse il cammino opposto: da un dato certo (la nozione da ricordare) creasse delle storie figurate, spesso assolutamente prive di senso logico, che servivano da cammino associativo per recuperare la nozione proposta. Chiunque conosca la concezione psicoanalitica del sogno può rendersi conto che il Mnemonista costruisse dei sogni ad occhi aperti.

I sogni sono in effetti delle sofisticate e ridondanti apparecchiature di memorizzazione. Seguendo il pensiero di S. Fanti, di N. Peluffo, di M. Jouvet sono assolutamente convinto che i sogni siano lo strumento di memorizzazione cibernetica delle esperienze ancestrali dei nostri avi. In uno strato più profondo, rispetto a quello che quotidianamente lavoriamo (come badile nel terreno),  corrispondente all’elaborazione del conflitto attuale, durante il periplo onirico, si realizza incessantemente una sistematica opera di riprogrammazione cibernetica che realizza la continuità formale del tentativo umano.

Il grande studioso di psicosomatica U. Piscicelli arriva ad affermare: “l’ambiente in cui il feto costruisce le proprie esperienze ontogenetiche viene confrontato tramite il lavoro REM con l’intera generazione delle esperienze filogenetiche ereditata dai genitori” 2 . Questo quanto alla capacità rimemorativa onirica.

Cos’altro ha da dirci la psicoanalisi sulla struttura del pensiero del Mnemonista? Un dato coerente con il precedente: il Sig. Serasevskij vede cose, non parole.

Esprimendoci con i concetti dell’epistemologia genetica di Piaget, diremo che la sua mente, o per essere più precisi, i processi mentali di cui il Mnemonista si serve per ritenere le sue memorie,  si arrestano sulla soglia della seconda fase dell’infanzia propriamente detta, allo stadio dell’intelligenza intuitiva. Come è noto Piaget ha studiato in modo sperimentale la rappresentazione mentale che i bambini si fanno della realtà costruendo una psicologia per stadi (genetica) in cui si passa dal concreto all’astratto (ipotetico-deduttivo) dando una conferma sperimentale all’ipotesi freudiana de “In principio tutto era l’es” che sottintende uno sviluppo per differenziazione, specializzazione e perdita di totipotenza, analogamente a quanto succede per il soma (le cellule progenitrici sono totipotenti, cioè posseggono le memorie per produrre qualsiasi cellula di qualsiasi distretto dell’organismo).

Fin verso i sette anni il bambino resta un essere prelogico, e supplisce alla logica attraverso il meccanismo di intuizione, semplice interiorizzazione delle percezioni e dei movimenti sotto forma di immagini rappresentative e di esperienze mentali che prolungano i precedenti schemi sensomotori senza alcuna coordinazione razionale e senza possibilità di astrazione. 3

Freud avrebbe detto che il pensiero del Mnemonista era prevalentemente fissato alla “rappresentazione di cosa”. Nei suoi scritti metapsicologici, il Maestro, ha distinto due tipi di “rappresentazioni”, quella, essenzialmente visiva che deriva dalla cosa e quella essenzialmente acustica, che deriva dalla parola. Per Freud, mentre il sistema preconscio-conscio è caratterizzato dal legame tra la rappresentazione di cosa e la rappresentazione di parola corrispondente, fattore che determina la possibilità di realizzare il processo di astrazione e di simbolizzazione, il sistema inconscio comprenderebbe soltanto rappresentazioni di cosa.

Jung in questo senso usa il termine “concretismo” nel suo Dizionario di psicologia analitica, porgendoci un notevole contributo sul versante clinico: “Per concretismo intendo una determinata peculiarità del pensare e del sentire che rappresenta l’opposto dell’astrazione…Non è un concetto differenziato, ma è ancora materiale d’intuizione fornito dai sensi. Il pensare concretistico si muove fra concetti e concezioni esclusivamente concreti ed è sempre in rapporto con le impressioni fornite dai sensi. Così anche il sentimento concretistico non è mai disgiunto da un riferimento sensoriale. “ 4

Vedendo la splendida rappresentazione filmica che il regista Paolo Rosa ne ha fatto, si scopre della straordinaria capacità sinestetica del protagonista. Lurija ricorda che le sinestesie del mnemonista si potevano reperire in lui fin dalla più tenera infanzia: “Allorché (avrò avuto due o tre anni) cominciarono a insegnarmi le parole di una preghiera in ebraico antico, io non le capivo, e quelle parole venivano a depositarmisi dentro in forma di globi di vapore o di spruzzi…” 5

Una modalità di pensiero che richiama quella del primitivo, che  rimane aderente all’apparenza materiale. Il pensare e il sentire del primitivo si basano sulla sensazione e se ne distinguono assai poco. Il concretismo, sottolinea Jung,  è perciò un arcaismo. Questa confusione impedisce una differenziazione del pensare e del sentire e mantiene entrambe le funzioni nella sfera della sensazione, cioè del riferimento sensoriale; in tal modo pensare e sentire non possono mai evolversi a funzioni pure, ma rimangono permanentemente dipendenti dalla sensazione.

 Così si determina un legame sensoriale fra le varie funzioni psicologiche, legame che impedisce l’autonomia psichica dell’individuo a favore dei dati di fatto sensibili.

Un individuo incompiuto, uno dei motivi di massima sofferenza del Sig. Serasevskij.

Ci siamo fatti finora l’idea di una persona ferma al modo di organizzazione del processo primario: sarebbe uno psicotico, ma Lurija ci rassicura dicendo che a suo parere non si tratterebbe di “un caso di scissione della personalità, di cui tanto si interessano gli psichiatri”.

Come è noto in psicoanalisi si formula l’ipotesi che traumi particolarmente violenti, sulla base di un terreno filogeneticamente predisposto, possano provocare l’inibizione di particolari funzioni, anche nella loro totalità (paralisi motorie, afasie, turbe del linguaggio più o meno estese). Dunque uno psicoanalista avrebbe ricercato nel materiale esposto dal soggetto le vestigia del trauma. Mi sembra una prova di grande sensibilità la scelta del regista di iniziare e concludere il film con quello che a buon ragione può essere considerato un sintomo, mi riferisco alla illusione dello scarabeo.

Vediamo come lo descrive il paziente stesso:

“ «Lo scarabeo»: è una scrostatura del vasetto da notte… Queste scrostature sono di color nero… Di sera, col comparire dei lumi, compare anche «lo scarabeo»… Infatti, non tutto è ben illuminato, la luce della lampada cade soltanto su un piccolo angolo, intorno è buio. ed ecco «lo scarabeo»… I nei pelosi, anche quelli sono «lo scarabeo»… Ecco che io vengo posto dinanzi allo specchio: c’è rumore… ridono… Ed ecco, là nello specchio, i miei occhi, scuri: è, ancora una volta, «lo scarabeo»… Ora sto coricato nella culla; poi nasce un gridio, un fracasso, minacce… Stanno bollendo qualche cosa nella teiera smaltata… è la nonna, sta facendo il caffè, Essa lascia cadere qualcosa di rosso e lo tira fuori… «lo scarabeo!» Il carbone, anche quello è «lo scarabeo»…”  6

Questa breve sequenza potrebbe entrare di buon grado, come esempio regio, in qualsiasi manuale di psicoanalisi, come materiale relativo alla cosiddetta “scena primaria”, Come è noto la scena primaria (o originaria) corrisponde alla scena del rapporto sessuale tra genitori, direttamente osservata, o supposta in base ad alcuni indizi, anche confusi o frutto di incomprensione, ed elaborata fantasmaticamente dal bambino. In generale, la scena primaria, è  interpretata come un atto di violenza, con esiti traumatici, da parte del padre.

Il nero, come è noto, è il colore del pube (di notte anche altri colori più chiari si appiattiscono sul nero) ed è di frequente repere nell’osservazione clinica il percepire la zona genitale come un ragno, o altro insetto,  minaccioso.

E’ spesso lo specchio lo sfondo nel quale si colloca la scena (a volte i genitori hanno la premura di appartarsi in una zona del letto difficilmente raggiungibile dallo sguardo diretto del bambino e non tengono conto dei fenomeni diabolici di rifrazione!).

Il Sig. racconta:

“Ecco che io vengo posto dinanzi allo specchio: c’è rumore… ridono… Ed ecco, là nello specchio, i miei occhi, scuri: è, ancora una volta, «lo scarabeo»… Ora sto coricato nella culla; poi nasce un gridio, un fracasso, minacce”

Il repentino passaggio dal ridere, al grido ed alle minacce corrisponde al fraintendimento delle eventuali grida di piacere dei partners ed alla perdita di controllo che accompagna un coito riuscito.

La risultante di questo stimolo traumatico nella mente del bambino è spesso lo strutturarsi di un vissuto misto di angosciosa attesa e di confusione: il bambino “non capisce” cosa sia effettivamente accaduto.

Nel passo immediatamente successivo il Mnemonista richiama ancora dei dettagli genitali: “qualcosa di rosso” ed il nero dello scarabeo. Particolare di non poco conto è che questa sequenza contenga il riferimento alla nonna che prepara il té, un’operazione che produce inevitabilmente nuvole e sbuffi di vapore, il sintomo disturbante, che sopravveniva quando il soggetto non capiva il senso delle cose.

Uno psicoanalista potrebbe continuare di buon grado la sua indagine ed avere l’eventuale conforto del parere dell’analizzato: mi piace immaginare cosa sarebbe successo se il Terrore poliziesco non avesse privato il Prof. Lurija degli strumenti della scienza di Freud.

E’ ovvio che non si può ridurre l’eccezionale potenza mnemonica del Sig. Serasevskij alle sole vicende psicodinamiche della sua esistenza. E’ certo che la mente del Mnemonista  avrebbe notevolmente interessato gli attuali esperti di cibernetica, soprattutto gli scienziati che al giorno d’oggi dedicano le loro energie alla realizzazione dei cosiddetti computer quantistici.

Si ritiene, infatti, che le impressionanti differenze di performances tra mente umana ed elaboratore siano dovute al fatto che i computers sono attualmente inchiodati alla logica deterministica binaria: vero-falso. Mentre la mente umana tiene conto di concetti sfumati o approssimati che permettono un numero pressoché infinito di soluzioni.

Quello che rende la mente umana incomparabile è quella che potremmo definire la sua possibilità di ragionamento quantistico: la coesistenza di stati deterministicamente in opposizione, di tempi diversi, la possibilità di non tener conto del principio di contraddizione, etc. cioè le modalità di funzionamento proprie del processo primario così come furono descritte da Freud e che ravvediamo, nei meccanismi utilizzati nella costruzione delle “storie” del Mnemonista.

Per  cercare di avvicinare le prestazioni degli elaboratori a quelli della mente umana gli scienziati stanno lavorando da anni a quelli che sono stati definiti computer quantistici. La caratteristica fondamentale di questi elaboratori, tuttora in una fase di elaborazione teorica, risiede nel fatto che essi consentirebbero forme molto complicate e molto potenti di parallelismo. La possibilità di procedure di calcolo parallele è fondato su un’idea centrale della meccanica quantistica, che è l’idea di sovrapposizione di stati quantistici.

Nell’applicazione ai computer e ai calcoli, gli elementi di una sovrapposizione quantistica di stati danno luogo a rami paralleli di calcolo, per cui ogni ramo rappresenta l’elemento di una sovrapposizione quantistica. Naturalmente, per ottenere, poi, un risultato definito tutti questi rami diversi devono precipitare su un unico risultato, deve avvenire quel processo che in meccanica quantistica si chiama “collasso della funzione d’onda”.

 A far collassare la funzione d’onda è, secondo la fisica quantistica, l’interferenza di un altro sistema. Per esempio, se cerco di misurare una quantità di un sistema (la sua velocità, per esempio), faccio collassare la funzione d’onda del sistema, e pertanto leggo un valore per quella quantità che prima era semplicemente una delle tante possibilità. E’ il mio atto di osservare a causare la “scelta” di quel particolare valore della velocità fra tutti quelli possibili.

Una dinamica del tutto simile a quella di collasso della funzione d’onda si può osservare in psicoanalisi ed in micropsicoanalisi nella produzione delle cosiddette “idee improvvise”, quelle idee, immagini, parole, talvolta suoni o odori, che improvvisamente compaiono al livello della coscienza, al di fuori del contesto associativo.

Sembrerebbe che il Mnemonista avesse la possibilità di utilizzare a piacere quelle che nei soggetti normali sono evenienze casuali: produzioni di immagini o altri dettagli psichici che, grazie ai fenomeni di spostamento e di condensazione contengono, come un attrattore frattale, una gran massa di informazioni in un solo nodo della struttura.

La sua mente, era a più stretto contatto con il Vuoto costitutivo dell’essere umano, che, come il film ci mostra nel suo epilogo, divenne una delle sue ossessioni: “Sta cercando il nulla: lui l’ha visto ed ha bisogno di raggiungerlo”. Il Vuoto creatore ed annichilatore è uno dei concetti chiave della micropsicoanalisi: rimando il lettore interessato all’argomento, alla lettura del mio lavoro “La vita: involucro vuoto” 7 in cui ho tentato una descrizione dettagliata di questo concetto metapsicologico servendomi dell’illustrazione di numerosi casi clinici.

Qui mi limiterò a ricordare che il Vuoto è il supporto energetico di tutto ciò che esiste. La microfisica si è incaricata di dimostrare che in esso sono iscritte informazioni che sussistono anche in assenza di supporto materiale.

Il grande pensatore ungherese Ervin Laszlo  scrive: ”Non vi è più un motivo valido per considerare la materia come primaria e lo spazio come secondario. È allo spazio – o meglio al ‘mare di Dirac’ del vuoto che pervade il cosmo che dovremmo riconoscere realtà primaria…(Lo spazio-tempo) è un ‘plenum’ (…) che può creare forme ed onde. La luce e il suono sono onde in movimento in questo campo energetico continuo”. 8

Esponendo la sua concezione della vita Laszlo afferma: ”Sembra che le interazioni con il vuoto quantistico non siano limitate alle particelle elementari, ma possano interessare anche entità macroscopiche come i sistemi viventi…fantasmi di torsione, metastabili, generati dalle interazioni di torsione di spin, possono persistere anche in assenza degli oggetti che li hanno generati” 9

E ancora: “L’esistenza di questi fantasmi nel caso di tessuti viventi è stata confermata dagli esperimenti di Vladimir Poponin e del suo gruppo dell’Istituto di Fisica Biochimica dell’Accademia russa delle Scienze. Poponin, che ha successivamente ripetuto l’esperimento presso l’Heartmath Institute degli Stati Uniti, ha posto un campione di DNA in una camera a temperatura controllata e lo ha sottoposto ad un raggio laser. Ha constatato che il campo elettromagnetico circostante la camera mostra una struttura specifica, pressappoco come atteso. Ma ha constatato che questa struttura persiste a lungo dopo che il DNA in questione è stato rimosso dalla camera irradiata dal laser. L’impronta del DNA nel campo continua ad essere presente quando il DNA non c’è più”. 10

Il premio Nobel Carlo Rubbia è ancor più esplicito: “Lungi dall’essere la vacuità assoluta, come un tempo si credeva, il vuoto moderno è un mezzo molto complesso nel quale hanno luogo, oltre a fenomeni come l’emissione o l’assorbimento di quanti virtuali, anche la comparsa e la scomparsa di particelle di materia e antimateria…Quarks pesanti o instabili e le corrispondenti antiparticelle possono avere il diritto all’esistenza nel vuoto, anche solo per pochi effimeri istanti. Ma restano particelle virtuali, ancora impossibili da catturare….se alimentiamo il vuoto con l’energia, possiamo trasformare “stati virtuali” di eccitazione in particelle “reali” e “osservabili” 11

Il Vuoto, dunque, come supporto di informazioni metastabili.

 il Vuoto, che il mnemonista aveva “visto” e tentava di raggiungere, forse la sorgente misteriosa e tormentosa di quel fiume di immagini che strutturava ricordi immarcescibili.

© Quirino  Zangrilli

Note:

[1] A. R. Lurija, Una memoria prodigiosa (The Mind of a Mnemonist, 1968), 2002, Mondadori, Milano.

[2] Umberto Piscicelli, Introduzione alla psicosomatica, Astrolabio, Roma, 1985.

[3] Vedi: J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino, Einaudi, Torino,1980.

[4] C. G. Jung, Dizionario  di Psicologia  analitica, Boringhieri, 1969, Torino.

[5] A. R. Lurija, op. cit.

[6] A. R. Lurija, op. cit.

[7] Q. Zangrilli, La vita: involucro  vuoto, Borla, Roma, 1993.

[8]  Ervin Laszlo, Nuovi concetti di materia, vita e mente, Pluriuniverso, anno I, n° 5 dicembre 1996.

Consulta anche: http://pconf.terminal.cz/participants/laszlo.html.

[9] Ervin Laszlo, op. cit.

[10] – Gariaev P.P., > Chudin V.I., Komissarov G.G., Berezin A.A., Vasiliev A.A., 1991, Holographic > Associative Memory of Biological Systems, Proceedings SPIE – The International > Society for Optical Engineering. Optical Memory and Neural Networks. v. 1621, > p.280- 291. USA.

–  Gariaev P.P., “Wave based genome”, Ed. Obsh. > In Russian (1994)

– P.P. Gariaev, K.V. Grigor’ev, A.A. Vasil’ev, V.P. Poponin and V.A. Shcheglov. Investigation of the Fluctuation Dynamics of DNA Solutions by Laser Correlation Spectroscopy. Bulletin of the Lebedev Physics Institute, n. 11-12, p. 23-30 (1992).

– P.P. Gariaev and V.P. Poponin. Vacuum DNA phantom effect in vitro and its possible rational explanation. Nanobiology 1995 (in press).

[11] Carlo Rubbia ,  Il Vuoto è veramente vuoto?, Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, n° 10, 1992.