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G. Bernini: Ratto di Proserpina (part.) 1621-22

Con il termine “Stalking” ci si riferisce ad una serie di comportamenti di agguato, di inseguimento, di molestie insistenti e assillanti attuati da un partner (o presunto tale) e finalizzati alla ricerca di un contatto personale o al tentativo di imporsi in casa, nell’ambiente di lavoro ecc. in un crescendo di atti intrusivi che possono giungere alle minacce e culminare in aggressioni e violenze fisiche.
L’entrata in vigore della legge (art. 612 bis c.p., art. 7, comma 1, del decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11) ha evidenziato gli aspetti più persecutori del fenomeno, il rischio di agiti violenti, ma non ha migliorato la conoscenza di questi comportamenti, anzi semmai assistiamo ad un’esagerata diffusione di richieste di interventi e querele con grave sovraccarico degli organismi preposti.
La legge recita: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni“.
Ma prima di interessare la giurisprudenza, il fenomeno dell’amore molesto, delle sofferenze legate ai contrasti nelle relazioni affettive, o alla loro fine, avevano sempre occupato il lavoro di psichiatri e psicologi.
Ai nostri giorni fa un certo effetto sentire di storie di corteggiatori fastidiosi e insistenti oltre ogni ragionevole rifiuto, di amori finiti senza rassegnazione.
Tornano ricordi d’altri tempi, di vicende di cui il mito e la letteratura sono pieni: Don Rodrigo che rapisce la Lucia manzoniana a scopo di lussuria oggi sarebbe uno stalker, un persecutore, uno che fa le poste per carpire il consenso di una ragazza.
Ancora più eloquente è il fenomeno degli stalkers mitologici.
Il più celebre è il padre di tutti gli dei: Zeus, che non si premurava certo di ottenere il consenso dell’oggetto delle sue passioni; forte della sua divinità, assumeva le più svariate sembianze e concupiva le vittime.
Anche l’origine del ritmo delle stagioni trova, nel ratto di Proserpina, una spiegazione mitologica: figlia di Zeus e Demetra, era stata brutalmente rapita da Plutone, dio degli inferi. Sua madre, addolorata e indispettita, gettò la terra in un lungo inverno fino a quando Plutone non consentì a Proserpina di tornare sulla terra almeno per quattro mesi dell’anno: così si stabilì la ciclicità delle stagioni.
E’ il mito della rinascita della natura, del ritorno dal mondo dei morti, un mito di vita che nasce da un rapimento violento.
È interessante notare come gran parte dei miti sembrano accogliere con neutralità i casi di discendenza dallo stupro e prendono raramente in considerazione la conseguenza della violenza sulla donna che ne è vittima, come nella storia del Ratto delle Sabine.

Giambologna: Ratto delle Sabine (part.) 1583

Giambologna: Ratto delle Sabine (part.) 1583[/caption]

E’ uno dei più noti miti delle origini di Roma e narra di come il gruppo dei fondatori, rudi pastori guerrieri guidati da Romolo, avesse deciso di procurarsi le donne e garantirsi la discendenza attraverso il rituale arcaico del ratto. Tito Livio, nella sua monumentale opera Ab Urbe Condita, ricostruisce la vicenda in toni un po’ meno rudi, premettendo che i romani avevano cercato di ottenere bonariamente le donne dalle popolazioni vicine, ma, al netto rifiuto, erano passati all’inganno. Avevano quindi organizzato i Consualia, giochi solenni rimasti nelle tradizioni delle festività estive e divenuti, in epoca imperiale, le Feriae Augusti (Ferragosto). Erano le feste per la fine dei principali lavori agricoli, ma anche, la traccia di un rito più arcaico legato a Diana, alla vita dei boschi e alla fertilità. Durante i festeggiamenti, racconta Tito Livio, si consumò il ratto e si sarebbe rischiato il conflitto con i sabini, se non fossero intervenute proprio le donne ormai convinte dalle “blanditiae virorum” (le seduzioni degli uomini) che “maxime ad muliebre ingenium efficaces preces sunt” (sono strumenti massimamente efficaci per il temperamento femminile). Questo era, in sintesi, l’idea che una società guerriera e patriarcale quale quella romana aveva delle donne: servono per la procreazione e come strumento per stabilire vincoli e alleanze con i popoli vicini.
Nell’ideologia militare, il rapimento non si configura come un atto di violenza, ma come una modalità di affermazione: è andata avanti così per decine di secoli. Ed ancora, in talune aree del globo, va avanti così.
Come stupirsi se le tracce mestiche (certamente non coscienti), di tutte queste sedimentazioni, talora affiorino ancora in forme più o meno adattate?
Quello che è cambiato nei paesi a costumi occidentali, è il ruolo della donna. Le conoscenze tecnico-scientifiche hanno portato cambiamenti significativi: non più vincolata al ritmo subentrante di maternità non controllabili, facilitata nelle incombenze quotidiane e più disponibile che in passato all’impresa lavorativa, la donna è diventata attore della vita affettiva, relazionale e sessuale in modi sempre più simili a quelli dell’uomo, il che determina non poco disorientamento nelle dinamiche fra i sessi.

Il significato originario del termine “Stalking”

è importato dal linguaggio venatorio e indica l’appostamento, l’inseguimento furtivo della preda.
Il presupposto è la rivendicazione di un legame sentimentale, realmente avvenuto o solo fantasticato.
Talvolta si possono verificare comportamenti di stalking anche al di fuori di relazioni sentimentali: sono i casi di quei rapporti professionali caratterizzati dalla richiesta di aiuto (medici, psicologi, avvocati, assistenti sociali, operatori di counseling ecc.), situazioni in cui il rischio di psicopatologia franca è più elevato e in cui può capitare più spesso che il persecutore sia donna. Peraltro l’80% delle vittime di stalking sono donne.

Prima di giungere allo stalking conclamato, però, le vicende hanno una coloritura romantico/passionale: il corteggiamento e l’innamoramento possono presentarsi nelle note forme di mascheramento o di annullamento della realtà e di identificazione proiettiva. Dunque l’innamoramento può configurarsi come condizione psicopatologica? Ma chi non ha provato quella sensazione di totale e acritica adesione al modello dell’amato, avvertito come in tutto simile a se stessi, immediatamente intimo, come sempre conosciuto?
E’ l’identificazione proiettiva il meccanismo psicologico che permette di attribuire parti di sé (fantasie o rappresentazioni) all’esterno del soggetto e all’interno dell’oggetto di investimento. L’amato diventa così il contenitore di nostre parti che agiscono con le sue parole e i suoi modi: ecco perché ci sembra che sappia già tutto di noi, come se pensasse sempre tutto come noi. Ma questo meccanismo può portare anche a proiettare nell’altro (e a mostrare nell’altro) nostri aspetti che non vorremmo vedere. Qualche volta basta poco e l’altro diventa il nemico; si passa dunque progressivamente da una condizione di idillio allo stalking conclamato, i due amanti diventano nemici, un soggetto è vittima e l’altro è persecutore.
Per un periodo, che può protrarsi anche per anni, i due vivono una relazione che sembra incastrarli: il molestatore non intende mollare la presa e la vittima, a causa del terrore di più gravi conseguenze, non riesce a mettere in atto reazioni efficaci che interrompano il circuito.
I dati ISTAT indicano che in Italia oltre due milioni di donne (18%) hanno subito questo genere di violenza che si sviluppa soprattutto per la fine di una relazione.
Nel 68% dei casi l’aguzzino è l’ex partner.
La persecuzione più diffusa (68, 5%) è quando lui vuole a tutti i costi avere colloqui.
Seguono attese fuori casa, davanti alla scuola o al lavoro; invii di messaggi, telefonate, e-mail, lettere o regali indesiderati; inseguimenti e spionaggio.
L’esperienza clinica di persecuzioni affettive mette in evidenza aspetti che riguardano la c.d. vittima e aspetti che riguardano i c.d. persecutore anche se quest’ultimo difficilmente giunge alla consultazione dello specialista.
Più facilmente giungono le vittime quando, dopo un periodo più o meno lungo di difficoltà, riescono a compiere un passo di autonomia.

Un caso

La relazione tra S. e quello che poi diventerà il suo stalker era stata inizialmente, e per un lungo periodo, virtuale, tramite un social network, evenienza, questa tutt’altro che rara tanto che alcuni autori hanno parlato di cyber-stalking.
Le chat sono un dialogare a più mani in cui, come ha scritto Bruna Marzi, la casualità impersonale dell’incontro, anche senza chiari intenti sentimentali, sembra facilitare l’espressione delle proprie idee. Le persone sono tutelate da una sorta di anonimato e non devono scoprire immediatamente l’aspetto fisico, del quale spesso si sentono poco sicure. Anche quando gli amici delle chat cominciano a scambiarsi fotografie e parlano in webcam, l’immagine offerta sarà molto parziale, costruita come sulla scena di uno spettacolo: una recita in cui si possono giocare dei ruoli, presentarsi con nomi di fantasia, assumere più identità ed entrare con questi polimorfismi in un bailamme di proiezioni di relazioni il cui elemento comune è l’evitamento delle relazioni oggettive. In queste condizioni un dettaglio insignificante può alimentare fantasie e proiezioni, come accadde a S. che lesse, in un moto irritato dell’altro, il sicuro interessamento a lei, anzi l’interessamento che nessuno mai aveva auto per lei.
S. ne aveva talmente bisogno che non si allarmò per l’assurda intrusività espressa dal partner: “la sventurata rispose” (come scrisse Manzoni a proposito della Monaca di Monza) e la vicenda sentimentale prese così avvio.
In quel momento l’assenza dell’oggetto agevolava per entrambi l’investimento della libido su un’immagine idealizzata.
Soffermiamoci ad osservare alcuni elementi che possono aver esposto la futura vittima al prosieguo della vicenda.
– Fine di una precedente relazione sentimentale.
– Difficoltà nel processo di identificazione – differenziazione con l’immagine della madre.
– Distanza affettiva del padre che presentava una forma sub-clinica di depressione.
– Importanza della coppia dei nonni materni: l’uno violento e persecutore, ma garante dell’unità del clan familiare; l’altra, una moglie – bambina, passiva e sottomessa.
La piccola S. aveva vissuto un’atmosfera, un insieme di gesti, di limitazioni e imposizioni irragionevoli e svincolati da qualunque negoziazione. Un clima maltrattante transgenerazionale in cui il nonno aggrediva sua madre, questa si faceva scudo della bambina e la nonna assisteva mestamente.
Così l’Edipo materno aveva improntato quello della piccola S. e i suoi desideri inconsci di possesso e identificazione erano orientati dalle immagini dei nonni: la nonna “vergine e santa” e il nonno persecutore.
Lo sviluppo psicossessuale della giovane che, pure, desiderava un amore completo e maternità feconde, era segnato dalla frigidità.
Come ha scritto Quirino Zangrilli, nella frigidità, non essendo possibile altro appagamento, il piacere del dominio dell’oggetto diventa esclusivo. Si può, dunque, parlare di pulsione di impossessamento, una pulsione non proprio sessuale, ma che si unisce alla sessualità solo secondariamente e il cui fine ultimo è il dominio dell’oggetto (con la forza).

© Gioia Marzi

Bibliografia:

– B. Marzi: “Manifestazioni attuali del tabù del toccare: chat, sms, mms, blog, etc” in Scienza e Psicoanalisi – 2006.
– G. Marzi: “L’Edipo e i nonni: considerazioni psicodinamiche sulla terza età” in Scienza e Psicoanalisi -2003 .
– Q. Zangrilli. “Sessualità umana, impotenza e frigidità. Inquadramento psicodinamico” in Scienza e Psicoanalisi -2006.

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