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(Estratto della relazione tenuta dall’Autore al Congresso “Essere donna oggi: Tra stalking, molestie e femminicidio, I molteplici volti della violenza di genere”, Sora, giugno 2014)

Il primo atto aggressivo coincide con l’inizio stesso della nostra vita: Lo spermatozoo, che ha subito la maturazione spermatica durante il transito lungo le vie genitali femminili, incontra l’uovo: Inizia allora la reazione acrosomiale, consistente nella liberazione da parte dello spermatozoo di enzimi litici, che distruggono il cumulo ooforo e la zona pellucida dell’uovo.

aggressività

La vita dell’essere umano inizia dunque con un atto aggressivo necessario per violare la struttura cellulare di un’altra struttura vivente e dar vita al progetto di eternamento del genoma. E pensiamo a quanta aggressività sia stata messa in campo dai nostri antichi progenitori per procacciarsi il cibo uccidendo animali o per difendere se stessi e la propria prole dalle fiere o da attacchi di gruppi umani ostili.
Certo qui ci troviamo di fronte ad una aggressività “benigna” come Fromm la descrive in “Anatomia della distruttività umana” del 1973, al servizio della sopravvivenza dell’individuo e della specie, essa è biologicamente adattiva, e cessa quando viene a mancare l’aggressore.
L’altro tipo, l’aggressività “maligna”, e cioè la crudeltà e la distruttività, è specifica della specie umana, sembra praticamente assente nella maggior parte dei mammiferi, non è programmata filogeneticamente (qui Fromm dissente da Freud) e non è biologicamente adattiva; non ha alcuno scopo e, se esercitata, procura voluttà.

Moltissime categorie di studiosi si sono occupati dello studio dell’aggressività umana.
Mi piace considerare che le categorie più vicine alla clinica, gli psicoanalisti, gli antropologi e gli etnologi, praticamente concordino: si, l’aggressività umana è innata, predeterminata filogeneticamente, programmata come un istinto primario.
Le categorie inclini alle costruzioni filosofiche dei principi ideologici, quelle ambientaliste, ritengono invece che l’essere umano nasca privo di istinto aggressivo e che questo sia generato unicamente dalla frustrazione o dal condizionamento sociale.
Sono le fantasie dell’Uomo Nuovo che in migliaia di anni di storia documentale, guarda caso, non hanno trovato alcun riscontro reale.
Basterà pensare all’ecatombe infinita di morte e distruzione che il Fascismo, il Nazismo e il Comunismo ci hanno dispensato in appena 100 anni di sperimentazione.
Al riguardo ben più tranciante di me era Freud che scrive: “ Come ci rappresentiamo propriamente il processo mediante il quale un singolo essere umano perviene a un più alto livello etico? Una prima risposta potrebbe essere che l’uomo è originariamente fin dalla nascita buono e nobile; ma questa tesi non merita neppure di essere discussa.” (Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, 1915)

Io di mestiere faccio lo psicoanalista, ho passato oltre trenta anni della mia vita ad ascoltare quotidianamente confidenze che normalmente l’essere umano non può fare nemmeno a se stesso, semplicemente perché, essendo relegate nel cosiddetto inconscio, sono in condizioni normali, inaccessibili.
Ritengo, però, che molti di voi, coloro che hanno una struttura psichica più permeabile rispetto ai propri contenuti preconsci, possano ricordare qualche sogno in cui la nostra attività aggressiva esplode in forma parossistica, uccidendo, smembrando, distruggendo.
mi direte, il sogno è un’attività caotica e priva di significato: cento e più anni di sperimentazione clinica smentiscono categoricamente questa asserzione: il sogno è un sofisticato meccanismo di soddisfazione allucinatoria di desideri, risalenti solitamente alla prima infanzia, che sono incompatibili con l’Io, ed hanno due sole spinte: la sessualità e l’aggressività.

Estremizzando possiamo dire che alla base della mente umana c’è solo sessualità, aggressività e sogno e tutte le meraviglie che abbiamo costruito nel corso della nostra storia, l’arte, la tecnologia, la letteratura, la poesia, la musica, sono un distillato, per sublimazione, delle tre attività cardinali: sessualità, aggressività e sogno.

aggressività

Si possono notare tre fasi nel percorso teorico di Freud mentre lavorava al concetto di pulsione aggressiva: in una prima fase, prima del 1915, l’aggressività viene concepita quasi esclusivamente come un aspetto della libido o comunque come al servizio della libido: varrà come esempio l’inizio del mio intervento, ci vuole un atto aggressivo per prolungare l’esistenza umana; in una seconda fase, corrispondente al lavoro impropriamente conosciuto come “Pulsioni e loro destini” del 1915, dopo l’esplosione del massacro della prima guerra mondiale, l’aggressività viene concepita come indipendente dalla libido e ascrivibile alle pulsioni dell’Io (o di autoconservazione); e infine in una terza fase, dopo il 1920, l’aggressività non è più considerata una manifestazione delle pulsioni dell’Io, bensì, finalmente, come manifestazione di una autonoma pulsione di morte.

Nel lavoro del 1915 Freud ci ricorda che le pulsioni subiscono un costante lavoro di rimaneggiamento dalla nascita in poi: questi impulsi primitivi devono compiere un lungo cammino evolutivo prima che sia loro concesso di operare nell’individuo adulto. Vengono inibiti o deviati verso altre mete e altri ambiti, si mescolano tra loro, mutano i loro oggetti, si rivolgono parzialmente sulla persona stessa del soggetto. Sono numerosi i meccanismi che vengono messi in atto: di repressione, frustrazione, inibizione, introiezione, sublimazione e di formazione reattiva. Quest’ultimo è davvero interessante per farci scattare il campanello della diffidenza.
Ascoltiamolo descritto da Freud:
Formazioni reattive contro determinate pulsioni danno l’illusione di un mutamento del loro contenuto, come se l’egoismo si fosse trasformato in altruismo e la crudeltà in compassione… Solo dopo che tutti questi “destini delle pulsioni” si sono compiuti, emerge ciò che diciamo il carattere di un uomo… È raro che un uomo sia totalmente buono o cattivo; perlopiù è buono sotto certi riguardi e cattivo sotto altri, o buono in date circostanze e decisamente cattivo in altre. Notevole è pure la costatazione che la preesistenza nell’infanzia di forti impulsi “cattivi” è spesso il fattore che determina un successivo spiccatissimo orientamento dell’adulto verso il “bene”. I bambini più smaccatamente egoisti possono diventare i cittadini più generosi e più disposti al sacrificio; la maggior parte degli apostoli della pietà, dei filantropi e degli zoofili erano originariamente piccoli sadici e tormentatori di animali”. (Freud, op. cit.)
Ora, se l’aggressività è innata, essa agisce fin dal periodo intrauterino, ma di questo farò un piccolo riferimento tra poco, ed è modellata, smussata e, per così dire addomesticata, dato che (non date retta ai sognatori) essa non si può sopprimere, da due grandi forze: una interna all’individuo, l’altra esterna ad esso.
quella interna è l’Eros, la libido, la pulsione sessuale. Con l’apporto dell’erotismo, il bisogno umano d’amore inteso nel senso più ampio,  le pulsioni egoistiche si tramutano in pulsioni sociali; si impara che essere amati è un vantaggio tale che per esso val la pena di rinunciare ad altri vantaggi.
Il fattore esterno è la costrizione educativa che rappresenta le pretese dell’ambiente civile ed è più tardi sostituita dalla diretta pressione di quest’ultimo.
Da questo punto di vista potete capire come da una parte una società sana sia una società che non reprime l’esercizio dell’erotismo e da questo punto di vista scontiamo un millennio di ingiustificata e feroce repressione esercitata dalla chiesa cattolica, che ancora per molto tempo farà valere le sue ricadute poiché i tabù ed i divieti del Super Io vengono interiorizzati ed esercitano la loro nefasta azione anche quando lo stimolo vessatorio viene a cessare.
dall’altra parte una società in cui repressione della violenza, certezza della pena, assunzione della colpa ed espiazione dei misfatti vengano meno è condannata ad una inevitabile disintegrazione esplosiva.
Mi sembra che da questo punto di vista ci stiamo avvicinando pericolosamente al punto di non ritorno.
Prima vi ho parlato dell’aggressività materno-fetale.
Quando all’inizio dei primi anni 70 il mio maestro Nicola Peluffo iniziò a praticare un tipo particolare di psicoanalisi che io definisco intensivo, basato su sedute lunghe, anche di due-tre ore consecutive, gli psicoanalisti della sua scuola si trovarono a confrontarsi con la produzione, da parte di tutti i loro analizzati, di un materiale associativo inusuale: numerose ore di analisi venivano dedicate alla descrizione di profonde dinamiche aggressive temporalmente collocate dai pazienti in un periodo assolutamente arcaico: il periodo intrauterino.
Molti analizzati che conducevano lunghe sedute descrivevano con angoscia l’esistenza di vissuti di minaccia-annientamento provenienti dal polo materno e di speculari desideri di distruzione-assimilazione provenienti dal polo fetale.
Ultimamente ne sono venute conferme anche dalla Biologia Evoluzionista,
Anche per il biologo evoluzionista di Harvard, David Haig, la gravidanza è un processo che non si svolge in perfetta armonia. Haig sostiene, confermando dunque le osservazioni fatte sul versante psichico dagli psicoanalisti della scuola di Peluffo, che madre e feto ingaggiano una lotta inconscia per il nutrimento e per la reciproca sopravvivenza. Ed anche per Haig il conflitto può continuare anche dopo la nascita ed influenzare la vita futura, spiegando disordini psicologici come depressione e autismo.

In un lavoro del 1995 Haig sembra usare la stessa terminologia che per decenni gli allievi di Peluffo hanno utilizzato sollevando ondate di critiche e di incomprensioni.
Haig ricorda come la più intima delle relazioni possibili sia quella tra la madre ed il feto.

Ma Haig si chiede se l’idea di una armoniosa coabitazione non sia che un’illusione e formula la domanda: “…è il feto un aggressore alieno, un parassita, che prende tutto ciò che può, senza alcun riguardo per il suo ospite materno?“.
Haig, come già Peluffo aveva sottolineato nei suoi lavori, ci ricorda che l’embrione, fin dal suo primo impianto, invia proprie gittate cellulari nel tessuto uterino che distruggono l’endometrio materno ed aprono delle vere e proprie bocche di pompaggio nei vasi materni: “Il risultato è che il feto ha un accesso diretto al sangue materno e la madre è impossibilitata a restringere le vene”. Non solo, il feto, avendo accesso diretto nel sistema vascolare materno, può immettere nell’organismo della madre una serie di sostanze strategicamente importanti ai fini della sua sopravvivenza.
A volte , ricorda Haig, la placenta può avere un apporto inadeguato di sangue materno: un modo per la placenta di ottenere un incremento dell’apporto ematico e dunque delle sostanze vitali è quello di determinare un aumento della pressione sanguigna materna, evenienza che si determina nella preeclampsia. Secondo le ipotesi di Haig, questa non sarebbe un’evenienza casuale, bensì il risultato di una strategia fetale finalizzata ad ottenere un aumentato afflusso di sangue negli spazi intervillari da cui il feto trae nutrimento. Il feto dunque per tutelare la propria sopravvivenza non esita un solo attimo a mettere in pericolo la vita della madre.
Torniamo così all’ipotesi intermedia di Freud del post 1915: l’aggressività è una pulsione autonoma, indipendente dalla libido e ascrivibile alle pulsioni dell’Io (o di autoconservazione).
Non rimane, per farvi un quadro completo, succinto, ma spero rigoroso, del punto di vista psicoanalitico sull’argomento, che occuparci dell’ultima teorizzazione della concezione di Freud dell’argomento: la scoperta della pulsione di morte.
Freud inizia a confutare la supposta egemonia del principio del piacere nell’organizzazione della vita umana. Se tale egemonia esistesse, la stragrande maggioranza dei nostri processi psichici sarebbe accompagnata da piacere o porterebbe al piacere, mentre l’universale esperienza si oppone energicamente a questa conclusione, egli dice.

La guerra che si era svolta con indicibili lutti aveva portato all’osservazione di Freud, e dei tanti specialisti che si occupavano di salute mentale un quadro allora poco conosciuto: la cosiddetta “nevrosi di guerra”, che colpi Freud per un fattore particolare: la vita onirica delle persone affette da nevrosi traumatica aveva la caratteristica di riportare continuamente il malato nella situazione del suo incidente, da cui egli si risveglia con rinnovato spavento. Ciò entrava palesemente in contraddizione con la definizione di sogno data da Freud di soddisfazione allucinatoria di un desiderio inconscio.
Contemporaneamente Freud aveva scoperto l’esistenza della cosiddetta coazione a ripetere: la necessità inconscia, irreprimibile, di rimettersi in una situazione invariabilmente dolorosa, anche se assurda ed umiliante.
Venne scoperta da Freud nell’osservazione di un particolare gioco di un bambino, nella fattispecie suo nipote Ernst.
Il nipotino di Freud ripeteva spesso un gioco assolutamente comune da osservare per chiunque abbia un bambino piccolo in casa: gettava un rocchetto lontano da sè, cioè al di fuori del suo campo percettivo esclamando:”Fort!”, “Via!” e “Da”, “Qui”. In seguito il bambino, che tanto stupido non doveva essere essendo il nipote di Freud, legò un filo al rocchetto, automatizzando il gioco, buttandolo ripetutamente oltre il parapetto del suo lettino e attirandolo a sé ripetendo: “Fort!… Da!” La posta in gioco – ipotizza Freud – era il controllo dell’angoscia prodotta dalla perdita dell’oggetto (il rocchetto che simbolizza la madre).
Quindi Freud scopre che esiste nell’uomo un continuo, incessante tentativo di poter tornare magicamente ad una situazione pre-traumatica, che poi alimenta incessantemente tutte le nostre dolorose ripetizioni.

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Ma qui Freud oltrepassa l’umano e fa un salto capitale: dice che il vero momento traumatico sia stato l’inizio della vita, che ha strappato alla stasi assoluta della dimensione inorganica la materia organica, provocando una tensione insopprimibile se non con la morte. La distruttività, a cui si mette al servizio l’aggressività umana, in fondo sarebbe una sorta di inevitabile attività tesa a ritornare in uno stato di quiete totale iniziale.
Da questo punto di vista, dunque, l’aggressività umana appare insopprimibile, La guerra, i lutti, le immani distruzioni vissute personalmente da Freud esercitarono in lui una influenza così profonda che nel suo saggio di svolta epocale “Al di là del principio di piacere” del 1920, si rassegna ad ipotizzare l’esistenza  di un istinto autonomo, biologico, deputato al dissolvimento della sostanza vivente, nella ricerca della quiete assoluta del mondo inorganico. L’aggressività è insopprimibile, è insita nella natura.
La vita un epifenomeno transitorio in cui l’esistenza della pulsione di vita, come sulla trama di un buco nero, inventa gli oggetti, li costruisce, come fanno oggi i moderni scultori della sabbia, ma questi sono, come dice Freud, entità di passaggio.
I nostri più grandi dolori psichici sono i lutti: la perdita delle persone amate.
Concludo al riguardo con le parole di Nicola Peluffo: “Penso che il Maestro (Freud) intenda dire che se gli oggetti non perissero, la libido non sarebbe mai libera, e al mondo, per il soggetto, non esisterebbe mai nulla di nuovo. La scomparsa degli oggetti è necessaria affinché la libido, libera , ne investa (vorrei dire, ne inventi) altri e crei “altre musiche” (relazioni), le cui risonanze marginali sfuggano ai gorghi della coazione a ripetere. La perdita crea ciò che rende bella la vita; apre le sinapsi in cui si coglie l’attimo della creazione. Il resto è statico e aspetta di sparire”. 

Quirino Zangrilli ©

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