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Introduzione

Sono oramai trent’anni che mi occupo di età evolutiva, il tema del movimento e del suo significato in termini sia affettivi che cognitivi mi ha sempre interessata: lavorando con i bambini l’osservazione del corpo in movimento, delle azioni esplicite e di quelle inibite, dell’affetto manifestato attraverso i movimenti del corpo, dei problemi che il bambino si pone e risolve con le mani,  è fondamentale sia per comprendere il mondo affettivo relazionale del bambino, sia per valutare le sue capacità cognitive.
Prima ancora della parola, prima ancora della rappresentazione simbolica esiste l’azione, l’affettività cortocircuita nel corpo ed è espressa tramite il movimento.
Il lattante che avverte uno stimolo doloroso o vive una frustrazione inarca la schiena, irrigidisce gli arti e piange. Il bebé eccitato scarica attraverso il movimento del tronco  degli arti il surplus eccitativo, godendo di questa esperienza motoria. Questi movimenti incantano l’adulto e lo stimolano a mantenere il contatto visivo, auditivo e tattile con il bambino: una situazione piacevole ed eccitante per il piccolo che perdura così nel movimento.
Anche a livello cognitivo l’intelligenza senso-motoria precede il pensiero simbolico. Prima dei 18 mesi il mondo è conosciuto tramite il movimento, la relazione con l’oggetto da conoscere è una relazione basata sull’azione con o sull’oggetto. L’oggetto è definito e classificato secondo lo schema d’azione che si esercita su di esso: è una cosa da afferrare, succhiare, mordere, sbattere, lanciare, togliere, mettere ecc.
Anche in epoche successive la scarica attraverso l’azione, l’utilizzo del  movimento come espressione – drammatizzazione delle dinamiche conflittuali mantiene la sua importanza: basti pensare ai disturbi del movimento come tic e balbuzie, disturbi abbastanza comuni nell’infanzia. In questi casi il conflitto viene espresso attraverso un blocco motorio; vi è un abbozzo di azione che subitaneamente viene bloccata: il guardare (tic agli occhi), il parlare, l’avvicinarsi e/o il prendere (gli scatti del busto e i tic agli arti).
Gli acting-out adolescenziali sono un altro esempio di scarica della tensione tramite l’azione: la tensione conflittuale non viene elaborata mentalmente ma scoppia in un’azione impulsiva, spesso lesiva per l’adolescente stesso.

L’attenzione micropsicoanalitica al movimento

movimento Ogni adulto porta le tracce di questo passato nel quale il nostro corpo era il luogo privilegiato in cui si esprimevano i conflitti ed il movimento il mezzo privilegiato per la scarica tensionale. Il nostro modo di camminare, gestire, la nostra fisionomica, le posture che inconsapevolmente assumiamo quando interagiamo con gli altri, sono il risultato di tutta la storia relazionale ed affettiva della nostra vita.
La micropsicoanalisi ha colto l’importanza dell’analisi di questi microelementi conflittuali espressi attraverso il corpo.
Nel 1985, Nicola Peluffo scrive: “( in un’analisi) come per le serie associative e per quelle oniriche si verificherà che, anche dal punto di vista posturale, vi sono delle forme che mutano ed altre che si mantengono. È proprio l’irriducibilità di certe forme che potrà darci un’indicazione sull’intima essenza della forma psichica dell’analizzato”. 1
N. Peluffo (1976) fu tra i primi psicoanalisti ad occuparsi di psichismo fetale ipotizzando un modello relazionale madre-nascituro basato sulla dinamica somatica rigetto-facilitazione elaborata a livello somato-psichico nella dinamica trattenere espellere.
In un periodo in cui i movimenti fetali erano considerati la manifestazione non coordinata di riflessi innati, fu tra i primi a parlare di schemi senso-motori  fetali, schemi che avevano una loro organizzazione e forma, la possibilità di associarsi ad affetti diventandone il substrato rappresentazionale.
Nel 1997 afferma: ” I meccanismi associativi comportamentali o verbali sono trascrizioni in codici più o meno complessi di antiche risposte motorie, di cui conservano le componenti affettive.” 2
Nel 2000 riassume così il suo pensiero: ” Tracce di movimenti distensivi embrionali si fissano negli schemi sensorio-motori  fetali che a loro volta entrano negli schemi sensorio-motori del pensiero del bambino e da lì vengono poi ritradotti automaticamente in codici di pensiero figurale e linguistici. Ciò che rimane omogeneo in questo iter è l’affetto che si trasferisce più o meno identico in tutte le sue trasformazioni formali successive segnate dallo svolgersi dei nuclei di fissazione. Un affetto d’angoscia attivatosi durante la vita fetale e fissatosi nelle sue forme sensorio-motorie riapparirà, per esempio, in una altra veste durante lo stadio anale.”3
Peluffo, riguardo alla vita fetale, parla di tracce senso-motorie  che si incidono nello psichismo, parla di schemi senso-motori, forme complesse non semplici riflessi stimolo-risposta, ed ipotizza così l’esistenza di una vita psichica fetale e la possibilità che essa lasci una traccia nell’individuo. Ne inizia a parlare in un periodo storico in cui si avanzavano molti dubbi sulla possibilità che le azioni e reazioni del feto potessero essere in qualche modo registrate sotto forma di tracce mnestiche. Il movimento, in assenza di rappresentazione simbolica, veniva considerato un epifenomeno, una manifestazione, semplice ed immediata, della scarica pensionale.
Ora la situazione è radicalmente mutata, gli studi con l’ecografia quadridimensionale hanno permesso di verificare la significatività dei movimenti del feto in relazione al suo mondo intrauterino.
Il concetto di schema senso-motorio è preso da Piaget: si tratta di un insieme strutturato di percezioni e movimenti interrelati tra loro e con l’oggetto, è un insieme dotato di finalità alla quale sono subordinati i singoli movimenti. L’accomodamento permette di interagire con l’oggetto modificando lo schema secondo le esigenze della realtà, l’assimilazione consente una prima  categorizzazione delle varie esperienze di movimento nello spazio ed in relazione al mondo: esistono lo schema dell’ afferrare, tirare, spostare, ecc.
Peluffo estende questo concetto della psicologia cognitiva alla vita psichica nel suo complesso, collegandolo all’affetto ed individuando negli schemi psicomotori l’inizio delle prime tracce ontogenetiche della strutturazione psichica.
Apparentemente questa rivisitazione di Piaget può sembrare una riattualizzazione di un vecchio concetto ma, se diamo uno sguardo alle nuove scoperte delle neuroscienze  rispetto alle funzioni della corteccia celebrale motoria ed all’organizzazione del movimento, possiamo vedere come e quanto il concetto di schema senso-motorio sia attuale ed innovativo.

Neuroscienze e movimento

Rizzolatti con i suoi studi sulla corteccia motoria e sui neuroni a specchio ha ribaltato i paradigmi su cui si basavano i precedenti studi sulla corteccia celebrale motoria e la funzionalità del movimento.
Per decenni l’idea dominante era che le aree della corteccia motoria fossero destinate a compiti meramente esecutivi.
I moderni studi tra cui quelli di Rizzolatti hanno invalidato questa ipotesi. Si è scoperto che in alcune di queste aree celebrali vi sono neuroni che si attivano in relazione non a semplici movimenti, bensì ad atti motori finalizzati (come l’afferrare, il tenere, il manipolare, ecc.) e che rispondono selettivamente alle forme e le dimensioni degli oggetti sia quando si sta interagendo con essi sia quando ci si limita ad osservarli.
Questi neuroni appaiono essere in grado di discriminare l’informazione sensoriale, selezionandola in base alla possibilità che l’atto offre, indipendentemente dal fatto che tale possibilità venga concretamente realizzata o meno.
Nella premessa al loro libro: ” So quel che fai, il cervello che agisce e i neuroni a specchio” Rizzolatti e Sinigaglia affermano: “Il sistema motorio non ha a che fare con singoli movimenti ma con azioni (…)  È in questi atti, in quanto atti e non meramente movimenti, che prende corpo la nostra esperienza dell’ambiente che ci circonda e che le cose assumono per noi immediatamente significato.
Lo stesso rigido confine tra processi percettivi, cognitivi e motori finisce per rivelarsi in gran parte artificioso: non solo la percezione appare immersa nella dinamica dell’azione, risultando più articolata e composita di come in passato è stata pensata, ma il cervello che agisce è innanzitutto un cervello che comprende.
Si tratta, come vedremo, di una comprensione pragmatica, preconcettuale e prelinguistica, e tuttavia non meno importante, perché su di essa poggiano molte delle nostre tanto celebrate capacità cognitive.”4
Per gli autori il vedere che guida la mano è soprattutto un vedere con la mano, l’oggetto percepito è immediatamente codificato come un insieme determinato da ipotesi di azione.
I neuroni non reagiscono allo stimolo in quanto tale (forma,  aspetto sensoriale) ma al significato che esso riveste per il soggetto in azione, ciò equivale, per gli autori, ad un atto di comprensione.
Tale comprensione è essenzialmente pragmatica, non determina alcuna rappresentazione semantica dell’oggetto: non è, ad esempio, un bicchiere bensì ” qualcosa di afferrabile con la mano”.
È lo stesso Rizzolatti ad accostare le sue ipotesi alla teoria di Piaget ed a riprendere il concetto di schema senso-motorio.
Rispetto ai neuroni a specchio afferma che essi sono alla base del riconoscimento e della comprensione del significato degli eventi motori ossia degli atti degli altri.
” Questa comprensione non è una consapevolezza esplicita o riflessiva dell’osservatore sull’identità o la somiglianza tra l’azione vista e quella eseguita. Più semplicemente è la capacità immediata di riconoscere eventi motori differenziandoli da altri ed eventualmente di utilizzare questa informazione per rispondere nel modo più appropriato.” 5
Il coinvolgimento dei neuroni  a specchio consente di decifrare il significato degli eventi motori osservati, ossia di comprenderli in termini di azioni. Citando l’autore: ” Tale comprensione appare priva di alcuna mediazione riflessiva, concettuale e/o linguistica, essendo basata unicamente su un vocabolario di atti e su quella conoscenza motoria dai quali dipende la nostra stessa capacità di agire. (…) Tale comprensione non investe singoli atti, bensì intere catene di atti.”6
Esiste quindi una memoria motoria, preverbale ed asemantica che può agire in parallelo alla conoscenza ed alla memoria verbale semantica.
Un’ultima suggestione significativa viene dall’analisi delle connessioni della corteccia motoria: essa è connessa con il lobo prefrontale sede della memoria di lavoro e della pianificazione delle azioni e con la corteccia del cingolo, sede dell’elaborazione delle informazioni motivazionali ed affettive.

Considerazioni conclusive e suggestioni

I paradigmi scientifici su cui si basano le neuroscienze e la psicoanalisi sono molto diversi, anche l’oggetto di studio è diverso: la psiche non si può ricondurre ed esaurire al solo funzionamento celebrale.
Utilizzare l’una per spiegare l’altra è un’operazione riduzionistica oltre che un errore metodologico.
Le moderne ipotesi neuropsicologiche possono però darci interessanti suggestioni: si scopre che l’apparato celebrale lavora attraverso funzioni in parallelo. Si abdica il modello di un funzionamento celebrale a struttura gerarchica a favore di un modello in cui possono coesistere e funzionare, in modo parzialmente indipendente, costruzioni della realtà parallele. Non è affatto necessario che tutto sia registrato in uno stesso posto e nello stesso codice, esistono indubbiamente connessioni tra i vari codici ma essi possono dare il via a delle azioni e a delle comprensioni della realtà in modo indipendente.
La rilettura di alcuni articoli di Nicola Peluffo, alla luce di queste nuove acquisizioni delle neuroscienze, ha stimolato in me, suggestioni e riflessioni.
Concludo citando il maestro da poco scomparso e lasciando il lettore alle sue personali riflessioni.
” Un problema viene risolto con un azione attiva o passiva ( il movimento) di cui si conserva la traccia (memoria) affettiva ma non la rappresentazione codificata completa. A posteriori, quando l’occasione  lo permette, cioè la realtà quotidiana ci fornisce qualche tassello del puzzle, l’induzione associativa coatta costruisce una forma simile a quella iniziale che rende conscia, in essa, l’angoscia registrata solo in traccia motoria.” 7

© Daniela Marenco

Note:

1 N.Peluffo, Per un posturogramma della seduta, in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, N°1 1985 
2 N. Peluffo, Angoscia e memoria, in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, N°22, 1997, Tirrenia Stampatori, Torino 
3 N.Peluffo, Aspetti epistemologici dell’attività associativa ed onirica” in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, N°29-30, 2000-2001, Tirrenia Stampatori, Torino 
4 Rizzolatti, Sinigaglia , So quel che fai”  Raffaele Cortina Editore, 2006, Milano 
5 Ibidem pag. 96 
6 Ibidem pag. 122 
7 N. Peluffo, Angoscia e memoria, in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, N°22, 1997, Tirrenia Stampatori, Torino, Simposio sull’analisi infantile, in Scritti 1921 – 1958, Boringhieri 1983, Torino