Print Friendly, PDF & Email

Il presente lavoro è pubblicato anche in Anamorphosis, n. 10, 2012, a cura di Wilma Scategni e Stefano Cavalitto, Ananke, Torino, pp. 41-50.

“La mia opera è un canto al narcisismo felice”, dice Artemisia, con la voce attuale della scrittrice Barbara Alberti, dalla sua “scelta di esilio”
(Radio 24, 18-12-2011)Mentre continuo ad occuparmi delle “tracce di benessere nell’inconscio” che si “elaborano e ricombinano nel preconscio”, osservandone tale processo, soprattutto, nelle riattualizzazioni transferali e controtransferali del campo analitico con analista interessata al gioco pulsionale di vita e di morte che include la creatività, incontro ‘vita e creazione a braccetto’  in Artemisia Gentileschi e… me ne incanto.
Cercavo, probabilmente, un’evidenza di coerenza, nell’espressione delle sfaccettature dell’Immagine (e rimando al n. 8 di Anamorphosis, pp. 35, 39 e al n. 9, p. 38…), per parlare di “creatività benessere”, sia nella vita artistica che in quella di realtà, dopo i passaggi, illustrati in   Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi (Gariglio, Lysek, 2007), dalla “creatività sintomo, pur sempre condizionata dalla fissazione inconscia, alla creatività sublimazione, che soffoca certe spinte vitali e non riesce a canalizzare totalmente il torrente pulsionale nella creazione” (pp. 85-92). Com’è risaputo, la sublimazione, classicamente, rimanda alla deviazione, alla difesa, in breve, ad un tentativo di supplire un percorso sessuo-aggressivo incompleto che, decurtando la vita stessa del sano appagamento fisiologico, dato dalla distensione dell’oscillazione pulsionale, in impasto-disimpasto continuo, si sposta spesso nel culturale/artistico, o in una spiritualità che diventa protagonista, magari sfumata nel religioso.

Mi era già capitato di allargarmi dal campo analitico a quello artistico, per cercarvi  manifestazioni di creatività benessere. E avevo avuto la fortuna di imbattermi in una bella testimonianza, nell’opera pittorica di Enza Prunotto (Arturin.it), in occasione di un lavoro sulla “trasformazione artistica” dopo la rielaborazione di lutti (cfr. Arte e Psicologia, Diritto al cuore. Percorsi di elaborazione del lutto tra arte e vita, 2009). Quest’artista contemporanea ci ha fornito qualche matrice della sua trasformazione artistica (in Anamorphosis, n. 8, pp. 23-32), addirittura filogenetica, legata al “trauma” (eccidi e violenze subite da antenati, nell’abitazione familiare) ed alla ‘soddisfazione e al benessere’ (scoperta di antenati già pittori-professionisti), regalandoci dei dati, tratti da una sua ricerca genealogica che, alla fine, come racconta la stessa Prunotto, le hanno dato anche la “consapevolezza di essere veramente un’artista, come già evidenziavano le sue opere”. In quel contesto artistico, la mia disanima si era ovviamente concentrata sulle opere, esplicitandone l’evidenza trasformativa in gruppi di pitture osservate dinamicamente.
Rimaneva (dal punto di vista del mio desiderio) la possibilità di incontrare tale trasformazione, approdando ad un utilizzo ‘naturale’ di creatività benessere con il suo sposalizio pulsionale di vita e creazione, anche nella ‘vita reale’ di qualche artista, per evidenziarvene, eventualmente, la coerenza di manifestazione.
Intanto, avevo ulteriormente approfondito, ancora con il collega Daniel Lysek, la disquisizione sul “benessere nell’arte” in un primo lavoro del 2009,“L’attività creativa nella preistoria: un’espressione di tracce di benessere?”(in BCSP, “Definire l’identità” pp. 61-70, 2010),  ricercandone eventuali matrici, che si erano addentrate sino all’arte rupestre. In un secondo convegno di Arte preistorica (2011), appoggiandoci ad una competenza archeologica, abbiamo riproposto la nostra ipotesi della presenza di una “creatività benessere”, già in certe pitture rupestri del paleolitico, cominciando a verificare, in quell’occasione, la nostra idea. Per chi volesse godere dei reperti, inseriti nella loro globalità e bellezza di immagine, forniteci dall’archeologo Pietro Rossi, può richiamare on line l’articolo, “Arte, comunicazione e benessere”, (14 ottobre, 2011, Scienza e Psicoanalisi, Osservatorio; l’articolo è pubblicato anche nei Pre-atti del XXIV simposio della Valcamonica, dalle Edizioni del Centro, pp.180-187). Si possono poi consultare in Anamorphosis, n. 9 (pp. 35-69), altre immagini, frutto anch’esse di una collaborazione psicoanalitico-archeologica, introdotte in un lavoro sull’Ibrido, che viene presentato come “punto di forza e integrazione”, andando oltre l’interpretazione basata sul solo ‘conflitto’. Si tratta sempre di materiali che, alla fine, rimandano alla trasformazione del modo di ‘sentire’, come presupposto coerente di un nuovo modo di ‘essere’, anche nella vita di realtà, in cui un benessere sia di nuovo operante o sia riconosciuto tale, per la prima volta…

Nel frattempo, in modo del tutto naturale e senza che se ne intessesse un obiettivo specifico (così credevo!), era già iniziato il mio incontro con Artemisia Gentileschi, leggendone e lasciandomi assorbire dalle opere, inizialmente, di Giuditta e Oloferne in molteplici versioni, che consideravo solo dal punto di vista del “trauma subito” dalla giovinetta, uno stupro giovanile. Pensavo che, quel soggetto biblico, quasi ossessivamente ripetuto, fosse servito alla persona violentata e offesa per “ribaltare” l’affronto, riprendendosi la sua rivincita, come ne scrive Graziella Magherini (2002, pp. 42-49) che, riferendosi all’“eterno conflitto scissione-integrazione” parla, appunto, di “un tentativo di scaricare la tensione” che già si innestava “nella perdita precoce della madre”: dunque, un “trauma che opera continuamente (…) in un’identità costruitasi attraverso ampie oscillazioni fra scissioni, dissociazioni e integrazioni”. Poi, procedendo nella conoscenza dell’artista, ormai conquistata dalla sua eccellenza pittorica, esteticamente appagante e viva, comincio anche a scriverne qua e là nella mia bacheca di Facebook, ormai certa che “Artemisia non dovette mai entrare dalla porta di servizio delle arti figurative”, come viene introdotta (p.15) da Roberto Contini e Francesco Solinas, curatori dello splendido catalogo Artemisia Gentileschi. Storia di una passione.

Artemisia Gentileschi, Judith Beheading Holofernes , oil on canvas, 158,8 x 125,5 cm, Museo Nazionale di Capodimonte, Naples

Ed ecco che, alla mostra a Milano (Palazzo Ducale, Artemisia Gentileschi. Storia di una passione, 22 settembre, 2011- 29 gennaio, 2012), incontro documenti inediti dell’Artemisia ‘donna’, come quelle “Cinque lettere a Francesco Maria Maringhi” (1617…1648)” di cui ci ragguaglia Francesco Solinas (in Catalogo, p.144-149). Si tratta di una “passione fisica assai sensuale” con parole intense e tenerissime: “mio carissimo core… io vorrei che voi veniste qui quanto prima…”. L’amante,un “gentiluomo fiorentino” è anche amico di Artemisia, prodigo estimatore, garante dei suoi ritardi nel consegnare le tele al committente e persino capace di appoggiare economicamente gli sposi Artemisia- Pierantuono e relativi figli. Queste cinque lettere sono “le uniche interamente autografe, missive sgrammaticate”, perché l’artista, “colta autodidatta” di grandi letture, come le Sacre Scritture, da Ovidio  a Petrarca, dall’Ariosto, al Tasso…, “non era stata educata alla scrittura, come molte donne del tempo, anche di rango elevato.”. Solinas, riferendosi, ad esempio, alla quarta lettera, ne parla come di “uno straordinario canto d’amore sensualesconvolgente ed esplicita dichiarazione del desiderio, inaudita per quell’epoca”: la  riporto com’è scritta, per renderne l’immediatezza: “Core, io o ricevuto da Vostra Signoria una di quelle che son il refrigerio che mi fanno ritornare da morte a vita, che se vi fusse noto la legreza che io sento, io credo certo che se vero che mi volliate bene voi parareste di alegreza (…) sapete puro che so vostra sin’a che durarò avere fiato. Io no mi strugo se non di non vedervi appresso (..) Quando che Vostra Signoria verrà a casa mia, vedrà che è una casa da vedere e da starci un galantuomo.”. 
Non solo passione ma anche rivelazioni sulla riuscita professionale dell’artista: le lettere di Artemisia “mostrano il carattere della donna e spiegano la sua arte: “io sto benne, so camminata per una bonna via ho lavori per il duca di Baviera  per uno gran pezzo e sina adesso ce ho fatto due quadri con gran soddisfazione di detto duca e si tratta che io abbia andare la co’ mille scudi di provvisione. Ma ho da lavorare più di uno anno qui in Roma e mi paga a misura di carbone.”. Queste lettere, esposte alla Mostrafanno parte di un “carteggio di 36 missive, scritte da Firenze, Prato e Roma, dalla donna all’amante e dal marito, “complice e factotum”, come ne scrivono Roberto Contini e Solinas, nella Premessa al Catalogo (pp.13.15). Pier Antonio Stiattesi, anch’esso pittore, forse, “non era all’oscuro del grande amore che univa la moglie al ricco fiorentino, tenuto al corrente dei progressi dell’amata, scusandola anzi “se non scrive perchè ha tanto che fare e tanti lavori…”. Così, mentre la pittrice invia all’amato “lettere emozionate, non senza un certo sussiego, il marito Pierantonio informa Maringhi dell’eccezionale successo riscosso dai dipinti della moglie”, come ci racconta Solinas in “Ritorno a Roma” 1620-1627 (pp. 79-95) e, altrove, sotto pseudonimo chiede persino aiuto e appoggio, a proposito di certi affari. “Il carteggio è univoco, scrive Solinas, e non include le risposte del nobile amico all’artista e al marito” con cui, a partire dal 1623, Artemisia non appare più abitare, così che dell’uomo si perdono le tracce, come si può ben vedere, scorrendo l’Appendice I (pp. 258-269), di Michele Nicolaci, “Profilo bibliografico di Artemisia Lomi Gentileschi (Roma 1593-Napoli dopo il 1564)”.
Il matrimonio, “combinato dal padre per ridarle l’onore” (Signorelli, 2011, p. 30), dopo lo stupro e il processo, è comunque di affetto, solidarietà reciproca e presto generativo; indirizza quindi su “canali regolamentari”, come scrive Roberto Contini in “Fino a qual segno giungesse l’ingegno, e la mano d’una tal donna”: Geografia e rango di Artemisia Gentileschi” (pp.36-49). Di questa unione e altro disserta Agnese Signorelli (2011) che, dopo aver letto il romanzo La passione di Artemisia di Susan Vreeland, cerca poi di “individuare le dinamiche psicologiche” (p. 18) dei rapporti significativi intessuti dall’artista: “Artemisia sposa un uomo che non ama, ma le risolve il problema dell’onore macchiato”, scrive. “La vita coniugale inizia e procede in modo tranquillo con affetto e senza amore, in prudenza”, come da suggerimento di suor Graziella, del convento della Santissima Trinità di Roma, che ha con lei “un rapporto come tra madre e figlia (p. 23)” e molto l’aiuterà a sopportare l’onta del processo con il disprezzo del pubblico e le calunnie. “Il marito non sa neanche che la moglie è una pittrice!”(p. 31). Ritiene che certe sue conoscenze sulle cose della pittura siano solo frutto di “nozioni” apprese nella bottega del padre. Solo poco alla volta ne scoprirà la superiorità artistica, ciò che per Signorelli, disquisendo freudianamente, sarà, per l’uomo di tradizione, “un’offesa, un attentato alla sua dignità. (p. 37) (…) E’ inconcepibile, ne scrive, per un uomo e, sul piano degli affetti, ha conseguenze che non è in grado di sostenere” (p. 39). Così, riportando un brano del romanzo di Susan Vreeland: “Cosimo dé Medici, di fronte alla  Giuditta che decapita Oloferne esclama: Qui, in Artemisia Gentileschi Lomi, troviamo riunite la mente  razionale di un uomo e la mano sensuale di una donna”, Pietro, scrive Signorelli, non può ammetterlo”(p. 41) e se ne sente “umiliato… oltraggiato” (p. 37), sente “invidia” (p. 33), forse persino disagio sessuale (p.37), di fronte alla “mancata soggezione (p. 38)” della donna all’uomo.
Questo, è, naturalmente, il punto di vista di un maschile ma anche di un femminile, identificatosi con ‘la voce del padre’. Forse una donna con una rielaborazione di animus e anima, integrati (già di junghiana memoria ma anche di freudiana e fantiana memoria quando viene indicato di tradurre il ‘tabù dell’incesto’ in ‘desiderio d’incesto’per immettere libertà nel rapporto uomo-donna) potrebbe avanzare nel discorso e dire, ad esempio: “possono esserci in chiunque punte di eccellenza, in svariate combinazioni, cerchiamocele, al di là delle competizioni”. E, per associazione di idee, mi  fa piacere ricordare l’invito che il Prof. Nicola Peluffo, maestro di tanti di noi, mancato da poco, sottolineando il mio tentativo già in corso, aveva invitato le donne analiste di una riunione, ad elaborare i propri vissuti femminili, così carenti in una letteratura identificatasi, appunto, con la voce maschile. Un bel ricordo…
Scrive ancora Solinas, parlando dei rapporti della Gentileschi con il marito in  “Ritorno a Roma: 1620-1627” (pp. 79-95): “Mantenuto dalla pittrice, Pierantonio era un compagno leale (…) e Artemisia sembra  sinceramente affezionata al padre dei suoi figli. Stiattesi si occupava di lei con attenzione, la proteggeva ed era il più comodo garante (..)  d’ogni azione (…)  di quella donna battagliera di cui si sfogava con l’amante di lei, Francesco Maria (una passione travolgente), il ricco gentiluomo suo coetaneo, brillante erede di un’antica famiglia dell’aristocrazia fiorentina, alleata da generazioni ai Frescobaldi, di cui si era perdutamente innamorata ed era corrisposta (…). I due, (Artemisia e Maringhi) si incontreranno, a detta di Solinas, sempre più di frequente, sino alla fine delle loro vite (…). A Napoli, nel 1635 (…) la quarantunenne Artemisia è vicina al suo uomo, e forse addirittura sposata a lui in segreto”. Rimane traccia anche di una “lite furibonda, in una lettera del 12 settembre 1620, l’ultima conservata, con accuse all’uomo di volerle sottrarre i suoi beni”. Amore quindi che contempla anche i suoi sani momenti di incomprensione.
Dunque, tale carteggio e altri documenti,  ritrovati recentemente, svelano di Artemisia le caratteristiche pulsionali, libidiche, ma anche quelle aggressive con tanta rabbia contro lo stupratore e rabbie caratteriali, in generale, con comportamenti di rivalità e liti accanite, nei confronti del padre Orazio, “accusato, scrive Signorelli (p. 22), di non aver valutato le conseguenze della denuncia, dando più importanza ai quadri che alla figlia”, con furti documentati e avidità di possesso di beni, presa in giro di personaggi importanti, ritratti in alcune opere, tra cui Ester e Assuero, (Metropolitan Museum of Art, New York ) in cui, scrive Jesse Loker, tradotto da Arianna Ghilardotti (p. 192): “Si direbbe che Artemisia prenda gentilmente in giro il re, mostrando una sorta di scherzosa irriverenza”Finalmente, con questi nuovi dati, mi rappresento la Gentileschi con la sua realtà umana fatta di sfaccettature conflittuali/traumatiche e di benessere: bambina già appassionata, pittrice di istinto e di bottega, donna offesa, madre che gestisce e genera quattro figli, due maschi e due femmine (tutti nati nei sette anni trascorsi a Firenze) di cui tre muoiono. Artemisia vivrà con la figlia Palmira, chiamata anche Prudenzia, anch’essa pittrice, fino al matrimonio della stessa in cui viene nominata una certa Prudenzia, che potrebbe anche essere nata durante il soggiorno napoletano, intorno al 1630 (?). Artemisia, dunque, è donna di grandi sentimenti: ama, riamata, ed è anche una madre, caduta in “una profonda depressione, dilaniata dal dolore”, per la perdita della piccola Lisabella, l’ultima nata e di Cristofano di cinque anni, la cui morte nell’aprile del 1620, è anche annunciata da una “straziante lettera a Francesco Maria” (Appendice, p. 262)…. . Francesco Solinas ne scrive (p. 85): “Artemisia dipingeva  giorno e notte, cercava di superare il dolore per la scomparsa del figlioletto, mentre vinceva la partita d’onore e di bravura con il padre”.Tutti e tre i figli, comunque, dai documenti ritrovati, risultano defunti, in data 1621.
Tutto ciò, dicevo, mi ha permesso di continuare la mia osservazione e riflessione sulla creatività e sul processo di “elaborazione ricombinativa” che, adattandosi al linguaggio in uso nella persona, in questo caso, artistico,  assembla traumi e conflitti con informazioni di benessere, tracce cioè più legate alla vita. Così, poco alla volta, ho esaudito il desiderio di fare un discorso globale persona-artista, per cercarne un’evidenza di eventuale coerenza.
Di qui, il titolo “Artemisia  Gentileschi: donna e artista in coerenza di manifestazione”.
In Artemisia, ho infatti trovato una persona che si esprime in coerenza con l’eccellenza del suo talento artistico, palesatosi prestissimo in “Susanna e i vecchioni” di Pommersfelden, dipinta nel 1610, a diciotto anni, con autocertificazione, oggi si dice, a torto, interpretata come opera del padre Orazio e l’ammissione a soli “ventun anni, prima donna nella storia, alla fiorentina Accademia del Disegno, fondata da Giorgio Vasari”, come racconta, Domenico Piraina, Direttore di Palazzo Reale, nel Catalogo della Mostra (2011, p. 9). Non solo passione e talento, “caratterizzata, da una precisa e spiccata individualità”, ma anche capacità imprenditoriale che la porta a comperare case, arredi, farsi e disfarsi di debiti (accusata anche di appropriazioni indebite), cercare committenze, accettare amicizie e aiuti (in primis, Suor Graziella, a lei affidata dopo la morte della mamma) di personaggi influenti e significativi nell’alveo culturale del suo momento, come Michelangelo Buonarrotti il Giovane, Galileo Galilei, che appare come un’amichevole confidenza,  Cosimo II de’ Medici, Carlo I d’Inghilterra… . Una donna artista di pregio che, come ne raccontano Roberto Contini e Francesco Solinas (in Catalogo, cit. p. 15) dimostra di “riuscire bene nel proprio mestiere”, non facendosi deviare dal trauma della vergogna subita con uno stupro e il successivo processo e tortura, ma di aver saputo ben reagire, sfruttando certe altre possibilità nel suo interno. Una buona resilienza che la porta ad una capacità di avviare il processo di “elaborazione ricombinativa”, come ne ho parlato nel n. 7 di Anamorphosis (pp. 24, 25, ripreso nel 2010, nel paragrafo, “Tracce di benessere e resilienza”, p. 44. La scoperta dell’inconscio, Pre-Atti, IIM).  Vi approderemo, alla fine, come clou del mio discorso.
Scorriamo ancora qualche dato sulla vita di Artemisia, sintetizzata nel titolo che ho dato a questo lavoro. Nata a Roma nel 1593, Artemisia è la figlia primogenita di Orazio Lomi, pittore toscano che, a Roma, riprende il cognome completo della famiglia Gentileschi de Lomis come farà la figlia durante il soggiorno in Toscana, documentabile tra il 1613 e il 1620. Di fratelli ne nasceranno altri cinque, Francesco, Giulio e Marco, di cui gli ultimi due, con lo stesso nome Giovanni Battista, moriranno precocemente. La madre è Prudenzia Montoni, che morirà di parto, trentenne, quando Artemisia ha circa 12 anni, avviandole una dimestichezza precoce con il lutto, pur alleviato dalle cure amorevoli di suor Graziella che tanto l’aiuterà anche durante il processo.   Artemisia si rivela fin da subito una straordinaria artista, abbeveratasi nel clima caravaggesco, ma con un naturalismo più passionale e sensuale che tenta di narrare “in termini audaci e intransigenti”, come ci ragguaglia Judith Mann, in “Artemisia Gentileschi nella Roma di Orazio e dei Caravaggeschi”: 1608-1612 (Catalogo, pp. 51-61): “Fu per mezzo del padre Orazio che Artemisia arrivò a comprendere e ad adottare il severo naturalismo di Caravaggio (…) che,  nello specifico, non dipinse mai nudi. La chiave del disagio psicologico e dell’angoscia dell’eroina per l’impotenza che Artemisia riesce abilmente a trasmettere nella sua interpretazione della vicenda di Susanna e i vecchioni  (Nel libro di Daniele, la bella matrona Susanna viene effettivamente molestata da due intrusi che, alla fine, verranno mandati a morte) sta proprio nello spietato naturalismo della sua rappresentazione del nudo femminile dove il seno e l’addome, insolitamente naturalistici, sono probabilmente stati osservati nella sua immagine riflessa in uno specchio”, senza celare imperfezioni per spirito d’idealizzazione.
Artemisia comincia a lavorare nella bottega del padre a undici o dodici anni e, con la morte della madre (1605) dovrà collaborare anche alla gestione delle incombenze domestiche. “Il padre, comunque, aiuterà e dirigerà sempre da vicino la carriera di Artemisia.”(p. 55). Nella sua bottega, Artemisia diventa molto abile come è dimostrato, ci dice Mann “dai pochi esempi di figure femminili in movimento o sdraiate, databili, prima dell’evento determinante della sua giovinezza: lo stupro da parte di Agostino Tassi, un collega del padre”, nascostamente già sposato, che, promettendo di sposare la giovane, continuerà la relazione con lei per altri 9 mesi. L’evento, molto edulcorato, è stato protagonista di un film, romanzato: Artemisia Passione estrema di Agnès Merlet (1998). Segue un processo durato un anno con l’ingiustizia di un tentativo di estorcere una confessione con la tortura delle dita, una specie di macchina della verità e la verifica, pubblica, della perduta verginità. In questo periodo di patimenti, Artemisia incontra l’ambivalenza del padre con l’imposizione di questa denuncia del Tassi di cui il padre, al di là della figlia offesa, vorrebbe forse vendicarsi, sia per la sottrazione di un dipinto, sia per la probabile perdita di possibili commesse, dato il disonore familiare. Artemisia subisce anche il clima di cattiva reputazione, nonostante la condanna all’esilio del Tassi, che non scontò mai la pena e riapparirà più in là, fantasma, nella vita dell’artista, sempre più famosa e richiesta. Qui cominciano a nascere, “con una grande resa della figura umana in azione”, quelle Giuditte (la bella vedova di Betulia) che tagliano la testa ad Oloferne (generale assiro, affascinato dalla bellezza di Giuditta che cena con lui, lo ubriaca e, con l’ancella, gli taglia la testa), di cui esiste una vasta letteratura “che associa il dipinto all’esigenza di vendetta” (p. 58). Le due raffigurazioni di Artemisia e Caravaggio sono le più cruente tra quelle che, solitamente, hanno espresso “la fase successiva al taglio della testa”, anche se non è provato ed oggi è oggetto di riflessione, se davvero Artemisia avesse visto il dipinto di Caravaggio, restandone influenzata. Nella sua tela, ci sono, scrive Mann, “due donne che, unendo le loro forze, sopraffanno un soldato muscoloso”. Nel Caravaggio, invece, il contenzioso si gioca tra l’uomo e la donna.
Andiamo veloci: Artemisia, prima mi era interessata per quel suo tentativo di  ammortizzare lo stupro, dipingendo n volte Giuditta e Oloferne, nella ricostruzione psicoanalitica di Graziella Magherini, poi ne avevo letta una bella seconda ricostruzione, questa volta di impostazione lacaniana sul filo “del nome del padre”, fatta da Agnese Signorelli: Artemisia La passione per la riuscita (2011). Qui, ne avevo apprezzata l’idea di un tentativo infine riuscito di riconciliarsi definitivamente con il padre reale e, di qui, avevo pensato, con l’immagine del ‘padre ingiusto’, dentro di lei, secondo il nostro pensiero micropsicoanalitico, per cui, ritirata la proiezione si può cominciare a fare finalmente i conti con l’interiorizzazione delle ingiustizie subite che ci comandano, condannandoci a ripetere, ad libitum, cose incresciose, mettendole in scena in svariati modi, a seconda della creatività di ciascuno. Sta di fatto che, si può presumere a ragione, quell’immagine l’abbia accompagnata da Roma (1593-1611) a Firenze ( (1613-1620), e ancora Roma (1620-1626), da Venezia (1627-1630) a Napoli (1630-1638),  alla Corte del Viceré,  fino a Londra (1638-1640) e alla Corte di Carlo I… (Dalla documentazione in Appendice del Catalogo).
“Maritata la figlia, nel 1626 raggiungeva il padre a Londra”. Di qui, fino  al 16 dicembre, 1639, “mancano evidenze sulla presenza di Artemisia a Londra” (p. 266). Forse ha lavorato ancora con il padre che muore il 7 febbraio, “scambiandosi l’un l’altra, si immagina Signorelli, l’amore per l’arte e la pittura. Entrambi vi hanno dedicato tempo, affetti ed energie… con soddisfazione” (p. 87).  Gentileschi Lomi, nel desiderio della Signorelli che incrocia verità storica con il romanzo letto, “ha fatto un suo personale percorso nei venticinque anni trascorsi”(p. 83), continuando però sempre ad “apprezzarla come artista” (p. 84). Infine, verrà perdonato dalla figlia: in un bel finale a sorpresa, nell’accattivante  ricostruzione di Agnese  Signorelli, in Artemisia. La passione per la riuscita, la   figliascoprirà la presenza, nella stanza del padre, di tante cose che l’avevano riguardata come donna, madre e artista, riavvicinandosi così al proprio padre. Leggendo, mi ero gustata il piacere della condivisone,  finalmente, verso “la guarigione” (p. 91)… da ogni rancore. E questo riguarda ogni momento di vita in cui avvenga la riconciliazione con qualche sfaccettatura dell’Immagine.
Eccomi giunta a sintetizzare questa storia, apparentemente intricata, in realtà, ora, ben comprensibile, dopo tante scoperte di materiali inediti, con alcuni autoritratti emersi da poco e molti altri documenti che potrebbero riapparire. Ne darò dunque una mia lettura: Artemisia, precocemente orfana di madre con fratellini morti anch’essi, stuprata da ragazzina, umiliata anche pubblicamente, amareggiata dal rapporto di incomprensione con il padre, pur se estimatore del  talento della figlia, agganciata ad un matrimonio riparatore, di solidarietà ma senza amore, madre affranta per la perdita di ben tre figli su quattro, costretta a nascondere socialmente il rapporto appassionato con l’uomo della sua vita, avrebbe potuto fissarsi, anche per sempre, su questi aspetti traumatici e inutilmente tentare di scaricarne la tensione. Invece riesce ad accompagnarsi ad una madre sostitutiva, suor Graziella, che l’ama e la protegge come una figlia, abita con l’amata figlia Palmira, si imbatte e riesce a viversi un buon amore ricambiato, diventa famosa, ordendo da se stessa, il suo successo come una vera imprenditrice, mentre accetta anche tutti gli aiuti che le vengono dati, nel corso della vita, con i molti incontri autentici di amicizia, protezione, affetto e stima che attutiscono i cattivi ricordi. Ancore di salvezza che diventano movimenti positivi e propositivi che vanno nel senso di tentativi di creare e vivere, in buona interazione e coerenza. Un altro esempio, dunque, di un benessere raggiunto seguendo la strada dell’elaborazione ricombinativa: non facile, non breve, non lineare ma… possibile, talvolta spontaneamente, nella vita e nell’arte e, certamente, rintracciabile nel lavoro analitico, verificato nell’osservazione postanalitica..
‘Incontri buoni’ dovuti al caso, questi di Artemisia? No, caso relativo…
Come è stato possibile tutto ciò, mi sono chiesta? Come è stato possibile, andare oltre i traumi, oggettivamente subiti? Senza fissarsene? Se ne fosse stata fagocitata, implodendovi, l’artista non avrebbe potuto né amare, né farsi amare, né aiutare né farsi aiutare. Avrebbe solo potuto ritessersi situazioni negative, mortifere. Cosa che non accadde. Dunque, assumo che qualcosa abbia pur funto da resilienza, qualche traccia di benessere, più vecchia dei traumi, deve aver funzionato da richiamo, fino a tornare alla luce, mettendo in moto una ripetizione di motivi di vita, più forti delle coazioni a ripetere, legate alla morte e alla distruttività. Un’elaborazione ricombinativa, dunque, di motivi mortiferi con altri  vivifici che, ad un certo punto, diventano maggioritari facendomi dire che Artemisia Gentileschi, nonostante certi nefandi eventi della sua vita, abbia pur vissuto e creato anche nel benessere, così che, per la Signorelli, ed io ne concordo, si tratta di una “donna pienamente realizzata” (p.19) nei rapporti affettivi e in quel suo sano tendere ad auto affermarsi, coltivandosi professionalmente per averne successo  e stima.

Coordinate di benessere: Artemisia nasce sicuramente predisposta, per caratterialità, ad affrontare i problemi. E’ stata generata da una madre e un padre di cui, qui e là, si trova traccia d’amore o quanto meno di una felice unione. Anche Agnese Signorelli lo pensa perché fa trovare ad Artemisia, vicina al padre morente, una lettera della madre Prudenzia, conservata da Orazio: “Cerca di fare in modo che Artemisia abbia un matrimonio felice come il nostro” (p. 86). Si potrebbe dire che i successivi aiuti e buoni incontri, siano andati in questo senso. Come riattualizzazioni. Inoltre, la giovine si presenta alla vita con l’ottima eredità del talento e l’affermazione della famiglia Lomi e, tra i suoi fratelli, è quella da subito portata dal padre nella bottega, dove cresce tra colori, pennelli e preparazione di cartoni e disegni: una donna antesignana, coraggiosa e battagliera, nel tempo, sempre più fiera e consapevole di sé e delle sue possibilità, dotata sicuramente di autostima.

Finisce qui la mia ricerca su Artemisia; mi ci congedo, invitando a prendere contatto con le  eroine, disseminate nella sua pittura e qui nominate senza un ordine cronologico: le diverse Giuditte, le due Susanne al bagno, la fantesca Abra, le varie Vergini che allattano il bambino con certe difficoltà degli sguardi che si incrociano, come a testimoniare l’ombra, in Artemisia, legata alla maternità, Santa Caterina d’AlessandriaGiaele, Danae, leMaddalene, le CleopatreBetsabeaGiaele, Ester, la Dama con ventaglio, la suonatrice,  l’allegoria della Fama, la Giustizia e la PaceClio, Dalila, la musa della Storia, la samaritana al pozzo, la ninfa CorsicaMinerva… espressioni di un femminile variegato, protagonista e presente, come un’eterna riattualizzazione dell’immagine della Grande Madre, donna completa.

Daniela Gariglio ©

 Note:

A partire dal nostro libro di base: Gariglio, Lysek, Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi (2007),il discorso sulle “Tracce di benessere nell’inconscio,  sulla Creatività benessere e il Processo di elaborazione ricombinava” è proseguito in una serie di lavori di cui è in corso di stesura una scheda bibliografica. Ne anticipo le tappe salienti del mio punto di osservazione e alcune indicazioni bibliografiche comuni.

  • Gariglio D. (2002-2007). Creatività e libertà postanalitiche: un confronto con la realtà”, Convegno Arte e follia  e “Dal malessere all’elaborazione di una creatività appagante: un percorso analitico”, Convegno Creatività e Clinica, Atti del Bollettino IIM, a cura di Luigi Baldari, Alpes Italia, n. 39, in corso di pubblicazione, 2012.
  • Gariglio D. (2009-2010-2011-2012), in Anamorphosis,  n. 7-8-9-10, a cura di Wilma Scategni e Stefano Cavalitto, Ananke, Torino.
  • Gariglio D. (2010-2011), in Osservatorio, Scienza e Psicoanalisi,10 febbraio 2010 e19 dicembre 2011.
  • Gariglio D. (2010). “Tracce di benessere nell’inconscio”, in La scoperta dell’inconscio, Capo d’Orlando, Settimana della Scienza. Università Degli Studi di Messina, SIM: XII.ma ed. Giornate Siciliane di Formazione micropsicoanalitica. Pre-Atti, IIM, pp. 39-47.
  • Gariglio D. (2011). “Verità come coerenza rappresentazionale-affettiva in un continuum psichismo-realtà”, in Verità e realtà psichica, Settimana della Scienza. XIII.ma ed. Giornate Siciliane di Formaz. IIM. Atti previsti.
  • Gariglio D. (2011 ). “Scrivere a quattro mani e in due lingue: folie à deux o eccellenza sinergica?”, in Education et Sociétés PlurilinguesEducazione e Società plurilingui. Aosta, pp. 82-88.  (CIEBP: www.cepib.com) .
  • Gariglio D. Energie ricombinate e nuovi destini. Torino: Antigone, in pubblicazione.
  • Gariglio D. & Lysek D. (2009) in Osservatorio, Scienza e Psicoanalisi, 19 e 20 marzo.
  • Gariglio D.& Lysek D. e Rossi P. (2011). “Arte, comunicazione e benessere”. (XXIV Valcamonica Symposium, Art and Communication in Pre-literate Societies, luglio, 2011). Pre-Atti del Centro Camuno di Studi Preistorici, pp. 180-187.  (Cfr. Osservatorio,  Scienza e Psicoanalisi, novembre, 2011).
  • Lysek D. Gariglio D. (2009), “L’attività creativa nella preistoria: un’espressione di tracce di benessere?”, XXIII Valcamonica Symposium, 31 ottobre, Convegno Internazionale di Arte Rupestre, sessione: Arte preistorica e psicoanalisi, in BCSP Definire l’identità, Edizioni del Centro, 2010, pp. 61-70.

Le  notizie su Artemisia Gentileschi le ho tratte  principalmente dal Catalogo della Mostra: Artemisia Gentileschi: Storia di una passione, Milano, 2012, basandomi soprattutto sugli interventi di Roberto Contini e Francesco Solinas, Judith W. Mann, sull’Appendice di Michele Nicolaci. Cfr. anche Resilienza creativa in momenti di crisi, Milano Bicocca, due Incontri di chiusura della Mostra, dedicata ad Artemisia Gentileschi, 20 gennaio, 2011 e il filmArtemisia. Passione estrema di Agnès Merlet (1998). Si può anche consultare, Roberto Longhi, Gentileschi padre e figlia (1916)con uno scritto diMina Gregori. 137, Carte d’Artisti, Fondazione di Studi di Storia dell’Arte, R. Longhi. Abscondita, Milano, 2011.

Per un discorso psicoanalitico su Artemisia ho consultato i due testi:

  • Magherini G. (2002). “Le auto rappresentazioni di una donna del XVII secolo”, pp. 33-53. In: Berti L., Magherini G., e Toraldo di Francia M., a cura dell’Associazione Arte e Psicologia (International Association for Art and Psycology (IAAP), gruppo di studio interdisciplinare, Artemisia Gentileschi nostra contemporanea. Firenze: NICOMP  L.E.
  • Signorelli A. (2011). Artemisia. La passione per la riuscita. Milano, Ed. Odon.

Cfr. anche, Gariglio (2011), nota 5, parte prima di: “Identità e trasformazione. La tessitura di un “proprio originale”, presupposto di incontri adulti”,  Osservatorio, Scienza e Psicoanalisi

Riassunto:

Il presente  lavoro vorrebbe  indicare, in un’ipotesi interpretativa, la vita di Artemisia come un ‘tentativo riuscito’ di un  percorso esistenziale/artistico in cui si ravvisa un’avvenuta RICONCILIAZIONE tra tracce traumatiche e tracce più legate alla vita e alla creazione, “elaborate e ricombinatesi”. Alla fine, l’artista si integra nella donna, in buona coerenza, producendo soddisfazione e riuscita di cui rimane traccia eterna. Un’artista da considerare, dunque, nella sua globalità di persona. La Mostra itinerante, il suo afflusso di visitatori e lo splendido catalogo lo testimoniano     

Parole chiave

Tracce di benessere nell’inconscio
Creatività benessere
Elaborazione ricombinativa
Resilienza