Ho sempre amato Jean Piaget, grande epistemologo, basò le sue ricerche su un genuino spirito epistemofilico, stimolando quello dei suoi piccoli intervistati.
Ancora adesso le batterie piagettiane, ricavate dai suoi studi, permettono meglio dei test standardizzati di indagare sulle modalità di pensiero del singolo bambino: la sua personale appercezione del problema, l’approccio ad esso, le strategie di risoluzione, non avulsi in sé stessi ma in stretta relazione con la struttura cognitiva globale del bambino, la sua “personalità” intellettiva.
Ci si può chiedere se nel mondo attuale, in cui quotidianamente il bambino è a contatto con realtà virtuali (televisione, videocassette, videogame), quanto delle ipotesi di Piaget sulla rappresentazione del mondo del bambino sia ancora attuale. Vale a dire: il bambino quale statuto di realtà dà alla realtà virtuale? E quindi: in un mondo in cui fin dalla più tenera età il bambino è immerso in spettacoli virtuali e, a volte, interattivi, che statuto di realtà dà alle immagini oniriche?
Piaget studiando le credenze infantili sul fenomeno del sogno individua tre stadi di comprensione e spiegazione, nel primo (5/6 anni) il sogno è considerato un dato esterno ed oggettivo: è un’immagine o una voce che viene a collocarsi, dal di fuori, davanti ai nostri occhi. “ Quest’immagine non è vera, nel senso che non rappresenta fatti reali, ma esiste obbiettivamente in quanto immagine: è esterna al fanciullo e non ha nulla dell’oggetto mentale.” 1
Prima di questa età il ricordo del sogno non è completamente distinto dai ricordi di veglia e, benché il bambino sia capace semanticamente di attuare una distinzione, dà ad entrambi uno statuto di realtà avvenuta.
È ancora valido questo nel 2000?
Un bambino di tre anni e mezzo, spaventato dal cattivo di turno di un cartone animato chiede: “Cornelius, è vero che non esiste?” Rassicurato dai genitori replica: “Certo perché esiste (nel senso: vive) solo lì dentro”, indicando la videocassetta. Cornelius esiste, è reale, per il bambino, è solo confinato in un luogo. Lo stesso bambino, qualche tempo dopo, piange per un incubo, il padre lo rassicura dicendo che le tigri che ha sognato non esistono; il bambino replica “Si, però loro mi parlano!”. Sembra fare una distinzione tra i personaggi che “non esistono” della videocassetta e i personaggi dell’incubo. Lo statuto di non realtà (ma abbiamo visto cosa significa questa non esistenza) viene dato a quelle realtà su cui si può incidere (la televisione si può spegnere); ma le tigri continuano a “parlargli” (cioè a manifestarsi), anche se lui non vuole: è una realtà diversa, l’evidenza percettiva prevale sulle spiegazioni e le rassicurazioni dell’adulto e il bimbo considera l’evento reale.
Nel 1992 seguii le tesi di laurea di Anna Astesana e Valeria Marchisio riguardanti una ricerca sperimentale sui sogni in età evolutiva. 2 Benchè datata, i risultati della ricerca hanno ancora un loro intesse. Il lavoro si basa sulla raccolta sistematica delle serie oniriche (per la durata di un anno scolastico) di bambini dai 5/6 anni (ultima classe della scuola materna) ai 10/11 anni (quinta elementare) per un totale di 74 bambini.
Prima della raccolta settimanale dei sogni è stata attuata un’intervista semistrutturata volta ad indagare la comprensione cognitiva del fenomeno sogno nelle varie fasce di età.
Da questa emerge come per i piccoli della scuola materna sia difficile la distinzione tra sogno e realtà. In prima elementare il sogno comincia ad essere considerato un fenomeno di origine interna, ma continua a mantenere alcune caratteristiche di naturalità, è un’immagine ma è un’immagine tangibile, con caratteristiche ancora esterne (come un film od una fotografia): il sogno è di origine interna ma si svolge all’esterno. Solo in terza elementare cominciano a comparire risposte relative al terzo stadio ipotizzato da Piaget: il sogno è interno e di origine interna. Solo in quinta però emerge il concetto di casualità dei sogni contrapposto alla credenza del sogno inviato come punizione o premio, credenza espressa dai bambini più piccoli.
Che tipo di sogni fanno i bambini?
Sono stati raccolti, in totale, 692 sogni, differenziati secondo il tono emotivo dominante. Il primo dato significativo riguarda la percentuale dei sogni a contenuto penoso: i sogni di angoscia e di paura sono il 45%. Se poi consideriamo i dati secondo le fasce di età si riscontra che la percentuale sale al 53% sia nei bimbi di 5/6 anni che nei ragazzini di 10/11 anni.
I sogni sono stati elaborati e catalogati con lo strumento dell’analisi strutturale, l’ipotesi era che tutti i sogni raccontati da un soggetto formassero una serie onirica, costituissero cioè un insieme di tentativi di elaborazione, preconscia ed inconscia, di un conflitto psichico o di una fantasia.
L’analisi delle serie oniriche ha fornito dati interessanti riguardo le situazioni emotive interne relative alle varie fasce d’età, in particolare rispetto alle due estreme (5/6 anni e 10/11 anni), dati che paiono confermare sperimentalmente quanto è stato ipotizzato rispetto al conflitto edipico ed al suo risorgere in fase puberale.
Nella prima fascia d’età il tono emotivo predominante e l’angoscia e/o l’aggressività. L’angoscia è raffigurata, in genere, dall’essere coinvolti in situazioni pericolose o nel trovarsi di fronte a soggetti pericolosi (ladri, mostri, fantasmi, animali feroci). Alcuni bambini reagiscono con atti violenti (azioni quali punire, distruggere, uccidere, picchiare). I sogni di aggressività agita sono il 18%, percentuale molto più alta rispetto alle altre fasce d’età. I sogni di aggressività agita diminuiscono bruscamente in latenza, bisogna arrivare ai 10/11 anni perché la percentuale si elevi non raggiungendo però il dato dei piccoli.
Tipici sono i sogni in cui uno dei genitori è in pericolo, sogni d’angoscia che celano l’agire di impulsi aggressivi edipici. Molti sogni lasciano trasparire situazioni chiaramente aggressive nei confronti di fratelli o sorelle minori. La situazione tipo è la seguente: vedere il proprio fratello in pericolo, intervenire in suo aiuto per salvarlo e punire i colpevoli. Questi sogni sembrano mettere in scena il conflitto vissuto dal bambino tra il desiderio di far sparire il rivale ed il senso di colpa per l’impulso aggressivo, senso di colpa che è all’origine dell’azione compensatrice.
Nelle bambine il sentimento di rivalità verso il fratello è spesso sostituito dal desiderio di “impossessarsi” di lui, sostituendosi alla madre.
In molti sogni compare il tema dell’intrusione (ladri, fantasmi, streghe che entrano in casa), sogni penosi nei quali il desiderio di intrudere viene proiettato all’esterno su un oggetto che ha caratteristiche persecutorie.
Anche nei ragazzini di 10/11 anni la maggioranza dei sogni è a carattere penoso (53%).
Uno dei temi ricorrenti è quello della trasformazione: tentativo di elaborazione delle trasformazioni psichiche e somatiche che, a questa età, cominciano a manifestarsi, soprattutto nelle ragazze.
Frequentemente ritornano situazioni come: trovarsi in luoghi sconosciuti o paurosi, manipolare oggetti anormali, indossare maschere, assistere a trasformazioni. Il tema della stranezza (trovarsi in posti strani, assistere a scene curiose o a cose bizzarre) sembra essere un tentativo visualizzare all’esterno le sensazioni perturbanti di un cambiamento interno.
Nei sogni si assiste anche al recupero e alla messa in scena di primitive fantasie infantile riguardanti la sessualità (sogni che, a livello simbolico, mettono in scena parti orali od anali).
Nelle bambine compaiono sogni in cui vengono assalite da animaletti fastidiosi che pizzicano e pungono, trasformazione ansiosa dello stesso desiderio, colpito dal divieto super-egoico, agente nei sogni delle bimbe di 5 anni riguardanti l’impossessarsi del bebè della mamma: il fratellino.
La ricerca, come ho già detto, è datata, ma, che io sappia, attualmente le ricerche sul sogno, tranne quelle neuropsicologiche, sono considerate fuori moda, così come la modalità di ricerca di Piaget. Sempre più si cerca di catalogare i fenomeni segmentandoli, disinteressandosi, di fatto, della globalità dell’essere e dell’esperienza.
Il sogno è sempre più relegato nella stanza dello psicoanalista e anche lì spesso non è più considerato la “via regia per l’inconscio” 3 
Ma se quasi il 50% dei sogni di bambini normali sono sogni angosciosi, è lecito ritornare a relegare il sogno ad un epifenomeno? Se è cosi, saremo buoni studiosi, discreti ricercatori ma avremo perso il nostro spirito epistemofilico.

© Daniela Marenco

Note:

J. Piaget (1926), “La rappresentazione del mondo nel fanciullo”, Pag.101, Boringhieri, Torino 1966.  torna su!
Colgo l’occasione per ringraziare entrambe le studentesse, fu una ricerca molto laboriosa ed interessante e ricca di suggestioni. Quello che segue, per esigenze di spazio, è solo un sunto schematico.  torna su!
Un’eccezione è la micropsicoanalisi con le sue interessanti teorizzazioni sul sonno-sogno.  torna su!