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Lo spunto per questo articolo mi è stato dato da alcuni romanzi, in questo periodo molto in voga, che hanno come protagoniste giovani donne o tardo adolescenti e ne narrano la vita sessuale ed affettiva.
Ciò che mi ha colpita non è tanto la promiscuità dei rapporti o il linguaggio pesantemente gergale quanto il tipo di relazione instaurata con i vari partner. In generale il partner è uno sconosciuto, di cui molte volte non si sa neanche il nome, la protagonista lo sceglie e, in un secondo momento, nella sua narrazione, lo identificherà per una parte del corpo e questi o questa diventerà, nel suo immaginario e nelle sue fantasticherie erotiche, un tutt’uno con questa parte. Ecco che un personaggio è desiderato e riconosciuto per la sua bocca, un’altra per il suo seno e così via. Non esistono nomi ma soprannomi che si riferiscono alla parte del corpo investita dall’eccitazione.
L’oggetto della libido non è mai una persona nella sua totalità ma una parte per il tutto, significativo che la parte investita non è mai l’organo sessuale ma caratteri secondari e soprattutto la bocca e i denti.
Il rapporto sessuale è quasi inesistente e comunque non è fonte di piacere, piacere che è trovato nella masturbazione solitaria accompagnata da fantasie riguardanti le parti corporee investite.
Freud parlerebbe di perversione. Nonostante il termine sia caduto sempre più in disuso, lo riprenderei per sottolineare non tanto l’atto ma il tipo di relazione instaurata. Relazione estremamente arcaica in cui l’oggetto è un oggetto parziale, la scarica dell’eccitazione è immediata, non dilazionata né dilazionabile, il desiderio deve essere immediatamente soddisfatto senza alcuna empatia verso l’altro, dato che l’altro non è percepito come una persona altro da sé ma come un organo, un pezzo aggiuntivo di sé.
Questi romanzi non sono certo rappresentativi della sessualità di una generazione ma certamente in una frangia della popolazione giovanile si ritrovano queste fantasie ed agiti simili. Basti pensare all’adozione di un certo gergo (fino ad un certo tempo fa ristretto a certi gruppi maschili nei discorsi fra “maschi”) dalle adolescenti. Un esempio è la frase “Me lo sono fatto”, adottata , per osmosi tipicamente adolescenziale, anche da giovani ragazzine che intendono con questa frase l’aver baciato un ragazzo.
Voglio sottolineare: non mi scandalizza la frase in sé bensì mi preoccupa ciò che sottintende. Io “mi faccio” un oggetto (una macchia, un vestito), farsi una persona vuol dire possederla non entrarci in relazione.
Certo l’utilizzo di una frase non sottende desideri equivalenti, soprattutto se questa è diventata parte del gergo giovanile adottato, tout court, come differenziazione dal mondo adulto; è forse però utile riaprire i vecchi saggi sulla “devianza sessuale femminile” ormai chiusi da oltre trent’anni e , benché non abbia più senso parlare di devianza né tantomeno di delinquenza, può essere utile rivedere quali problematiche psichiche sono sottese a fantasie ed agiti sessuali di questo tipo.
P. Blos, in un articolo del 1957, parlando di “delinquenza femminile” introduce il termine di “acting-out sessuale” indicando con ciò una sessualità agita con vari partner senza alcuna vera connotazione di carattere affettivo. In un altro scritto definisce l’acting-out un regolatore della tensione, questo meccanismo protegge l’organismo dall’angoscia intrapsichica spostando il conflitto tra l’Io e il mondo esterno. La tensione conflittuale non viene elaborata psichicamente e tradotta in termini simbolici ma scaricata coattivamente con l’azione. In questo senso l’acting-out è una forma di negazione tramite l’azione.
L’utilizzo massivo di questo meccanismo impoverisce l’Io, diminuendone la capacità di attuare un corretto esame della realtà. I rapporti oggettuali ne risultano impoveriti, stereotipati.
Blos, nel 1963, scrive: “Il senso di realtà è disturbato in tutti gli individui che effettuano acting-out. (…) L’osservazione secondo la quale per l’individuo che effettua l’acting- out la persona verso la quale è diretto gioca un ruolo minimo o addirittura nullo, e che una persona può essere facilmente sostituita da un’altra, è un’ulteriore prova della primitiva organizzazione psichica a cui l’acting out è ancorato, riconosciamo all’acting-out un uso autoerotico del mondo esterno, che è sempre disponibile per momentanee ed immediate gratificazioni. Questa condizione è contraria alla gratificazione orientata verso l’oggetto. I veri rapporti oggettuali richiedono il riconoscimento e l’accettazione degli interessi personali dell’altra persona e si possono sviluppare solo all’interno dei confini del compromesso e dell’empatia. L’individuo che effettua acting-out al contrario si interessa al mondo esterno solo come oggetto parziale per alleviare la tensione.” 1
L’agito sessuale diventa una difesa coatta contro una spinta regressiva, la pseudo eterosessualità manifestata in modo eclatante ed esplosivo in realtà serve a gratificare desideri arcaici. Si tratta di una rimessa in scena di pulsioni aggressivo-sessuali di origine preedipica  basate su  desideri di possesso e di appropriazione. Il partner, a questo punto, perde ogni individualità, è un oggetto parziale che deve essere posseduto per mantenere l’illusione dell’onnipotenza narcisistica, illusione che rilancia l’azione in un tentativo continuo e coatto di sedurre e possedere  non  importa chi e perché.
Quando Freud parla di adolescenza come periodo di ritorno del rimosso e ricapitolazione dell’Edipo e definisce compito del travaglio adolescenziale la definitiva rinuncia alla sessualità infantile con la sottomissione delle pulsioni libidiche parziali  al primato genitale sottende anche la costruzione e stabilizzazione di un diverso modo di relazionarsi all’oggetto libidico ed al proprio corpo, nonché in generale alla realtà esterna.
La rinuncia alla bisessualità infantile ed alle fantasie inconsce ad esse connesse, comporta il riconoscimento del proprio corpo sessuato e dei suoi limiti assieme al riconoscimento della complementarietà dei sessi.
Queste modificazioni implicano degli importanti cambiamenti sul piano della ricerca dell’oggetto: da un oggetto con importanti connotazioni narcisistiche, usato come fonte di gratificazione narcisistica, si passa alla concezione di un oggetto diverso da sé. Ciò porta un affinamento dell’esame di realtà, il riconoscimento della realtà in quanto tale e per quanto possibile distinta dalle fantasie e dai desideri permette di conoscere l’oggetto reale esterno e di agire nella realtà per entrare in relazione con esso.
Solo se l’altro è vissuto come oggetto distinto da sé, non come possesso narcisistico, può instaurarsi un legame basato sulla comprensione (nel senso etimologico del termine com- prendere: prendere insieme) e del rispetto delle esigenze dell’altro. Stati d’animo questi che caratterizzano, riprendendo Novelletto, la relazione sessuale e la distinguono dal rapporto sessuale agito come acting-out motorio non elaborato.

© Daniela Marenco

Note:

1 P. Blos (1963) : Il concetto di acting out in relazione al processo adolescenziale in Blos “L’adolescenza come fase di transizione”, pag.178, Armando, Roma 1996. Back!