Print Friendly, PDF & Email

A proposito del mantenimento di un benessere: riflessione sulle nevrosi di fallimento e di destino trattate in analisi e cenni di osservazione in arte

(parte seconda)

““Le attuali persecuzioni  non dovrebbero piuttosto suscitare un’ondata di compassione in  questo paese?”
Freud, 1938

Nel tempo, ho evidenziato dinamicamente nuclei di benessere attivabili in un “campo analitico intensivo” con familiarità verso le trasformazioni insite nel processo creatore; ora ne sto riflettendo nelle nevrosi di fallimento e di destino dove il mantenimento di un naturale tendere al benessere evidenzia fluidità tra le sfaccettature dell’Immagine e avvenuta separazione analitica.
Intanto, per “familiarità”, intendo il ricordo di esperienze analitiche in certi momenti di pausa dell’oscillazione pulsionale dove sia stata protagonista la trasformazione dell’angoscia del vuoto in interesse per un vuoto gravido di potenzialità creatrici, riattivatesi in momenti di transfert positivi, come preludio di tentativi relazionali appaganti, nella vita di realtà. Si tratta del mettersi in moto di quel “processo di “elaborazione ricombinativa”, chiamato in Creatività benessere (Gariglio-Lysek, 2007): “collaborazione di forze in interazione (p. 124) (…) che funge da ponte tra entità fino ad allora separate, un passaggio tra situazioni fino a quel momento rinchiuse in se stesse, un modo per colmare il vuoto che prima isolava” (p. 128); è nota l’idiosincrasia per il vuoto come problema nucleare dell’organizzazione ossessiva che si esprime nel noto “tabù del toccare”.
Così, all’affievolirsi della resistenza il terrore si stempera e qualche conflitto disattivatosi si elabora in sinergia da cui germina un benessere in reciprocità di assorbimento: le dinamiche di seduta riattualizzano ricordi insoliti legati alla vita e alla creazione, i rivissuti testimoniano un adattamento più rapido, i desideri messi/rimessi in scena nei sogni sono appaganti con relazioni soddisfacenti… Sono dati di trasformazione, tratti dal mio archivio analitico, di psichismi imbibiti di traumi, anche filogenetici, come ingiustizie, abbandoni, situazioni gravidiche intrise di pulsione di morte e altro. Comincia infine a riforgiarsi un’identità, uscendo dall’omologazione tenuta viva da identificazioni, a partire dall’analista, come, in un esempio comune, l’esternazione di idee proprie senza vissuti di colpevolezza… Stiamo parlando di tracce di benessere, certamente presenti filogeneticamente ma talvolta latenti ontogeneticamente in vite difficili. Qui, l’aspirazione inconscia a riprendere tale contatto è incapsulata nel rimosso conflittuale-traumatico, protagonista nello psichismo. Secondo questo modo di pensare, quando la traccia di benessere torna a rilucere, ci si rappresenta una maggiore plasticità della struttura psicobiologica per l’avvenuta integrazione tra le istanze psichiche che hanno smesso di combattersi. L’energia libera dell’ Es, arriva all’Io, che accoglie non solo “il rimaneggiamento avvenuto nel preconscio ma fa in modo che la ricombinazione continui fino all’espressione del nuovo oggetto nella realtà (p. 95), svolgendo una funzione di adattamento e mediazione” (p.117), il Super-io e le istanze ideali non imbrigliano l’informazione di benessere, tornata in circolo, con critica e pedagogico spirito di condanna, severità castrante o irrealistica. Viene raggiunta “la possibilità di vivere interazioni armoniose” (p. 115) in una creatività “sostenuta da spinte (…) sinergiche che mirano a mettere in scena la memoria del benessere che, successivamente, prenderà anche corpo nella realtà” (p. 124).

La naturalità della creatività come benessere psicobiologico: occasione di raccordo tra modelli contemporanei e operatività diverse

Oggi, si può descrivere l’evento del benessere, studiato nella co-creazione di un campo analitico con presupposti sinergici (di integrazione, interazione ed “elaborazione ricombinativa”) individuati come “dinamismi di abbassamento di tensione” (p. 128), con il “linguaggio neurobiologico dell’esperienza interpersonale” dello psichiatra Daniel J. Siegel (2013) che si occupa di mente cervello relazione, integrando, con originalità, discipline diverse tra cui i modelli relazionali della psicoanalisi. Anche questo autore osserva insieme benessere e creatività,“dal mondo affascinante del pensiero interdisciplinare” (Prefaz. alla seconda ed.) per cui “la mente è il prodotto delle interazioni fra esperienze interpersonali e strutture e funzioni del cervello”(Prefaz. alla prima ed.). “E’ possibile, scrive, che le relazioni interpersonali che sostengono lo sviluppo di entrambi gli emisferi e l’integrazione delle loro funzioni promuovano il benessere psicologico” (p. 275), per cui tali “meccanismi di integrazione bilaterale possono essere alla base di processi creativi di varia natura”. Secondo i suoi dati psicoterapeutici “le nuove capacità di integrazione – interne e interpersonali – possono dar luogo a un senso di vitalità e spontaneità, di liberazione di idee ed energie” in “differenti forme di attività creative” esprimibili nella quotidianità.
Dunque, per Siegel, “L’integrazione amplia e costruisce connessioni in un progetto di coerenza” come “processo continuo” duraturo (pp. 385-386). Interessante, per me che discuto (2011) “la verità come coerenza rappresentazionale-affettiva in un continuum psichismo-realtà”, di natura psicobiologica, dicendolo micropsicoanaliticamente, con i dati di una lunga osservazione del fenomeno in psicoanalisi intensive. Parlando di integrazione, nella nostra modellistica (G.&L., 2007) e lavoro clinico, ciò che conta è che la “pulsione creatrice” (pp. 144-147) si sia integrata nella pulsione di morte-di vita, alleandosi con gli aspetti vitali: il desiderio inconscio di creare suscita il movimento e la tensione si scarica attraverso il riemergere di qualche informazione di benessere. Il risultato, già in analisi, è di spinta alla soddisfazione e relazione: sempre più l’analizzato si predispone a seguire l’avvicendarsi delle sfaccettature dell’Immagine, da quelle ancora legate a residui conflittuali traumatici (ricordo che stiamo parlando di analisi avanzate o finite, nel senso del raggiungimento del vissuto di relativizzazione) a quelle che riguardano la vita e, quindi, il benessere risentitone. La sinergia prende il posto del conflitto con le sue espressioni edipico-controedipiche di discrepanza frustrazione sottomissione e dipendenza, tipiche della struttura gerarchica. Al di là del ruolo di protezione, anch’essa tipica della situazione edipica, tali variabili sono insite nella verticalità come metafora di potere: al posto “delle seduzioni e competizioni vi è qui, ora, complementarietà e collaboratività” (Siegle, cit. p. 116). Anche Antonio Imbasciati, in un saggio riepilogativo (2013 cit.), richiamando scoperte delle neuroscienze e traguardi dell’attuale psicologia cognitivista (che oggi tende a raccordarsi con la psicoanalisi pur non considerandone il rimosso, fondante invece per l’analista), sottolinea che: “la relazionalità si è imposta come determinante fondamentale, bidirezionale, nello strutturare la mente (…) anche tra analista e analizzando” (p. 71). E richiamando “le neuroscienze per ciò che concerne l’effetto mutativo dell’analisi stessa, ovvero l’effetto terapeutico della relazione” (p.74) dà risalto alla “necessità di postulare una teoria che si basi in primo luogo su apprendimenti anziché su spinte (Trieb) e controspinte (Verdrängung, rimozione). Le ancora più recenti scoperte sui neuroni specchio, scrive, sembrano confermare ulteriormente la clinica psicoanalitica attuale, imperniata sulla relazione” (p. 75). 
Nella mia rappresentazione psicoanalitica, abbino la relazione alla vitalità della pulsionalità, sempre fondante e mi rappresento il campo analitico come un brulicare energetico-pulsionale-relazionale in cui integro l’aspetto creativo per la possibilità del forgiarsi, nell’attuale, di esperienze di benessere, come forme… di “consapevolezza mindful”, citandolo dall’opera di D. Siegel: La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza  interpersonale (2013). Eccone la descrizione: “la consapevolezza mindful – stato di vigilanza e apertura verso l’esperienza del momento – (…) è un modo di essere consapevoli della propria vita interna e del mondo esterno con gentilezza, una forma di rispetto positivo per sé e per le altre persone” (p. 42). Anche questo è pulsione, nella “compassione”: un sano hic et nunc, operante nel quotidiano, anche come risultato analitico. Se vi abbiniamo la consapevolezza, raggiunta in analisi, dell’aver disattivato qualche aspetto doloroso, con “lutti e traumi non risolti” (p. 342) che immobilizzavano libido e creatività, si evince che lo stato di soddisfazione sarà ancora maggiore, anche perché ogni “integrazione aumenta la resilienza e il benessere” (p. 345) come accenno spesso, legando i due fenomeni. Certi ricordi buoni rifioriti in analisi sono gemme di relazioni: intrapsichiche (tra le istanze) e interpersonali (con gli affetti della vita reale) mediate dal“lavoro interpsichico analista-paziente” che, come ne teorizza Stefano Bolognini (2012, p. 89), parlando “dell’alleanza terapeutica” (p. 38), verifica l’avvenuta “introiezione, autentica e profonda dell’esperienza analitica, acquisita strutturalmente come propria in modo da poterla riprodurre anche in situazioni extra analitiche.”.

Il problema del mantenimento delle acquisizioni analitiche, rispetto al benessere

  In merito al mantenimento di acquisizioni analitiche, come avviene nelle scuole di impronta sperimentale, anche certa psicoanalisi sta cominciando a sentirne il desiderio e a circoscriverlo in tentativi di ricerca, all’oggi, ancora più di osservazione. In questo senso, mi interesso al mantenimento di una tendenza al benessere, acquisito in analisi e immesso nella vita, osservando, nel follow-up, la risposta a nuovi traumi o disagi: si mette automaticamente in moto la capacità di adattamento? Il nuovo evento doloroso viene inserito, dopo un po’, nella scia degli echi dei rimossi disattivati? Sintetizzando: si è naturalizzato il processo di “elaborazione ricombinativa”? O c’è stato un ritorno indietro, reinserendosi l’evento doloroso nei passati temi di sofferenza, ridiventati protagonisti? Tale osservazione diventa fondante nelle nevrosi di destino e di fallimento. Rimando alle 11 tappe presentate (cfr.,  2012, cit. in parte prima).
E pesco tra i casi clinici di Freud, “l’Uomo dei topi”, Ernst Lanzer (1909) 1 , “un caso di nevrosi ossessiva (…) tra quelli piuttosto gravi” (p. 7), con ripetizioni patogene, familiari: undici mesi di trattamento. In una nota aggiunta, nel 1923 alla fine delle “Considerazioni teoriche”, Freud ci informa che “il paziente, grazie all’analisi recuperò la salute psichica”. A posteriori, molto studio critico sulla teoria e tecnica interpretativa. Il paziente muore, “durante la grande guerra, come tanti altri giovani ricchi d’ingegno e d’avvenire” (p. 75).Visti i trascorsi “impulsi suicidi, così frequenti” (p. 30) c’è chi esplora anche tale possibilità (in Perché è morto l’uomo dei topi? Destino, evento, struttura?” (2004) di Maurizio Balsamo che, a questo proposito, riporta il pensiero di Lacan: “(…) caso come manifestazione di una struttura…”). Sicuramente, tale tendenza va seguita (vedi l’analogia con “la cura” di Charlotte Salomon), fino a che non si reinstauri anche nella relazione analitica che, fungendo da tramite “riapra i giochi (…), mettendo in tensione la fatalità finora in giacenza, fino a farla esplodere”. Cammin facendo, si incontra poi anche altro e lo si tesse insieme, come, ad esempio, tentativi familiari che, nei nuovi transfert, chiedono di essere completati… Ho sempre osservato entrambe le situazioni. In micropsicoanalisi, ciò è ben evidenziabile attraverso l’avvicendarsi delle sfaccettature dell’Immagine, secondo il lungo lavoro di Nicola Peluffo (Cfr. Manuela Tartari, 2013). Allora, muovendosi in termini di verifica di mantenimento di acquisizioni avvenute, ci si trova oltre il riequilibrio energetico di un’analisi dichiarata finita. Oggi, guardo le cose da questo punto di vista, che auspico punto di raccordo contemporaneo: la verifica del permanere di una  tendenza naturale ad indirizzarsi verso un sano benessere, capace di attivarsi autonomamente in nuovi incontri (interni/esterni) con la distruttività.
Penso quindi veramente terminata un’analisi quando venga raggiunta la capacità di elaborare naturalmente le inevitabili frustrazioni (può darsi volute ancora inconsciamente o mandate dal fato), avvalendosi delle risorse di resilienza che si interfacciano con i nuclei di benessere nell’incessante processo di svuotamento e riconversione energetica.  Vista così, l’analisi e i suoi approfondimenti sono un terreno privilegiato di esperienza diretta e di allenamento per prendere confidenza con l’avvicendarsi delle sfaccettature dell’Immagine nella doppia versione che, con Lysek abbiamo loro assegnata (Cfr., parte prima). Va da sé che, nel caso di analisi incompleta, interrotta, supposta finita… con successivi cambi di operatore, o tentativo di “autoanalisi molto faticosa” (Ferenczi, lettera a  Freud, 17 gennaio, 1930, in Diario clinico, p.  27), per le “reali diversità” (Balint, 1969, p. 15) con l’analista o maestri di riferimento, rimangano transfert congelati: nostalgia, rabbia, disistima… Così, rapporti non ancora esplorati vengono spostati in altre  relazioni che, se analitiche, sono destinate a diventare ricettacolo di transfert inanalizzabili per un lungo tempo, come ben sa chi si è trovato in queste situazioni. Da ciò, penso che certe “seconde, terze analisi” siano piuttosto… il risultato di una pletora di “analisi incomplete”, forse allora un “ritorno indietro”, se siamo in situazione “di fallimento” come le nostre nevrosi in osservazione. 

Riprendiamole, dalla prima parte. Si tratta di quegli stati che stanno tra distruttività e benessere, Freud ne segnala una “compresenza cronica di amore e odio “(1909, p. 68), conflitto e sinergia, stasi e movimento in un gioco continuo ed inarrestabile di trattenersi-espellersi, per fedeltà al diabolico richiamo di un’oscillazione che tende a vanificare (isolando, annullando retroattivamente, diniegando, scindendo emozione e ragione…) ogni avanzamento raggiunto. Come un cordone ombelicale che, strettosi intorno al corpo del nascituro, ad ogni nuova spinta che cerca di guadagnare l’uscita definitiva dall’utero, lo richiami indietro, impostando un destino di  fissazione che fungerà da imprinting, con scarso margine al caso. Fuor di metafora, effettivamente, in qualche analisi del mio archivio, ho incontrato questa esperienza primaria di Fort/da, ripercorso diabolicamente nella vita, fino a riattualizzarsi nella relazione analitica; talvolta, ciò  poggiava su traumi familiari ancestrali rendendo il richiamo diabolico a fermarsi, a tornare indietro, a fallire ecc. ancora più subdolo e invischiante. Tale richiamo alla ripetizione coatta è quindi ad una relazione oggettuale intrisa di pulsione di morte (o, più pacatamente, di difficoltà a vivere), così che, protagonista, diventa l’isolamento affettivo che agglutina ogni tentativo nuovo, anche piccolo. C’è accordo, oggi, tra psichiatri, psicoanalisti, psicoterapeuti TCC sulla necessità di affrontare gli impulsi aggressivi che sottostanno ai tratti caratteriali; come ho detto nella prima parte, sono stati nevrotici che, nel tempo, ho pensato come potenzialmente cronici se non vengono disattivati, lavorando dunque sul “mantenimento”, nel resoconto della mia esperienza. Ribadisco che la parte distruttiva si esprime psicobiologicamente, coinvolgendo corpo e anima a seconda delle compiacenze di terreno. E’ indubbio che, quando la pulsione “luciferina” (dicendolo con Lopez) si esprime nel corpo, l’elaborazione è tanto più difficile quanto più c’è compiacenza di terreno. Ho raccolto diversi rivissuti comuni che esplicitavano la differenza tra il “sapere” di aver familiarità con certe malattie, passate di generazione in generazione, rappresentate come fastidiosa spada di Damocle e l’averlo esperito proprio di persona, integrando empaticamente la rappresentazione con l’affetto. Quando, con l’esperienza personale, ne viene raggiunta la consapevolezza, ciò consente, intanto, di arginare (ritirare o minimizzare) le proiezioni su oggetti esterni; certe relazioni, sentite nefande, mortifere e, soprattutto, immodificabili si trasformano così in relazioni più armoniose. Tuttavia, la riconversione quindi l’analizzabilità, nello psichismo, della distruttività ritirata da altri oggetti ed espressa nel corpo è cosa rara o molto complessa; talvolta ciò si verifica nel sogno. Per quanto ne so, la disattivazione definitiva di un’ostilità negata passa necessariamente attraverso una riattualizzazione analitica che però viene spesso impedita da transfert “idealizzanti” (Alessandrelli, 2012, p. 296), collaborativi e compiacenti. Dai miei dati, dico solo chel’elaborazione ricombinativa affianca il disagio della malattia, attutendone il peso.

Il controtransfert nel campo ossessivo di destino e fallimento

Come dicevo, nel corso di molti anni, ho incontrato spesso la distruttività della ripetizione coatta, ostinata, spesso denegata dall’analizzato che tende ad accomunare sadicamente al suo destino di impossibilità e fallimento. In queste strutture, con la ricreazione di situazioni mortificanti, difese da congelamenti affettivi (più che sessuali), viene aggirata l’emozione del rapporto, sentita troppo pericolosa, pur ambendovi… Spesso  tale tentativo ha matrici filogenetiche, come si scopre con l’avanzare della ricerca genealogica che, talvolta, rende conto di certi “inesprimibili” che, nella loro identità di trauma, fagocitano esperienze appaganti latenti; l’attenzione alle radici è oggi patrimonio comune. Sta aumentando l’attenzione sul tipo di ascolto da dare a patologie di origine filogenetica con traumi pregressi. Ne scrive la collega Daniela Marenco (2001), riferendosi al lavoro di Nicola Peluffo, sull’argomento: “Lo studio degli antenati ed in particolare la scoperta e la presa di coscienza delle ripetizioni nelle varie generazioni dell’atto o degli atti incomprensibili e perturbanti, permette all’individuo di dare un significato al suo agire, di trarre dal passato un significato, un’elaborazione simbolica della sua pena.”; leggo in D. Siegel (op. cit.): “Gli effetti disorganizzanti e potenzialmente devastanti di un trauma non elaborato (…) possono venire trasmessi di generazione in generazione” (p. 87): “la mancata elaborazione di perdite o traumi influenza direttamente la regolazione delle emozioni (p. 143). Ciò porta ad “alto rischio di problemi psichiatrici” (p. 149) e Paolo Roccato (seminario SPI, 2013), parlando di “Collusioni depressive/collusioni oppressive”, evidenzia psicoanaliticamente “il vasto campo della trasmissione della patologia psichica e relazionale fra le generazioni (..) in una specie di via diretta di trasmissione della cultura (…) incarnata nella storia presente di ognuno di noi” (dispensa, pp. 23-24)…
Finalmente possiamo contare su un accordo con certi dati storici della micropsicoanalisi che ha sempre lavorato sul dato filogenetico traumatico attraverso le evidenze tratte dalla ricerca genealogica del tipo di quelle portate alla luce dalla psicoterapeuta israeliana, Dina Wardi che, nel suo Le candele della memoria (1993), parla dei figli dei reduci del campo di concentramento, evidenziando aspetti che si ripetono in generazioni che, all’epoca dell’Olocausto, ancora non esistevano. Sono tentativi di ricostruire identità spezzate o perdute. Ne ho da poco fornito un accenno in “Incontri analitici e nascita di nuovi tentativi” (2013, http://goo.gl/NYexO): una rievocazione generazionale di “massima concentrazione di malvagità”, come sopruso subito, si riattiva in ogni situazione attuale sentita “ingiusta”. Un rivissuto di seduta dà finalmente parola a “non detti antichi”, passati in sogni e incubi infantili ricorrenti, elaborati come “presenze inquietanti” che si accomodano in un sogno di distensione riportato in seduta; successivamente, occuperanno uno spazio creativo: una narrazione che, in più, “contiene – ora, qui –  anche una certa ironia”. Con l’elaborazione insieme del sogno e della narrazione, si raggiunge consapevolezza e benessere, come sempre accade, in analisi, quando si esternano affetti congelati. Da tale distensione si genera un transfert imperniato sull’essersi sentiti, hic et nunc, ascoltati e capiti. Essendosi già elaborati i rivissuti edipici, può cominciare a mettersi in moto il processo di “elaborazione ricombinativa” con cui verrà disattivata una distruttività che vibra da lontano. Oggi so che tale situazione è imprescindibile per andare oltre la già salutare relativizzazione.
Allora, l’analisi diventa apprendimento e illumina altre sfaccettature di benessere latente e, quando può, le mantiene. Ci sono miriadi di rimossi filogenetici inespressi; ad esempio, quello della schiavitù di cui mancano tracce reali se non qualche vissuto di discendenti, difficile da raccogliere per il senso di vergogna e pudore sottostanti. Sto per presentare un lavoro su un’affascinante storia di schiavi abbandonati in un atollo di corallo e dimenticati ma sopravvissuti per 15 anni. La testimonianza è raccontata dagli archeologi Max Guerout (Gran) e Thomas Romon (Inrap): Tromelin. L’ile aux enclave oubliés (2010). Spero nel reperimento di qualche vissuto di discendenti.
Così, tornando al lavoro psicoanalitico intensivo, quando anche nelle sedute lunghe si riattualizza il rivissuto legato a certi temi riguardanti la distruttività della pulsione di morte-di vita, tale trauma pregresso ridiventa attuale e può disattivarsi, rimanendo come eco, residuato da elaborarsi e ricombinarsi con rivissuti più legati alla vita come, ad  esempio, la sopravvivenza o l’adattamento. E quando l’energia, fissatasi nel trauma rimosso, si libera, lo rende “esprimibile”. Dal vissuto di sgravio, se l’elaborazione continua e il filo associativo si instrada sul nuovo imprinting, può generarsi altro, più piacevole, latente, di bassa vibrazione rispetto al trauma ma ugualmente immagazzinato nell’anima, magari precedente o semplicemente a disposizione nello psichismo come “informazioni derivate da esperienze di benessere” secondo il nostro nuovo modo di pensare l’inconscio (G.&L., 2007): “ci rappresentiamo che l’inconscio memorizzi ugualmente degli stati di appagamento, distensione, contentezza che abbiano procurato del benessere (…) in rapporto con dei vissuti di automatismi di sopravvivenza (…) come l’esperienza di un buon funzionamento psicobiologico”. Con l’invenzione di soluzioni, rispetto ai disequilibri, il mantenimento dell’omeostasi si pone a servizio della vita. (pp. 67-68).
Nella fattispecie, utilizzando il nostro processo di “elaborazione ricombinativa” ciò che a me è interessato è appunto stato l’osservare che cosa succeda rispetto alle possibilità di mantenimento di un benessere raggiunto, anche in casi di così lontana risonanza, riportata a galla… Di qui, un  sottotitolo: L’applicazione naturale dell’elaborazione ricombinativa, dai passaggi di transfert alla vita reale, rende più plastico anche uno psichismo a forte connotazione ossessiva.  
  Allora, cogliendo controtransferalmente (compresi i propri sogni) anche scarsi segnali di vita, viene immessa empatia in un campo psicoanalitico che ne langue per l’antivitalità delle espressioni diaboliche in azione. La presenza di empatia di cui oggi tutti parlano e che Nicola Peluffo ha chiamato “contemporaneità di desiderio”, per me, è fondamentale quando l’analizzato è rinchiuso in un bozzolo autistico/narcisistico che robotizza gli affetti e si trova anche come dato comune in operatività diverse. Ad es. Siegel, nel capitolo sull’ “Attaccamento” (op. cit., pp. 95-150) che, “se è sicuro, scrive, negli adulti sembra conferire almeno ai loro figli una forma di resilienza anche di fronte a traumi o perdite” (p.120), cita una paziente che si era sentita “aiutata”, sentendosi “sentita” (p. 98): lo leggo come una riattualizzazione, nel rapporto psicoterapeutico, di esperienze positive e vitali latenti, magari non conosciute nella vita della persona ma presenti nella condizione umana vibrante in noi. Diciamo che il trauma induce ripetizione coatta, il benessere può semplicemente ripetersi come schema vitale in azione. Un terapeuta consapevole di ciò ha, allora, in sé “la possibilità di scegliere e di cambiare” (p. 300), a patto che sia in grado, come scrive anche A. Imbasciati (2013, cit.) con cui concordo, parlando della possibilità nella psicoanalisi odierna di “enucleare altre più attuali metapsicologie”, di “perdere la venerazione” (p. 76) per il maestro (in senso generale). Ovviamente, senza disconoscerne grandezza, valore di eredità e interiorizzazione visto che si tratta invece del superamento scontato e salutare del legame edipico/contro edipico.

Ancora un aspetto sull’ascolto controtransferale empatico, con strutture organizzate distruttivamente; ci sono momenti in cui la pulsione di morte operante tende a fagocitare anche tale ascolto in quanto insopportabile vibrazione di vita; ciononostante, seguendo “in atmosfera di benevolenza” (Ferenczi a Freud, 27 dicembre 1931, in tr. Diario clinico, p. 49) il flusso associativo dell’analizzato, si ripristinano quanti vitali energetici e creativi, integratisi con residui conflittuali/traumaticiInsomma, ciò che D. Siegel (op. cit., p. 276) afferma, presentando la promozione del benessere psicobiologico: “Alla fine, l’integrazione genera autoregolazione e promuove il movimento delle nostre vite verso modi di essere flessibili, adattivi e coerenti”, l’ho ben osservato nei “movimenti creativi in analisi” in cui si disgelano potenzialità vitali e creative.
In effetti, la persona isolata affettivamente semina il vuoto, per non correre il rischio di una relazione soddisfacente; oggi è scientifico dire che la convivenza con una persona depressa o distruttiva… fagociti. Al contrario, un’analisi empatica, in ricchezza di formazione ed esperienza del tramite, ammorbidisce tale struttura ed arricchisce, al contempo, lo stesso operatore. A me è sempre successo: “L’insorgere di riverberi controtransferali, scrive anche Carlo Brosio (2013) in uno scritto psicoanalitico sulla “nevrosi ossessiva “costituisce l’unica traccia da poter seguire per raggiungere isole di affetti spesso sorprendenti per noi e per i nostri pazienti” (p. 23). 
Così, se la seduta lunga, fisiologica, genera un movimento naturale con meno bisogno di interpretazioni, la considerazione al Benessere facilita la convivenza con l’oscillazione morte-vita, conflitto-sinergia, stasi-movimento: naturalizzandosi il ricorso al processo di elaborazione ricombinativa, i nuovi transfert, negativi o positivi, velocemente liquidati, vanno a vantaggio delle spinte di vita che generano manifestazioni soddisfacenti, di adattamento, distensione e sinergia.

Daniela Gariglio ©

Vai alla prima parte –>

Bibliografia:

  • Balint M. (1969). “Introduzione” a Sandor Ferenczi, Diario clinico. Ed. it a cura di Glauco Carloni. Raffaello Cortina, Milano 1988.
  • BalsamoM. (2004). “Perché è morto l’uomo dei topi? Destino, evento, struttura”RivistaINTERAZIONI, fasc. 2.
  • Bolognini S. (2012). Passaggi segreti. Teoria e tecnica della relazione interpsichica. Boringhieri, Torino.
  • Mikkel Borch-Iacobsen M. e  Shamdasani S. (2012). Dossier FreudL’invenzione della leggenda psicoanalitica. Boringhieri, Torino.
  • Brosio C.  (2012). “Modelli psicoanalitici e fenomeni ossessivi”. Psicologi a confronto. Rivista dell’Ordine degli Psicologi  del Piemonte, anno, 6, n. 2, ottobre, 2012. Antigone, Torino, pp. 8-24.
  • Ferenczi S. (1932). Diario clinico. Ed. it a cura di Glauco Carloni. Raffaello Cortina, Milano 1988.
  • Freud S. (1909). “Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (Caso clinico dell’uomo dei topi)”, in Opere, vol.6, Boringhieri, Torino 1974.
  • Freud S. (1938). “Antisemitismo in Inghilterra”, in Opere, vol 11, Boringhieri, Torino 1979.
  • Gariglio  (2011). “Verità come coerenza rappresentazionale-affettiva in un continuum psichismo-realtà”. XIII Ed. Giornate Siciliane di Formazione micropsicoanalitica (SIM-IIM),Verità e realtà psichica, Capo d’Orlando, in Settimana Internazionale della Ricerca, Univ. di Messina. Atti presumibili, Bollettino IIM, n. 41 a cura di Luigi Baldari, Alpes.
  • GariglioD. (2013). “Incontri analitici e nascita di nuovi tentativi”. Osservatorio,  Scienza e Psicoanalisi, 28 febbraio.
  • Guérout M. e Romon T. (2010). Tromelin. L’ile aux enclave oubliés. CNRS Editions/INRAP, Paris.
  • Marenco D. (2001). “I comportamenti autodistruttivi in adolescenza”. Infanzia, Scienza e Psicoanalisi, 15 gennaio.
  • Peluffo N. (2001). “La situazione”. Editoriale, Scienza ePsicoanalisi, 7 giugno.
  • Ragobert Thierry (2010). Les esclaves oubliés de Tromelin, film INRAP (Direction du développement culturel et de la communation, Directeur Paul Salmona, Paris).
  • Roccato P. (2013). “Collusioni depressive/collusioni/oppressive”, in Oppressione/depressione: Anomalie e traumatismi della funzione contenitore-contenuto nelle interazioni umane, ciclo di Seminari Centro Torinese di Psicoanalisi SPI.
  • Siegel D. J. (2001). La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale. Tr. it. Cortina, Milano 2013.
  • Tartari M. (2013)  “Nicola Peluffo: dall’Immagine al Personaggio”. Osservatorio, Scienza e Psicoanalisi, 8 marzo.
  •  Zucca Alessandrelli C. (2012). “La giocosa promessa del controtransfert”. Atti del Convegno: Le prospettive del gioco analitico:  la promessa del futuro, Milano, 20 ottobre, gli argonauti, pp. 291-303.
  • Wardi D.,  (1993).  Le candele della memoria. I figli dei sopravvissuti dell’ Olocausto: traumi, angosce, terapia. Sansoni, Firenze.  

Sommario:

Il lavoro riferisce sulla possibilità di verificare il mantenimento di una disposizione psicobiologica al benessere, anche, nelle nevrosi di “fallimento e di destino”, trattate in psicoanalisi intensiva con la modellistica Gariglio & Lysek (2007). In  un follow-up periodico e prolungato il processo di elaborazione ricombinativa si rinforza e naturalizza. Tale fenomeno viene osservato anche in qualche manifestazione artistica.

Note:

1 Tre mesi e mezzo (1907-1908) di Appunti di prima mano e non eliminati, a caso clinico pubblicato, secondo la prassi di Freud; ritrovati a Londra, nel 1939, dopo la sua morte.Secondo gli attualissimi detrattori di Freud, Mikkel Borch-Iacobsen, Sonu Shamdasani (2012, p. 179), “questi appunti consentono una comprensione più accurata del lavoro narrativo impiegato da Freud in  questo caso clinico – e presumibilmente  in altri.”. Disinteressata all’impianto accusatorio, serenamente, penso che, in mancanza di una registrazione di dati oggettivi o di sperimentazione, tutto sia narrazione, o riflessione su cui il lettore, può, nel caso,  a sua volta, riflettere. Siamo in tanti oggi a pensare che un buon modo di parlare dei casi clinici sia di sentirli… sentendocisi insieme e poi, osservato ciò su cui abbiamo disquisito, elaborarlo affettivamente come tentativo di conoscere un “nostro” quid di verità.