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In questo periodo, mentre sto scrivendo per Scienza e Psicoanalisi un lavoro in cui, continuando l’osservazione sulla possibilità di mantenimento di un benessere nella vita di realtà, come risultato di un’esperienza psicoanalitica, mi sto interrogando, in particolare, sull’ eventualità di tale mantenimento, estendendo la riflessione alle inficianti “nevrosi di destino e di fallimento” (un lavoro di non facile organizzazione)… mi trovo improvvisamente, ma naturalmente, instradata nella traccia dell’insegnamento di Nicola Peluffo con cui mi sono formata come micropsicoanalista. E, riconoscendomi l’interiorizzazione di certo suo pensiero, decido subitastante di lasciar sedimentare un po’ il punto d’arrivo dell’attuale lavoro, per seguire il movimento associativo di questo improvviso e gradito freier Einfall, curiosa di esplorarne l’eventuale punto d’approdo che potrebbe riconfermarmi, in sintesi, ciò che penso. L’associazione su cui ritorno mi porta a riconsiderare ciò che, voce in un coro, avevo detto, nella Giornata dell’8 giugno 2012, come riflessione in merito al personale incontro con questo maestro contemporaneo. Ci trovavamo presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino dove, in un incontro tra coloro che avevano voluto bene all’uomo e stimato lo scienziato, l’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi fondato per l’appunto dal Prof. Nicola Peluffo, alcuni colleghi SIM e altre persone, amici e colleghi universitari, gli avevano reso omaggio…

Mi è subito chiaro di aver impostato ciò che volevo dire, parlando soprattutto in termini di relazione, come pensiero di fondo, generalizzabile. Per cui, il rapporto è inteso come qualcosa di unico e irripetibile, sia negli aspetti intrapsichici che in quelli interpersonali, come lo è la peculiarità umana, consapevolizzabile nelle manifestazioni individuative e originali, germinate anche dalla metabolizzazione e integrazione di relazioni significative. E mi ripasso che ogni relazione è un tentativo di incontro, una spinta al dialogo, un desiderio di comprendere e sentirsi compresi in una sorta di percorso a ostacoli in cui la resistenza favorisce o frena il movimento attraverso l’incontro-scontro con sfaccettature dell’Immagine, vicendevolmente proiettate, ritirate e quindi consapevolizzate come res propria, nel gioco delle proprie istanze. Peluffo parla di un vero e proprio: “dialogo muto con l’Immagine come un dialogo interno non solamente introspettivo, un’esperienza in cui viene coinvolto anche l’affetto.” (1990, in Scritti di N. Peluffo[i], raccolti da un gruppo di micropsicoanalisti dell’IIM 2010, p. 143). Quando l’Immagine si manifesta, nel gioco delle sue sfaccettature, all’interno della dinamica transferale-controtransferale del campo analitico in cui la relazione avviene a livello inconscio/preconscio, certi momenti di sintonizzazione e reciprocità possono consapevolizzarne una “contemporaneità del desiderio” (Peluffo, 2006), quella nozione con cui Peluffo rimette in riga il termine fumoso di empatia, scrivendo”(…) in generale si intende un tipo di messaggio che si trasmette da soggetto a soggetto in modo involontario e inavvertito, se non a posteriori. Nelle sedute di psicoanalisi, e specialmente in quelle lunghe di micropsicoanalisi capita sovente che l’analista abbia un pensiero, una riflessione, un’idea, e che l’analizzato dopo pochi istanti esteriorizzi un pensiero, una riflessione, un’idea identica o quasi. Non è certo telepatia e mi infastidisce chiamarla empatia anche se, nel senso di identificazione temporanea ( Fenichel), non siamo lontani dal descrivere la situazione che intendo. Un modo, conclude qui Peluffo, secondo me pienamente psicoanalitico, di descrivere il fenomeno è la formulazione: contemporaneità del desiderio.” . Nel tempo, ciò che ho ritenuto significativo di questi momenti di condivisione è che tali isole rare di benessere possano incidersi come buone tracce, produttrici di nuovi imprinting su cui si innesta una nuova dinamica associativa. Ne ho parlato diverse volte.

A livello generale, penso si possa dire che, su trama caratteriale predisposta, un desiderio (che, nella creatività, riguarda il suo potenziale pulsionale che si esprime nella dinamica sessuo-aggressiva) possa slatentizzarsi per gradi, fino a diventare un interesse, un tentativo protagonista comune negli incontri transferali/controtransferali. Tale vibrazione comune, che si elabora nel preconscio, successivamente, può fornire materiale e spinta per il forgiarsi, appunto, di un tentativo individuativo, con i suoi risvolti immediati di solitudine: un passaggio doveroso e insostituibile che mette a contatto con un vuoto privo di vincoli. Per me, era stato quello di addentrarmi, dapprima da sola, poi con il collega Daniel Lysek (uno dei teorici dell’ elaborazione micropsicoanalitica di base) in un’area, ancora poco indagata, quella della creatività e dei suoi “movimenti creativi” osservati “in analisi” nella seduta lunga[ii] (Cfr., Creatività benessere[iii], Armando, 2007. L’Age d’Homme, 2008) ). Dunque, ancora una nascita di qualcosa di nuovo, creatosi da un rapporto di buona collaborazione, rispettosa delle singole diversità e relativi modi di considerare le questioni in esame. Così, quel nostro lavoro comune, partendo da un soggettivo e personale interesse di ricerca per la creatività, in analisi e in generale, nel suo ulteriore tentativo di elaborazione teorica, portava in sé, insieme alle singole eredità, quella comune psicoanalitica (Freud e Allievi) e micropsicoanalitica, secondo l’integrazione[iv] che, a loro volta, Silvio Fanti e Nicola Peluffo avevano fatto in merito ai lasciti dei singoli percorsi di ricerca (Per Peluffo, Piaget, Baudoin…). Oggi, a lavoro fatto e ulteriormente elaborato[v] anche attraverso il ritrovamento di affinità in apporti psicoanalitici contemporanei (come Green, Bolognini, Stern, Lopez, Badaracco, Ferro…), quando penso all’area di Docenza: Micropsicoanalisi e creatività che, Peluffo, nel gruppo di lavoro a ciò predisposto, aveva identificata per me, in un programma di Formazione, gestibile dal nostro Istituto, so che mi piacerebbe chiamare tale area, più in generale: Creatività come Benessere. Un modo per imprimervi subito la connotazione psicobiologica che rimanda alla profondità pulsionale fino alla matrice della pulsione di morte nella sua anima distruttiva. Creatività come Benessere, allora, per allontanarci, fin da subito, dall’infelice equivoco dei detrattori cui ha fatto comodo, ciascuno per i suoi propri motivi, additare un tendere “superficiale” al benessere, gabbando per moda attuale un personale ricorso ad una modalità aggressiva. Il Benessere di cui parlo è solo quello che, esperito con l’attraversamento delle Colonne d’Ercole, abbia rivelato il piacere della spinta verso l’ignoto, accantonando la paura di essere annientati da una sfaccettatura connotata come situazione vittima-carnefice. Una situazione, tanto per capirci, che pulsa con la distruttività di un cancro che abbia decimato, filogeneticamente, più persone di una stessa famiglia, o dell’Olocausto, in un altro esempio estremo, in cui un giovane attuale, erede, di qualche familiare sopravvissuto all’annientamento dei campi di sterminio, si ritrovi a sentire ancora, in sé, qualche traccia traumatica di questa eredità, attraverso il ripetersi di questo intenso vissuto di dolore: “Ciò che più mi fa male è la ‘loro’ indifferenza”, in riferimento a certe persone “leggere o aggressive”, nella situazione presente. Un rivissuto attuale su trama antica, che si riattiva in ogni situazione sentita “ingiusta”. Di qui, un benessere come sgravio, in primo luogo. Una distensione nuova e appagante da cui potrà anche generarsi, se l’elaborazione continua, altro ancora più piacevole se il filo associativo si instraderà sul nuovo imprinting.

Ecco perché dalla situazione rapporto, qui sfaccettatura in esame, va tolta qualsiasi pedagogica tendenza valutatrice. Ciascuna elaborazione soggettiva della tale relazione non è giusta né sbagliata ma, sicuramente, ogni volta, può diventare un ulteriore, nuovo stato di consapevolezza con cui relazionarsi. E, se mai, dopo, considerare il o i nuovi tentativi, scaturibili da tale elaborazione o già scaturiti, ma non ancora consapevolizzati in quanto appendice dell’interazione vissuta che potrebbe esserne un derivato. La relazione analitica è la sola che consenta la verifica della creazione di situazioni uniche e nuove, sicuramente non scontate, che possono movimentare il nostro psichismo con vibrazioni anche profonde, nel senso della vita, della morte o della loro sinergia attiva. A questo proposito, Nino Ferro, attuale Presidente SPI, rispondendo a una domanda sull’inconscio, afferma di pensare: “seguendo il modello di Bion, che l’inconscio venga formato e trasformato nella relazione analitica”. Concretizzando ciò con la nozione di Immagine (1984), incisiva nell’insegnamento di Peluffo, si può dire che: “le sfaccettature dell’Immagine (che è la stessa psiche)” siano precisamente “un elemento dinamico” (Peluffo, 2010, p. 101). Qui (cioè, per quanto attiene “all’elemento dinamico”), quella “potenzialità”, che tanto gli interessava e su cui fin da subito ho sentito condivisione interessandomi di “spinte creative/creatrici”, mostra la sua concretezza di attivazione, anche, fuori del lavoro strettamente transferale-controtransferale analizzabile. Questo perché, come scrive Peluffo: “l’elaborazione analitica continua ad evolversi, nella sedimentazione di un’analisi…” (p. 119) e, ancora oltre, aggiungo, avendolo osservato di proposito, con il sopraggiungere di qualche insight, o nuova elaborazione, anche molto a posteriori.

Se poi il soggetto in osservazione è il campo analitico e il suo destino di trasformazione, la relazione che vi si è intessuta sarà anch’essa sentita in continuo divenire. E lo confermano certe sedute di rappel con cui l’analisi viene approfondita, anche a distanza di anni. E’ allora che si tocca con mano certo protagonismo di alcuni aspetti originali, gestitisi nella relazione analitica, a livelli di profondità diversi, a seconda dell’entrata in gioco dell’Immagine con le sue espressioni ontogenetiche e filogenetiche, negli aspetti classici, conflittuali-traumatici, ma anche in quelli di benessere[vi], secondo il modo di intendere derivato dal lavoro con Lysek. Peluffo, riferendosi al trauma, potrebbe parlare della fine di antiche vicende ripetutesi, con lo svincolamento dal “fantasma dell’antenato”, dopo che se ne sia riconosciuta la presenza ancora agente e averne quindi accettata l’eredità. Ciò permette di vivere una vita propria con tentativi autonomi, i quali completano quel “percorso”, ipotizzato con Lysek (2007, in cap. 1: “Dall’oscurità alla luce”, pp.17-56), “verso l’atto creatore, diventato dell’atto creatore”, nel suo indirizzarsi alla realtà la cui manifestazione creativa è, per l’appunto, l’ultimo atto. E, nella realtà, come talvolta ho avuto modo di osservare concretamente, possono anche, più semplicemente, venire continuati o ripresi dei temi/motivi familiari, dopo una latenza, più o meno lunga. In una splendida condensazione, Peluffo ha scritto: (1990, in Scritti, cit., p. 143): “La filogenesi è un serbatorio inesauribile di immagini, l’Es le trasmette, l’inconscio le raccoglie, il sogno le elabora, e la vita di veglia materializza i riflessi onirici, come dice S. Fanti (1984) li abnorizza, cioè completa il lavoro del sogno, metabolizzando i resti notturni.”. In ciascuno di questi passaggi, l’arte o la creatività della vita reale possono pescare liberamente.

Rivenendo a quell’affettuoso 8 giugno 2012, mi piace pensare che, quel bel parlare in merito all’uomo-scienziato avrà rimandato qualche ascoltatore a meditare ulteriormente sui numerosi scritti. Da parte mia, insieme ad altri, lo ribadisco come oggetto di questo lavoro, avevo accennato allo psicoanalista e, per non farlo solo astrattamente, avevo soprattutto voluto ricercarne qualche traccia nel rapporto analitico, per me, iniziato con l’analisi didattica, proseguito con la supervisione e, successiva trasformazione in “prospettiva relativistica”. Questa include, per Peluffo, “l’introduzione, nella ricerca psicologica, psicoanalitica e micropsicoanalitica, l’interpretazione epistemologico-genetica, per cui una spiegazione è vera sino a quando un’altra, di livello superiore e più efficace per la comprensione del fenomeno, non venga scoperta.”. L’autore ne scrive in La relazione psicobiologica madre-feto (2010): “In fondo, anche quando si lavora su un nucleo conflittuale lo scopo è di cercare soluzioni nella direzione di un compromesso tra ciò che si è scoperto ed acquisito fino a quel momento e la distribuzione degli aumenti di tensione conseguente all’uso di una nuova idea insinuatasi associativamente come tentativo nuovo (…)” (p. 122). Per quanto riguarda “la nuova idea associativa, tentativo nuovo” , nel tempo, vi ho molto studiato, come è noto a colleghi e amici, centrando l’interesse sulla creatività. Con Lysek, poi, vi abbiamo riflettuto per anni, finendo con l’evidenziare aspetti anche non conflittuali, latenti e potenziali che abbiamo inteso come tracce di vita e creatività, fondamentali per il tessersi di una creatività soddisfacente. In analisi, questo tipo di associazione, può intendersi come la presentazione di un “Einfall non conflittuale, induttore associativo che dà una nuova struttura al materiale della seduta: il benessere comincia a trovarvi una sua collocazione e dà un nuovo orientamento al flusso associativo (…) ” (2007, cfr., “Potenzialità creatrici e informazioni di benessere”, pp. 43-48). Ciò porta a maggiore capacità di adattamento quindi a distensione, soddisfazione, input relazionali: tutti aspetti appaganti e vitali. Bene, tutto ciò ci ha portati a concepire un processo di “elaborazione ricombinativa” (pp.48-53) che si mette, naturalmente, in moto dalla disattivazione di qualsiasi confitto. E questo, indipendentemente dal fatto che l’analista ne sia consapevole. Quando lo è, ciò crea la possibilità di un’amplificazione di dettagli significativi che vanno nel senso della vita e della creazione. Forse la traduzione concreta di quel “compromesso” di cui parla Peluffo? O un altro modo di concepire la trasformazione, più centrata sulla “pulsione di vita in alleanza con la pulsione creatrice, espressione di creatività benessere” (p. 148) secondo il nostro modo di vedere? Rimando all’ossatura teorica del libro: “La sinergia” (cap. 4, pp. 123-150).

Tornando ancora all’8 giugno, avevo richiamato anche le caratteristiche di serena neutralità, come appannaggio dello psicoanalista: “tutti noi che abbiamo lavorato con Nicola Peluffo abbiamo potuto, gradatamente, imbibirci di questa neutralità e di quella benevola astinenza che gli permetteva di seguire le cose del mondo con un suo sereno distacco. In questo modo, peraltro, in micropsicoanalisi, si giunge ad interiorizzare la nozione di tentativo, mentre la resistenza viene via via lasciata per strada. E Peluffo, anche con la sua caratterialità, ci ha trasmesso, in modo naturale, che le cose finiscono, quando l’energia del tentativo si è esaurita. L’ho sentito come un analista con cui si poteva condividere il piacere di scoperte autonome, nell’elaborazione neutra del tentativo che non disdegna qualche riuscita soddisfacente.”. Così, ad esempio, per venire al lavoro di cui sopra, momentaneamente accantonato, potrei pensare che, l’interesse per verificare il grado di mantenimento postanalitico di un benessere ricavato dall’interiorizzazione del metodo stesso, possa essersi slatentizzato, in quanto già personale istanza profonda, anche dal contatto con un maestro che, al riguardo, così si esprimeva: “Sovente covati ed elaborati dalla stasi che ne consegue, a volte dopo una o più generazioni, i piccoli germi vitali trovano il terreno adatto e si trasformano in frutti bellissimi, oppure distrutti dall’ingordigia del tramite attuale, seccano.” (1992, p. 6 ). E questo la dice lunga sul beneficio di seguire il corso delle generazioni per cercarvi quei rivoli energetici, sorgenti di vita…

Nel lavoro clinico e teorico, oggi come didatta sufficientemente esperta del nostro modello, interiorizzato anche nelle successive elaborazioni psicoanalitico-micropsicoanalitiche in cui erano già state integrate precedenti Formazioni, mi rappresento ancora, in accordo con Nicola Peluffo: “un’analisi terminata” quando il “vuoto viene percepito nel suo momento creativo” (2010, p. 123). Il che è diventato, nell’attuale modo di pensare la creatività, il farsi di “una sinergia: vuoto-informazioni di benessere” (2007, pp. 134-140) che presenta, in sintesi, la possibile attivazione di potenzialità latenti, elaborabili e ricombinabili con gli echi traumatici e conflittuali. Questo punto di arrivo analitico può generare tentativi infiniti; Peluffo scrive: “Un’analisi terminata sbocca nel tutto. (…) permette lo scorrere dell’affetto lungo le linee associative caratterizzate dai vari momenti dello sviluppo psicosessuale. “.

E’ allora qui che mi rappresento “la neutralità come saggezza”: cessati gli urli per le perdite, le rotture di equilibrio, il rammarico o la nostalgia per le mancanze, resta una quiete di fondo in cui il passato fa da sfondo ad un presente vissuto e gustato in ogni sua nuance. Un presente dove si tesse, in modo naturale, quella parte di futuro permesso da una struttura psicobiologica resasi più plastica. E so, per esperienza clinica, che molti possono raggiungerla, mediati dal tramite analitico, attraverso un percorso di incontri sotterranei con le tracce inconsce, quelle conflittuali-traumatiche e quelle di benessere. Ne ho parlato in “Tracce di benessere, nell’inconscio” (2010, La scoperta dell’inconscio, Giornate di Formazione IIM, Atti in corso di pubblicazione, a cura di Luigi Baldari, Alpes). E qui accenno solo al benessere, latente e potenziale da dove, per me [vii] (2009), trae forza la resilienza.

Ancora generalizzando, si può dire che, qualsiasi argomento, impostatosi in un campo analitico, come prodromo di novità su terreno predisposto, possa, successivamente, dar vita a un autonomo tentativo scientifico, artistico o quant’altro, godendo poi dell’eventuale condivisione che diventa, allora, interazione tra persone o scambio scientifico. In una metafora, oggi direi: nascere in una situazione e poi espatriare con le proprie potenzialità radicate nell’eredità psicobiologica che continua ad esprimersi. Ritornare quindi in patria, se questo è il desiderio, per integrarvi le nuove variabili che, intanto, si sono fatte strada, autonomamente, come punti di vista, aspetti di osservazione e registrazione di dati. Di qui, l’eventuale condivisione oppure solo il rispetto di ciò che si è diversificato cui viene comunque riconosciuta la dignità di esistere nell’attuale, verso un futuro di cui faccia testo il peso della sua matrice storica.

Per questo, avevo detto, “mi rappresento Nicola Peluffo come il maestro Talete che si lascia attraversare dall’allievo Anassimandro”, come ne scrive il fisico teorico, Carlo Rovelli (2011). A mio avviso, ciò riguarda il bagaglio dell’analista, ne diviene la sua specificità, che non ingenera processi di omologazione in virtù di transfert inanalizzabili su analisi interminabili. E questo va nel senso di un fare scientifico, fuor di dogmi precostituiti: “Dal rapporto con tale maestro, che ha rispettato e seguito le singole strade di ricerca, ciascuno di noi, e lo ribadirò sempre, tratterrà i suoi propri ricordi”. Quello, per me, più piacevole, l’avevo portato in quell’occasione comune in cui, molti di noi, allievi, colleghi, amici, liberamente, si erano ritrovati per ricordare il Prof. Nicola Peluffo, maestro, collega, amico. Avevo rievocato come, in un incontro di lavoro seminariale a Nizza, Peluffo, riferendosi all’evidenza di un mio interesse e tentativo di ricerca, al femminile, avesse pacatamente invitato le analiste donne ‘a studiare di meno e a parlare di più dei loro singoli vissuti femminili, perché la psicoanalisi, disse, creata da un uomo, potrebbe indurre o aver indotto identificazione con il pensiero maschile, anche nelle donne. E la letteratura, aveva concluso, ha bisogno della voce femminile delle donne analiste’. “…

La narrazione commemorativa aveva incluso il racconto di un accadimento affascinante che dimostra come “gli affini si cerchino inconsciamente fino ad incontrarsi/reincontrarsi”. Anche questo è generalizzabile quindi valevole di essere menzionato, in sede pubblica, parlando di rapporto. Lo trasmetto pari pari, come lo avevo socializzato allora: “Viene in consultazione un uomo sui 40 anni che vive, per lo più, all’estero. Come motivazione a questo incontro, nel colloquio iniziale, tra le altre cose, dice di essere arrivato per lui, il momento di dare un taglio a certa eredità spiacevole e nefanda, toccatagli in sorte dai suoi genitori che, a loro volta, l’avevano subita da generazioni precedenti. – Nessuno ne è responsabile, afferma deciso, ma io non voglio più farne le spese. Bisogna che qualcuno faccia finire questa ripetizione. Io sono venuto, oggi qui, per dire basta! – . Con un piacevole rivissuto ‘di famiglia’, gli chiedo se, per caso, avesse letto qualcosa o da dove avesse eventualmente tratto questa modalità di pensiero. Risposta: – Ah, me n’ero dimenticato, ma 20 anni fa, ho frequentato Psicologia, per qualche anno, e ho seguito il Corso di Dinamica del Prof. Nicola Peluffo!…-. Un desiderio, dunque, latente per tanti anni, inconsciamente agente nella richiesta di incontro psicoanalitico che finalmente si consapevolizza nel primo colloquio”. Ciò rimarrà, al di là di un eventuale elaborarsi come tentativo reale di un percorso analitico “permettendo il farsi di una presa in carico…”.

A dire che, la trasmissione pacata e neutra di un maestro può entrare altrettanto sommessamente in chiunque stia ascoltando, più o meno per caso: farsi allora sedimentazione di un pensiero ascoltato e accolto e un giorno rispuntare fuori dalla latenza, quando il terreno sia predisposto e l’anima vivifica. Questo, a patto, come lo stesso Peluffo soleva dire: “che di anima ce ne sia, almeno un po’!”. La mia testimonianza era terminata con una presa d’atto: “nel tempo, frequentando modelli di lavoro diverso dal nostro, nella spinta al confronto che mi contraddistingue, ho incontrato altri professionisti di mezza età, analisti o psicoterapeuti di vari indirizzi che, da studenti, avevano frequentato il corso di Psicologia Dinamica dove, all’interno della psicoanalisi, il Prof. Peluffo aveva trasmesso il modello micropsicoanalitico, presentato anche alla luce delle sue personali integrazioni. Testimonio che queste persone conservano ancora il ricordo di un incontro stimolante di alta qualità scientifica, esposizione chiara e a portata di tutti, insieme alla qualità umana di disponibilità all’ascolto: sicuramente un TRAMITE.”. Ancora oggi, e lo sto testimoniando pur come generalizzazione, permane l’impressione di uno scambio sentito vivifico: “L’incontro con questo scienziato, concludevo quell’8 giugno, con questo saggio, maestro di riflessione e persona di grande anima, colora affettivamente il mio ricordo, a cominciare dall’eccellenza di un ascolto neutro e benevolo, intessuto di scienza e umanità, trasformatosi, nel tempo, in interlocuzione scientifica e umana.”…

Appagata, torno al lavoro di solitudine creativa, dopo questa sosta rigenerante che ha ripensato al valore del rapporto, in qualche sua forma, anche come possibile gestazione di novità.

Daniela Gariglio ©

Bibliografia:

– Peluffo N. (1976). Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione. Torino: Books’Store.

– Peluffo N. (1984). Immagine e fotografia. Roma: Borla.

– Peluffo N. (1990). “Il regista e il processo psicoanalitico”. Cinema Nuovo, maggio-giugno.

– Peluffo N. (1992). “Obbedienza”. Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, n.13, pp. 3-6.

– Peluffo N. (2006). “Le manifestazione del Bimbo nella dinamica transfert-controtransfert”, in Editoriale, Scienza e Psicoanalisi.

– Peluffo N. (2010). La relazione psicobiologica madre-feto. Roma: Borla.

– Rovelli C. (2011). Che cos’è la scienza? La rivoluzione di Anassimandro. Milano: Mondadori .

Note:

[i] Tale Raccolta (2010), in accordo con l’IIM, è stata organizzata per Nicola Peluffo, in occasione di un suo compleanno: Nicola Peluffo, Scritti (1965-2010). A Cura di: A. Zaia, B. Marzi, D. Marenco, D. Sacchi, L. Baldari, M. Tartari, M. Riccò, Q. Zangrilli.

[ii] Daniel Lysek l’ha sintetizzata esaustivamente in: “Le sedute lunghe”, in Pierre Codoni (a cura di), Una psicoanalisi al microscopio. Micropsicoanalisi. Ed. Libreria Cortina, Torino, pp. 23-58.

[iii] La stesura del libro, un lavoro a quattro mani, scritto contemporaneamente in italiano e in francese, è stato oggetto di rielaborazione in due lavori del dicembre 2011,in Education et Sociétés Plurilingues (Educazione e Società plurilingui). “Ecrire un livre à quatre mains et en deux langues: difficulté et richesse d’un projet audacieux” (D. Lysek, pp. 75-81) e “Scrivere a quattro mani e in due lingue: folie à deux o eccellenza sinergica?” (D. Gariglio, pp.82-88).

[iv] A questo proposito, il collega Luigi Badari, attuale Direttore dell’IIM, ne aveva ripercorso, in quella Giornata commemorativa, le tappe formative.

[v] Cfr., ad es., Gariglio D. (2010). “Parlando, di creatività benessere, in particolare, nella relazione analitica”. Osservatorio, Scienza e Psicoanalisi.

[vi] In Gariglio D., Lysek D. (2009). “Lo sviluppo della creatività: una possibile trasformazione dell’aggressività nel corso di una micropsicoanalisi”. Contributi scientifici dell’IIM, 23 novembre.

[vii] In Gariglio D. (2009), “La nascita del proprio originale”, frutto del processo di ‘elaborazione ricombinativa’ propria della resilienza, come presupposto di incontro tra ‘persone'”, Anamorphosis (a cura di) Wilma Scategni, Stefano Cavalitto n° 7, 2009, Torino: Ananke, pp. 18-28.