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Gestire la solitudine nella collettività

Partecipare alla vita di un gruppo indubbiamente ha molti vantaggi. La solitudine è mascherata dall’identità comune del gruppo e questo acquisisce un’identità propria, sovraordinata a quella del singolo, sufficientemente stabile da rappresentare i suoi membri in tutti i suoi aspetti, anche in quelli patologici. Si viene a creare una “singolarità sociale” e la libera circolazione dell’affetto si manterrà allora nella relazione di gruppo. Il raggruppamento farà da collante alla libera circolazione dell’affetto e il gruppo mantiene, se di dimensioni ridotte, potrà evolvere in forme stabili e generare un pensiero articolato e complesso su cui costruire il terreno di confronto con sistemi di gruppi e con la stessa società di appartenenza. Ovviamente anche i gruppi devianti possono diventare una singolarità sociale, ma questo è un altro problema.

Nel gruppo quindi lo spazio vitale ed espressivo dei singoli non è solo gestito ma rivalutato per l’identità e la vita dello stesso. È un buon modo per dare ragione a noi stessi dello stato di solitudine in cui viviamo. Se l’operazione ha successo, l’uomo diventa interprete e costruttore della propria vita relazionale affettiva. Diventerà un soggetto epistemico.

Esiste, tuttavia, un altro passaggio che influenza e orienta la vita delle persone. Ripercorrendo le pagine di un vecchio libro di Bernays, “Propaganda”,1 scopriamo che le masse, nel loro aggregarsi, costruiscono una particolare struttura la cui emergenza è definita da un pensiero comune generalmente più povero e arcaico di quello che troviamo nel piccolo gruppo e nel pensiero comune delle persone.2 All’interno della massa, probabilmente per la situazione di omologazione generata dall’agglomerare così tante persone, l’espressione degli istinti e degli impulsi primitivi tende a circolare più liberamente. Con la limitazione dello spazio vitale e con la necessità umana di mantenere una specifica identità, il processo di sublimazione subisce una battuta d’arresto. Emergono impulsi primari, molto spesso incompatibili con le regole del buon vivere, ma che nella massa si rianimano e che sono facilmente indirizzabili, con un’adeguata propaganda, a sostegno degli interessi di pochi.

Questo tema può sembrare ambivalente. In fondo, abbiamo detto che per gestire la solitudine, l’uomo ha intrapreso il progetto della vita sociale e fino a un certo grado di complessità relazionale il processo ha avuto successo. Poi, improvvisamente superata la soglia del gruppo, i suoi appartenenti regrediscono nell’anonimato della folla.

Tuttavia, se tutto questo è vero quali sono i motivi che inducono le persone a unirsi in una folla? E la solitudine, nel senso del vissuto, aumenta o diminuisce nella massa?

Una prima seppur semplice risposta può considerare il cambiamento della relazione interpersonale e la qualità del legame psichico.

Innanzi tutto l’osservazione della folla dimostra quanto essa sia un aggregato irrazionale. Si assiste a una vera e propria riduzione delle capacità cognitive e una regressione delle manifestazioni affettive. Le leggi morali e sociali influenzano poco la massa, mentre l’azione trascina l’unità della folla. I ragionamenti si riducono a rappresentazioni sociali 3  stereotipate e le persone si conformano a pensieri emotivi spesso di natura primitiva. La razionalità è segregata per lasciare spazio all’istinto e al senso della forza, all’onnipotenza generata dal movimento della massa. A questo punto non è più una questione d’intelligenza. Sia la persona semplice, sia quella di grande cultura, si muoverà con un pensiero non suo, ma della massa o di chi l’ha indirizzata. Vi sarà una totale deresponsabilizzazione.

Da un punto di vista psicologico è possibile ipotizzare che il pensiero individuale si adegui a una forma espressiva più stabile, destrutturato dai costrutti sociali che differenziano i singoli. Il grande gruppo, la massa, ha bisogno di un’omologazione che, non potendo avvenire a livello della logica cognitiva, regredisce sui piani primitivi dell’istinto e delle emozioni. Nella massa il differenziato diventa indifferenziato e il singolo per mantenere l’appartenenza si omologa all’idea e allo stato di funzionamento interno. La copertura data dalla folla o dal grande gruppo, dà voce a fantasie e fantasmi diversamente inesprimibili. L’anonimato garantisce l’immunità e gli affetti, spesso pronunciati con moti aggressivi, circolano senza freni inibitori.

Nella realtà le folle per potersi muovere nella situazione appena descritta hanno bisogno d’essere guidate, indirizzate. L’ignorante e il sapiente diventano entrambi incapaci di discernimento e la suggestione del leader guiderà le azioni della massa.

In questa situazione l’individuo può beneficiare di un beneficio secondario.

Vivendo nell’anonimato della folla la persona perde la responsabilità delle proprie azioni. Ha la possibilità di negare, seppure per un attimo, la propria solitudine costitutiva. Perdendo il senso del reale, garantito dalla folla, può vivere l’onnipotenza della folla. In una sorta di libertà affettiva e di solidità nell’unità del gruppo, negherà la propria solitudine assumendo in forma acritica gli stereotipi e le indicazioni del leader e le farà proprie. Manterrà lo stato di onnipotenza generando intorno a sé e al gruppo intolleranza e fanatismo e, questo punto, il pensiero razionale avrà completamento perso il valore euristico della conoscenza.

Il leader, tanto più esprimerà idee basate su stereotipi, sostenute dalla determinazione e da un certo tipo d’intonazione affettiva, suscitate da immagini sapientemente usate, senza per altro sostanziare le idee sul piano della realtà, tanto più gli saranno riconosciute credibilità e autorità. Chi è in grado di stimolare con insistenza il “Sé irrazionale” del singolo, può fare quello che vuole. 4 

Per non dare l’impressione di una situazione di plagio assoluta, segnalerei che il condizionamento sociale ha una sua ragione storica importante e positiva. Sul piano delle relazioni sociali, ognuno di noi influenza ed è influenzato da un “altro” esterno in grado di orientare le nostre scelte. È un po’ quello che succede con la pubblicità. Questo avviene per una questione di economica psichica, tuttavia a influenzarci non sono solo le persone, anche i sistemi complessi lo fanno quotidianamente, la politica ad esempio. A questi “altri” noi abbiamo delegato alcune delle nostre scelte permettendo loro di decidere al posto nostro. Non sempre è sbagliato, non possiamo analizzare tutto per decidere. Quante scelte fa la politica come rappresentante del singolo cittadino? Non tutte ci piacciano eppure sono fatte per il bene del paese.

La solitudine e l’enigma della rete.

Può sembrare strano, eppure anche la rete ha una sua solitudine, ovviamente a mio avviso.

Come abbiamo visto in precedenza, la sublimazione regola il rapporto tra mondo interno ed esterno, permettendo la trasformazione degli impulsi primari su oggetti e mete sociali, lavoro facilitato dalla naturale disposizione dell’uomo ad aggregarsi. Abbiamo l’importante funzione dell’aggregazione nel gestire la solitudine. Come questa permetta nel gruppo l’espressione dell’individualità, della creatività e del pensiero cognitivo. Aggregazione vuole dire anche vicinanza relazionale, libera circolazione dell’affetto, condivisione, partecipazione e l’adesione a valori spesso sovraordinati all’individuo stesso. E tutto questo per dire che il gruppo si esprime grazie a un’unità sovra-individuale, dotata di una propria singolarità psico-cognitiva.

Al pari del gruppo, anche le folle svolgono un ruolo importante nella gestione dei vissuti di solitudine, con l’unica differenza che chiede all’individuo un prezzo molto alto: la regressione psichica. Nella folla il piano cognitivo si riduce, mentre l’affettività si esprime in modo diretto, senza barriere. I freni inibitori scompaiono.

Gli impulsi primari, quelli che con tanta fatica abbiamo regolato attraverso l’educazione personale e sociale, si manifestano liberamente nella folla. Protetti dalla folla, alcune espressioni psichiche diventano legittimate ed espresse. Anche in questo caso la vicinanza psichica e fisica facilitano la libera circolazione dell’affetto. Ricordo che la massa ha una propria singolarità che si mantiene grazie all’azione di un leader, che muove le genti secondo suggestioni emotive, non con le logiche cognitive.

Nell’era di Internet la rete ha mosso, muove e muoverà milioni di persone. Abbiamo già visto molti esempi a riguardo. Cercando un parallelismo con i fenomeni delle folle, Internet e i Social Networks possiedono i requisiti di base che abbiamo osservato fino a ora, con qualcosa di più. Le forme di scambio e le dinamiche relazionali funzionano in modo profondamente diverso.

La prima caratteristica che colpisce nella diffusione dei social networks è la qualità del confronto interpersonale e gruppale. Mentre nella realtà i rapporti tendenzialmente sono di tipo autocentrico, si parte dal soggetto e si espande nei rapporti con gli altri, la rete è etero-centrica, cioè ogni nodo della rete mette in contatto con centinaia se non migliaia di altri nodi e/o contatti. L’effetto è di far sentire subito, nell’immediato, la persona e le persone meno sole. Il contatto con il mondo, anche se attivato in modo virtuale, dà l’illusione d’essere vicino agli altri, in qualunque parte del mondo. I contatti si attivano attraverso sinapsi che chiamiamo nodi.

Una condizione che impatta, dal mio punto di vista, a due livelli; il primo sulla qualità della relazione individuale, il secondo nell’emergenza sistemica della rete.

Partiamo dal primo di questi due elementi. L’attivazione di un social network comporta la presentazione di se stessi alla rete. Chi siamo, cosa facciamo, cosa esprimiamo di noi agli altri è inizialmente scritto in quel profilo che tutti potranno leggere. Insomma è una cartina di tornasole per descrivere agli altri una parte di noi stessi. L’unico problema è che a fare questo profilo siamo noi. In pratica, e qui sta la prima differenza tra un contatto web e una relazione interpersonale, raccontiamo agli altri la proiezione di noi stessi, come vorremmo essere visti dagli altri. In questo non vi è niente di male. Nel presentare noi stessi alla rete cerchiamo di avviare e sostenere quel processo d’individuazione di cui parlavo prima. Il problema tuttavia e che l’altro non ha modo, se non in forma indiretta, di fare una valutazione oggettiva dell’altro. L’altro è un’identità da assumere perché il confronto, avviato nella relazione non si può realizzare. Tutto ciò fa pensare che il livello di scambio sia, di fatto, quello dell’ideazione. L’altro vede di noi solo proiezioni di un Sé individuale lanciato nella rete e le immagini idealizzate sono scambiate, senza potersi modificare e trasformare nel rapporto reale. In altre parole, “postare”, come si dice oggi, una foto, un pensiero, non permette lo scambio di un vero rapporto affettivo. Chi scrive sicuramente vuole esprimere un’emozione, un sentimento ma, venendo a mancare lo scambio interpersonale diretto e il confronto con l’altro, non è possibile sfrondare e metabolizzare le proiezioni di una parte delle idealizzazioni. Si perde la possibilità di entrare in contatto con le pulsioni mobilitate dal rapporto interpersonale. Nel contatto, gli atti sono sterilizzati dalla carica affettiva. L’aggressività e la sessualità sono anestetizzate dal click “mi piace” “non mi piace”.

Mi sembra di poter dire che quello che viene meno è la possibilità del confronto con se stessi, quello dal quale non possiamo sfuggire nel rapporto a due. In questa bulimia da contatto, la schizofrenia alimenta la rete e la ricerca dell’altro nega in forma allucinatoria la solitudine. L’illusione rimane costante e senza soluzione di tempo, basta aprire face-book per comprendere l’atemporalità della rete e il paradosso diventa evidente.

Eppure il tempo per noi tutti ha una grande importanza. Nel riempire lo spazio lasciato dal tempo, si creano le condizioni per l’elaborazione, per metabolizzare l’immagine dell’altro, per differenziare Sé dal non Sé. Il ritmo alimenta la spinta defusionale e, nell’attesa della risposta, l’individuazione si struttura e alimenta l’aspettativa. Ovviamente il sentimento della solitudine si amplifica, ma il vantaggio è che il nostro pensiero elabora, da significato a quanto accade, presiede gli scambi tra interno ed esterno e consolida l’individualità. Insomma, in questo processo si diventa adulti.

Se questo non accade la solitudine reificata 5 può essere negata attraverso il web. La pulsione di morte mantiene “sul posto”, alimentando la fantasia di poter costruire delle vere relazioni. C’è da chiedersi se davvero l’uomo vuole costruire relazioni o preferisca l’isolamento della cellula.6 

Per terminare, dal mio punto di vista si sta creando sul web un fenomeno altrettanto pericolo a quello del plagio operato dalle folle. Le innumerevoli proiezioni postate sulla rete stanno alimentando quello che chiamo “l’emergenza sistemica”, intendendo con questo termine la nascita di un pensiero “del web” che si sostanzia dalle esigenze inconsce dei singoli. Queste proiezioni continue, postate nella rete, si stanno agglomerando nel network definendo vere e proprie “tendenze” capaci di guidare i movimenti “sociali”. In una sorta di retroazione, le esigenze individuali, rese comuni sul web dai social network, stanno diventando, esse stese, una forma di condizionamento per gli utenti.

Mentre la massa è un aggregato facilmente orientabile da un leader o da condizionamenti occulti 7, nel Web i singoli indirizzi si muovono come in una rete sinaptica generando, diciamo così, un movimento di opinione alimentato dal pensiero collettivo, che a questo punto non possiede più le singolarità individuali, ma dà origine all’emergenza sistemica. L’effetto è di creare un movimento di azione e di opinione capace di coinvolgere e aggregare le persone. A questo punto il condizionamento della rete è fatto. Appoggiandosi sugli impulsi primari dei singoli, le folle si animano.

Ipotizzo che quest’effetto sia generato, da una parte, dalla corrispondenza inconscia che ognuno vede in quel particolare noto della rete e, dall’altra, per la velocità delle informazioni. Le comunicazioni rapide, o troppo accelerate, non permettono una vera elaborazione cognitiva dell’informazione. Anzi, per la velocità impressa al proliferare dei contatti, esse inducono il pensiero adesivo che, qualitativamente ridotto ai minimi termini, è diventando manipolabile. La differenza rispetto alla massa è che i nodi sono democratici, quindi attivabili da tutti e difficilmente gestibili da un unico sistema governativo o sociale. Per tornare al tema, le persone che sentono la sofferenza non vagano nella rete. Si mettono in un nodo e attendono. Catalizzano l’attenzione dell’altro, che inconsapevolmente, alimentando la rete di nuove solitudini, nell’illusione che il contatto web diventi una vera relazione.

Detto ciò, non vorrei demonizzare il sistema dei Social Networks. Essi presentano degli evidenti punti di forza che, se utilizzati in modo oculato, possono alimentare sia il sapere dell’individuo, sia aiutarlo a gestire la propria solitudine interiore. E come sempre, la patologia non è mai nello strumento, ma nell’uso che ne facciamo.

Dalla solitudine costitutiva purtroppo non usciremo mai, questo l’abbiamo imparato. Tuttavia, con un pizzico di fortuna e con il coraggio di guardare le proprie paure, esiste davvero la possibilità di “tenere insieme” l’identità soggettiva differenziandola dagli altri. Se ciò accadrà, l’uomo avrà la possibilità di compensare l’intima solitudine umana. Con la consapevolezza, egli potrà costruire una nuova realtà e vivere qualitativamente in modo migliore. Fino a oggi l’evoluzione ci ha aiutato.

Vai alla prima parte –>

Note:

1 E. L. Bernays – Propaganda, della manipolazione dell’opinione pubblica in democrazia – Logo fausto lupetti editore – 2008 2012.  torna su!

2 Ricordo che Bernays era nipote di Freud. Nel suo lavoro prese molto dal libro “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”.  torna su!

3 S. Moscovici – Le rappresentazioni sociali, Il Mulino, 2005.  torna su!

4 E. L. Bernays – Propaganda, della manipolazione dell’opinione pubblica in democrazia – Logo Fausto lupetti editore – 2008 2012.  torna su!

5 Reificare v. tr. [der. del lat. res «cosa», attraverso l’ingl. (to) reify e il fr. réifier; v. reificazione] (io reìfico, tu reìfichi, ecc.). – 

1. Prendere per concreto l’astratto, cioè considerare concetti, categorie, idee, rapporti astratti alla stregua di oggetti concreti. 

2. Far decadere a cosa, trattare alla stregua di cosa materiale: r. l’arte, i valori culturali (in questo sign. il termine è usato, in partic., da scrittori e pensatori marxisti, v. reificazione) – Tratto dal Dizionario On line -Treccani.it .  torna su!

6 Credo che un esempio di quanto descrivo, lo possiamo osservare dal film Matrix.  torna su!

7 E. L. Bernays – Propaganda, della manipolazione dell’opinione pubblica in democrazia – Logo fausto lupetti editore – 2008 2012.  torna su!