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La qualità e la quantità del sonno, che da solo rappresenta circa un terzo della nostra vita, appare oggi modificata rispetto a quanto avveniva in passato, ove vigevano abitudini e stili di vita più vicini al naturale svolgimento delle nostre attività quotidiane. Pochi decenni sono stati sufficienti per stravolgere quel delicato orologio interno formatosi in milioni di anni di evoluzione attraverso la registrazione sensoriale degli stimoli ambientali come la presenza o l’assenza di luce o l’alternarsi delle stagioni. Vale la pena allora di soffermarci su quanto emerge da recenti ricerche condotte su tali meccanismi di regolazione chiamati appunto ritmi circadiani. La definizione dei meccanismi di funzionamento degli orologi interni è oggi una questione centrale nel campo della biologia circadiana. Verso gli inizi degli anni ’70 venne messo in evidenza il ruolo centrale ricoperto da un’area dell’ipotalamo: il nucleo soprachiasmatico (NSC) dei mammiferi, una manciata di 10 mila cellule cerebrali che hanno il compito di sincronizzare il sistema circadiano dei mammiferi con il ciclo esterno luce-buio attraverso una via diretta retino-ipotalamica. La luce funge da Zeitgeber (“indicatore del tempo”) e cioè da stimolo che sincronizza un ritmo endogeno con l’orologio circadiano. Le ricerche attualmente condotte da S.Reppert, del Laboratory of development chronobiology dell’Università di Harvard (http://www.reu.mgh.harvard.edu/profile/reppert.htm), si sviluppano su diverse linee utilizzando sia approcci in vitro che rilevazioni dal vivo per studiare le modalità di trasmissione dei segnali in partenza dal NSC.

Un’ ipotesi è che nei mammiferi il NSC cominci a funzionare già a livello della vita fetale. Esiste infatti un sistema unidirezionale di comunicazione tra gli orologi biologici della madre e del feto. Appena un orologio biologico comincia ad oscillare nel NSC del feto, segnali circadiani ridondanti di provenienza materna, sincronizzano l’orologio fetale alla fase prevalente del ciclo luce-oscurità. Tali segnali vengono trasmessi tramite meccanismi cellulari e molecolari per mezzo di recettori proteici (la proteina G) che mediano l’attività della melatonina e della dopamina. Studi recenti hanno infatti rilevato la presenza di un sistema dopamminergico attivabile all’interno dell’ ipotalamo fetale che potrebbe servire da percorso finale comune mediante il quale i segnali materni sincronizzano il feto. Una seconda linea di ricerca prende in esame le proprietà oscillatorie del NSC in sviluppo mediante la registrazione tramite microelettrodi dell’attività elettrica dei neuroni in coltura. I ricercatori hanno rilevato la presenza di raffiche di scarica dei neuroni della durata di parecchie settimane, con oscillazioni circadiane piuttosto ampie da parte delle singole unità che, da notare, rivelano ritmi di fase e lunghezze di ciclo differenti, nonostante la presenza abbondante di sinapsi funzionali. I risultati mostrano che il periodo circadiano è costituito dalla risultante finale della media dell’attività elettrica dei singoli neuroni. Secondo Reppert quindi: “Questi dati forniscono la più forte evidenza per stabilire che il NSC è composto da oscillatori circadiani multipli (cellule-clock). Il NSC, pertanto, fornisce un’opportunità unica per studiare un aspetto pervasivo della fisiologia e del comportamento dei mammiferi a livello della singola cellula.” Una terza linea di studi è diretta verso la biologia molecolare dei recettori per la melatonina fino al punto di determinare quali siano gli effetti biologici di tale ormone e da quali recettori questi siano mediati. E’ stata individuata un’intera famiglia di recettori della proteina G per la melatonina, in particolare i sottotipi Mel1a e Mel1b (due dei recettori clonati) che appaiono coinvolti nella mediazione di effetti biologici all’interno del nucleo soprachiasmatico dei mammiferi. I dati emersi indicano che il sottotipo Mel1a è necessario per un’azione di tipo inibitorio della melatonina, mentre l’espressione del secondo recettore Mel1b (nella retina e nel cervello) genera spostamenti di fase dell’orologio circadiano. In altre parole quello che è stato messo in luce è stato un complesso meccanismo a feedback in cui alcune proteine nucleari, le CLOCK-BMAL1, una volta attivate, avviano un processo di accensione di geni responsabili della produzione di altre proteine con la conseguente accumulazione a livello citoplasmatico fino ad un livello tale da far scattare il feedback negativo sulle CLOCK-BMAL1. Si verifica dunque un arresto della sintesi proteica, seguito da una diminuzione di concentrazione nel citoplasmatica delle proteine prodotte: venendo a mancare l’effetto inibitorio esercitato da queste ultime, si ritorna alla fase iniziale del ciclo che dura esattamente 24 ore, la durata di un ciclo sonno-veglia.

© Alessandro Mura