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Il cammino di Sigmund Freud verso i riconoscimenti del mondo accademico fu un viatico difficile, irto di difficoltà e resistenze. Se si escludono gli ultimi anni della sua esistenza, il Maestro dovette lottare strenuamente per tutto l’arco della sua vita per ottenere il consenso dovuto alle sue Opere. In quell’epoca a Vienna vigeva un rigido conformismo e la clientela migliore si rivolgeva quasi esclusivamente ai medici che potevano fregiarsi del titolo di professore: essendo Freud un medico generico, per anni gli onori scientifici e quelli mondani gli vennero negati. Nonostante egli fosse stato Privatdozent per un periodo di dieci anni, nel 1897 si verificò la rottura definitiva dei suoi rapporti con l’Università. L’atteggiamento antisemita presente negli ambienti ufficiali e le argomentazioni di Freud sulla sessualità non solo non gli procurarono il consenso tanto sperato, ma contribuirono ad un aumento progressivo dell’aggressività del corpo sociale nei confronti di Freud e della psicoanalisi, tanto che vennero praticamente ignorati i suoi lavori di neurologia e la fama di cui già godeva in Europa come neurologo. Quindi, sia nel 1897 che nel 1898 e 1899, vennero ignorate le sue richieste di rinnovo della nomina di professore, cosa che coinvolse anche tutti i suoi colleghi, ma mentre nel 1900 a tutti gli altri venne riconosciuto il titolo di Privatdozent, a Freud venne nuovamente negato. Dopo quattro anni di silenzio Freud decise di rivolgersi al suo vecchio maestro Exner, il quale gli riferì che avrebbe dovuto trovare un buon appoggio perché il ministro competente era sotto l’influenza di qualcuno che non approvava la sua riuscita. Tentò, allora, di procurarsi una buona mediazione attraverso una ex paziente, Elisa Gompez, moglie di colui per il quale Freud, venti anni prima, aveva tradotto i Saggi di John Stuart Mill e che era stato professore di filologia insieme a Von Härtel, l’allora ministro della Pubblica Istruzione.

Questo primo tentativo non andò a buon fine e solo in un secondo tempo, un’altra paziente di Freud, Maria Ferstel, moglie di un diplomatico, riuscì ad ottenere il consenso per la nomina del Maestro. Tutta la vicenda sarà riportata fedelmente in una lettera che Freud scrisse a Fliess l’11 marzo 1903 e della quale vi voglio far partecipe, per meglio comprendere come si arriverà al tanto meritato titolo accademico:

” Caro Wilhelm,
che cosa non può ottenere una Eccellenza! Perfino farmi raggiungere di nuovo per lettera dalla tua voce amica. Ma, siccome la notizia ti fa parlare di cose così belle, come il riconoscimento, l’autorità e via dicendo, io, spinto dal solito deprecabile impulso alla sincerità, mi sento obbligato a scriverti come sono andate le cose. Mio il merito infatti. Tornato da Roma, dentro di me la voglia di vivere e operare era aumentata, quella del martirio invece un po’ diminuita. Trovai che la mia clientela si era liquefatta, ritirai dalle stampe l’ultima pubblicazione perché, poco prima, avevo perduto in te il mio ultimo pubblico. Potevo pensare che l’attesa di un riconoscimento avrebbe occupato ancora una parte notevole della mia vita, e che nel frattempo il prossimo non si sarebbe curato di me. E volevo rivedere Roma, curare i mie malati e conservare ai miei figli la serenità. Così decisi di farla finita col rigore e di compiere i passi necessari, come fanno le altre creature umane. Ognuno di noi si attende la propria salvezza da qualcosa, come salvatore io scelsi il titolo. Durante quattro anni non avevo speso una parola per ottenerlo, ora, invece, mi feci annunciare al mio antico maestro Exner. Fu più scostante che poteva, quasi grossolano, non volle farmi sapere nulla sui motivi del trattamento ingiusto usato nei mie riguardi, si immedesimò tutto nella parte dell’alto funzionario. Solo dopo che lo ebbi fatto inquietare per alcune osservazioni ironiche sull’attività dell’onorevole ministro, mi accennò a qualcosa di oscuro su influenze personali che presso Sua Eccellenza ostacolavano la mia nomina, e mi consigliò di cercare di opporre ad esse altre influenze personali. Potei annunciargli che avrei potuto rivolgermi a una mia vecchia amica ed ex paziente, la moglie del consigliere Gompez. La cosa sembrò piacere anche a lui. La signora Elise fu molto amabile e si prese a cuore la faccenda. Fece visita al ministro e per tutta risposta si ebbe una faccia meravigliata:” Quattro anni? e chi é?” La vecchia volpe faceva finta di non conoscermi. Disse che, in ogni caso, era necessario rinnovare la proposta. Allora scrissi a Nothnagel e a Krafft-Ebing, che stava per ritirarsi, e li pregai di rinnovare la vecchia proposta. Si comportarono ambedue in modo incantevole. Nothnagel dopo qualche giorno mi scrisse:” Ho parlato con Krafft-Ebing”, e questi di nuovo dopo qualche giorno;” Abbiamo presentato la proposta.” Il ministro però evitava ostinatamente Gompez e la cosa sembrò di nuovo essersi arenata. A questo punto una nuova forza entrò in azione, una delle mie pazienti, Marie Ferstel (che tra qualche settimana si trasferirà a Berlino con il marito, nominato console generale austriaco), aveva saputo della faccenda, e cominciò a lavorare il terreno di propria iniziativa. Non ebbe pace finché non riuscì a conoscere il ministro in società, riuscì a richiamare su di sé la sua attenzione, e gli fece promettere, attraverso una comune amica,che avrebbe nominato professore il medico che l’aveva risanata. Più che convinta che una prima promessa del ministro equivaleva a nulla, gli si presentò personalmente, e credo che se un certo Böcklin fosse appartenuto a lei invece che a sua zia Ernestine Thorsch sarei stato nominato tre mesi prima. Perciò Sua Eccellenza dovrà contentarsi di un quadro moderno per la galleria che egli, non per sé stesso naturalmente, intende fondare. Finalmente, dunque, un giorno che era a pranzo dalla mia paziente, il ministro si degnò di comunicarle che il decreto si trova dall’Imperatore e che lei sarebbe stata la prima ad essere informata del perfezionamento della nomina. Così un giorno la mia paziente venne tutta raggiante all’appuntamento, agitando una lettera del ministro giunta per posta pneumatica. Era fatta, La “ Wiener Zeitung “ non ha ancora pubblicato la nomina, ma la notizia che essa è imminente si è diffusa rapidamente dagli ambienti ufficiali. La partecipazione della popolazione è immensa. Hanno già cominciato a piovere felicitazioni e omaggi floreali, come se il ruolo della sessualità fosse stato improvvisamente e ufficialmente riconosciuto da Sua Maestà, il significato del sogno confermato dal Consiglio dei ministri, e la necessità di una terapia psicoanalitica dell’isteria approvata al Parlamento con due terzi di maggioranza. Evidentemente sono di nuovo diventato una persona perbene, che per la strada gli ammiratori, diventati timidi, salutano da lontano. Quanto a me, scambierei ancor sempre volentieri cinque congratulazioni per un caso ragionevole cui occorra un trattamento prolungato. Ho imparato che questo vecchio mondo è retto dall’autorità, come il nuovo dal dollaro. Ho fatto il mio primo inchino all’autorità, dunque mi è lecito sperare di essere ricompensato. In tutta la storia c’è una persona dalle orecchie lunghissime, che nella tua lettera non è stata sufficientemente apprezzata, e quella sono io. Se avessi fatto questi pochi passi tre anni fa, sarei stato nominato allora e mi sarei risparmiato diverse amarezze. Altri sono ugualmente furbi senza bisogno di andare prima a Roma. Questo dunque è il glorioso evento, che, fra l’altro, devo anche la tua amichevole lettera. Ti prego di tenere per te il contenuto di questa epistola.
Ti ringrazio e ti saluto cordialmente
tuo Sigm.”1

I risultati, naturalmente, furono quelli attesi, cioè la professione privata di Freud si consolidò e acquisì un vasto consenso, ma la sua posizione accademica non mutò sostanzialmente con il nuovo titolo. Come Privatdozent, Freud era autorizzato a tenere conferenze all’Università, senza esservi obbligato, perché solo il professore ordinario aveva questa incombenza. Freud ricevette questo titolo nel 1920, ma poiché esercitava la professione privata, non fu eletto membro della Facoltà né gli venne affidato alcun reparto, per cui non fu mai un insegnante accademico vero e proprio. Egli si valse del diritto di tenere dei corsi di lezioni e continuò a farlo fino alla prima guerra mondiale. Le lezione erano bisettimanali: il giovedì e il sabato. Ernest Jones ebbe il privilegio di ascoltarle e ricorda come il Maestro non usasse mai degli appunti: in una occasione, mentre lo accompagnava ad una conferenza, gli chiese lumi sull’argomento che avrebbe trattato, e Freud gli rispose:” Magari lo sapessi! Devo lasciarlo decidere al mio inconscio.”2

© Rossana Ceccarelli

Note:

1 Sigmund Freud, Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1904, Edizione Boringhieri, Torino, 1986 
Ernest Jones, Vita e opere di Freud, il Saggiatore, Milano, 1962