Nel mio precedente articolo Omaggio a Freud neurologo, ho sottolineato come l’uso del microscopio e la messa a punto di tecniche istologiche hanno reso possibili la maggior parte delle scoperte della neurologia di fine ottocento. Le ricerche neurofisiologiche che seguirono, di cui il sonno è stato ed è l’oggetto, e le relative scoperte si avvalsero invece dell’uso dell’elettroencefalografo.

Nel 1929 uno psichiatra bavarese, H. Berger, parlò per la prima volta dell’elettroencefalogramma (EEG) nell’uomo, ottenuto introducendo due fili d’argento sotto il cuoio capelluto e rinforzandoli successivamente con l’applicazione di piccole lamine d’argento, fissate alla cute da una banda elastica. Le deboli correnti elettriche ottenute da questo circuito venivano raccolte e amplificate da un galvanometro a corda: la curva sinusoidale così ottenuta presentava un ritmo oscillante intorno ai 10 c/s, frequenza in seguito attribuita al ritmo alfa, detto anche di Berger.
Nel 1937, A. Loomis, E. Harvey e G. Hobart fecero la prima descrizione elettroencefalografica del sonno. Misero in evidenza cinque tipi particolari di treni d’onde, che li portarono a dividere la notte cerebrale in cicli di cinque stadi designati dalle prime lettere dell’alfabeto: A (sonnolenza), B (sonno leggero), C (sonno mediamente profondo), D ed E (sonno profondo). Lo stesso anno A. Klaue scoprì nel gatto il sonno leggero con tracciato corticale lento ed il sonno profondo con tracciato corticale rapido.
Furono E. Aserinsky e N. Kleitman che nel 1953, studiando la motilità oculare durante il sonno, giunsero alle seguenti conclusioni:

  1. da quattro a cinque volte per notte, dietro le palpebre abbassate, i globi oculari hanno dei movimenti rapidi, coniugati, orizzontali e verticali, isolati o a scariche di qualche secondo;
  2. i soggetti svegliati in quei momenti sono spesso in grado di raccontare un sogno. 1

È la scoperta del sonno REM, che si differenzia dal sonno con onde EEG sincrone o non-REM per la presenza di un tracciato elettrico corticale fortemente desincronizzato come la veglia (da cui il termine di sonno paradossale proposto da M. Jouvet), atonia dei muscoli posturali, movimenti oculari rapidi (da cui la sigla REM, rapid eye movements), comparsa di onde monofasiche nel sistema visivo (chiamate onde PGO, ponto-genicolo-occipitali) e burrasche neurovegetative caratterizzate da aritmia respiratoria e cardiaca con variazioni della pressione arteriosa sistemica.
Queste ultime scoperte si devono alla messa a punto, tra il 1953 al 1957, della registrazione poligrafica del sonno, cioè la registrazione continua e simultanea delle differenti variabili fisiologiche durante il sonno, di cui si avvalgono i moderni centri di medicina del sonno.
Per analizzare l’organizzazione del sonno la polisonnografia deve comprendere
elettroencefalogramma (EEG), elettrooculogramma (EOG) ed elettromiogramma (EMG). L’EMG è la registrazione delle attività elettriche muscolari spontanee, raccolte mediante elettrodi di superficie. L’EOG è la registrazione delle differenze di potenziale indotte dagli spostamenti dei globi oculari, registrate mediante elettrodi di superficie posti nella regione periorbitaria.
Vengono in genere poi associati l’elettrocardiogramma (ECG) e la registrazione delle variabili respiratorie (flusso aereo oro-nasale, SaO2, movimenti toraco-addominali). Possono inoltre venire effettuati: l’EMG dei muscoli delle gambe, la pletismografia peniena, la pHmetria. La misurazione della pressione esofagea, ecc.
La figura seguente rappresenta schematicamente le derivazioni poligrafìche più usate per l’identificazione degli stadi di sonno. 2 

 

Per quanto riguarda l’EEG, le derivazioni C3-A2 e C4-A1 e 01-A2 o O2-A1 permettono di registrare i diversi stadi di sonno e di valutare la continuità e l’architettura del sonno. L’EMG dei muscoli mentonieri è necessario per evidenziare l’atonia muscolare del sonno REM. L’EOG è indispensabile per riconoscere i movimenti oculari rapidi del sonno REM.

 

Grazie allo studio di queste serie poligrafiche, nel 1957 W. Dement e N. Kleitman rivedono la precedente classificazione di Loomis et al. e stabiliscono lo schema neurofisiologico ormai classico, che Fanti riassume così: 

“ un essere umano dorme circa otto ore al giorno di un sonno che si può dividere in quattro/cinque cicli, inframezzati da un brevissimo risveglio di cui non conserva alcun ricordo. Ognuno di questi cicli comprende due fasi:

 

  1. sonno lento
    sonno a tracciato elettroencefalografico lento
    che dura 90-110 minuti
    ed è composto da quattro stadi
    di cui gli ultimi due sono chiamati sonno profondo

     

  2. sonno rapido:
    sonno
    a tracciato elettroencefalografico rapido,
    che dura da 5 a 40 minuti
    ma che forma invariabilmente
    il 20-25 per cento del sonno totale

 

chiamato anche, in seguito ai lavori rivoluzionari di Michel Jouvet,

sonno paradossale:
sonno
in cui il rilassamento corporeo
contrasta con la rapidità dei movimenti oculari
e delle onde corticali,
nonché con la prolissità onirica.


Basandosi su questa prolissità che si distingue nettamente dall’apparente mutismo onirico del sonno lento, i neurofisiologi sono giunti a confondere sonno paradossale e sogno. La micropsicoanalisi invalida sperimentalmente l’equazione neurofisiologica: sonno paradossale = sogno (d’altronde inesatta dal punto di vista epistemologico) e afferma che l’uomo passa la notte e perfino il giorno a sognare.” 3

 

Istogramma che mostra l’alternanza e la durata relativa delle varie fasi del sonno all’interno di una normale notte di sonno.

 

Fin qui, molto sinteticamente e per definizioni, la descrizione che Fanti fa del sonno, alla quale segue quella del sogno e dell’attività sonno-sogno.
Mauro Mancia, neurofisiologo e psicoanalista didatta, ha riaperto il dibattito sul sogno confrontando le scoperte recenti delle neuroscienze (in cui include la neurofisiologia, la neurochimica, la neuropsicologia e la psicofisiologia) con il ruolo della psicoanalisi.
La psicoanalisi – sostiene Mancia – è interessata al significato del sogno e alla possibilità di contestualizzarlo nella relazione analitica, collegandolo alla storia affettiva del sognatore e al transfert. Pertanto il contributo della psicoanalisi al sogno si differenzia da quello portato dalle neuroscienze, interessate a conoscere quali strutture sono coinvolte nella produzione del sogno e come questo evento può organizzarsi ed essere narrato.”
“Le neuroscienze – continua Mancia – si sono interessate al sogno a partire dagli anni ’50, dopo la scoperta del sonno REM e dopo l’osservazione che i risvegli in fase REM permettevano al soggetto di ricordare e narrare un sogno. Date le caratteristiche fisiologiche e l’attivazione, ottenuta con la PET, di specifiche strutture in sonno REM (tegmento pontino, amigdala, ippocampo, giro paraippocampale, corteccia del cingolo e opercolo parietale di destra) sono state avanzate ipotesi sulla partecipazione di queste strutture ai processi della memoria, costruzione spaziale, organizzazione semantica, partecipazione emozionale e narrazione del sogno. Tuttavia, la ricerca psicofisiologica più recente ha fatto l’ipotesi di un comune generatore del sogno indipendente dalle fasi REM e non-REM, ed ha dimostrato la presenza di attività onirica in tutte le fasi di sonno; quindi, non c’è momento che la nostra mente non lavora, non riusciamo mai a stare a riposo: questa è la nostra condanna o la nostra fortuna…” 
4 

Il progresso nelle neuroscienze si deve al notevole affinamento delle metodologie dedicate allo studio del cervello con tecniche di analisi morfologica quali la tomografia assiale computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica nucleare (RMN), la cui alta risoluzione spaziale è associata a immagini statiche delle strutture anatomiche, ma soprattutto all’uso di tecniche che permettono di ricavare informazioni funzionali, quali lo stato di perfusione ematica e il consumo di glucosio e ossigeno da parte del tessuto cerebrale (tomografia ad emissione di positroni e tomografia ad emissione di un singolo fotone). Alcune tecniche di immagine funzionale, come la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (RMN), offrono un’eccellente risoluzione spaziale, e vengono affiancate da tecniche neurofisiologiche quali l’elettroencefalografia (EEG) ad alta risoluzione e la magnetoelettroencefalografia (MEG), che consentono di ottenere informazioni dirette sulle variazioni nel tempo dei flussi di corrente prodotti in specifiche regioni cerebrali. 5
Tale progresso ha portato molti ricercatori a confidare nel fatto che le neuroscienze nei prossimi anni, con le moderne metodiche di esplorazione del SNC, colmeranno i vuoti di conoscenza che ancora distaccano la parte neurologica dalla parte psicoanalitica. È questo un errore che Mancia chiama “isomorfico”: considerare le funzioni neurologiche equivalenti alle funzioni mentali, ignorando che il passaggio dall’attività neurologica all’attività mentale implica una quantità di stazioni intermedie che noi non conosciamo.
Il problema del rapporto tra psicoanalisi e neuroscienze riguardo all’attività mentale in genere e nello specifico riguardo al sonno si riconduce al problema di base: che relazione esiste tra mente e cervello. È ovvio che per Mancia il sogno rimane un fatto mentale e non un fatto organico.
Il sogno ha acquisito in questi ultimi venti anni un’importanza che né con Freud né con la Klein aveva acquisito” insiste Mancia, e sottolinea alcune scoperte di enorme interesse.
“La Klein incomincia ad analizzare i bambini e si accorge che il linguaggio del gioco è identico al linguaggio del sogno. Grandissima scoperta, perché significa che il gioco del bambino non può venire che da una serie di rappresentazioni interne che il bimbo si è costruito nel primo periodo della sua vita, nella sua relazione con i genitori. Dunque, i genitori che stanno insieme, i genitori che litigano, sono significazioni di un processo rappresentazionale fortemente affettivo. Ecco perché il sogno diventa rivelatore di questo processo trasformativo dai sistemi di rappresentazione ai sistemi di significazione, fino ad arrivare al linguaggio. Il bambino che non parla significa il suo mondo relazionale attraverso il suo gioco.”
Un altro concetto importante della psicoanalisi per Mancia è la riattribuzione di significato di un’esperienza antica rivissuta attraverso una ritrascrizione nella memoria: “…intanto, non è affatto vero che il sogno sia sempre una soddisfazione allucinatoria di un desiderio represso. La memoria opera moltissimo nella relazione analitica, ma nel sogno opera particolarmente. Che tipo di memoria noi possiamo ricuperare nel sogno? Due tipi di memoria, su cui stiamo lavorando in parecchi in questi anni: una memoria dichiarativa o esplicita, e una memoria implicita, o procedurale, che non può essere portata alla coscienza, non può essere verbalizzata, che può essere soltanto rappresentata, a cui il sogno in particolare o qualche agito o qualche comportamento ci permette di risalire. E questo ci consente di capire tanti sogni che hanno a che fare con contenitori uterini, con esperienze prenatali, con esperienze subito postnatali, a cui non sappiamo dare una spiegazione. Fa parte di un’esperienza emozionale del soggetto che risale attraverso il sogno e attraverso il transfert a quelle fasi antiche che aveva dimenticato completamente. È una memoria implicita che comunque non può essere verbalizzata. L’analista la può verbalizzare nell’ambito di una interpretazione, ma il paziente la può solo rappresentare. Io oggi non credo che la ricostruzione avvenga essenzialmente attraverso la memoria esplicita, questa partecipa e certamente aiuta, ma credo che la ricostruzione più profonda sia possibile quando il paziente attraverso il sogno ricupera quella memoria implicita che ci permette di avere un’idea e potergliela comunicare. È probabile che questo mio concetto vi trovi un po’ impreparati, e magari un po’ diffidenti, ma io penso che in ambito analitico, questo sia molto importante, anche se ci sono molti analisti che assolutamente non pensano a questo, e se ne guardano bene di usarla, io ritengo invece che sia profondamente importante fare attenzione ad esperienze che sono state dimenticate e che non possono che essere rappresentate attraverso il sogno. La memoria implicita diventa centrale nella relazione analitica e fondamentale per poter accedere a un’esperienza realmente trasformativa.”
Ma l’importanza della memoria implicita riguardo alla provenienza delle immagini nei sogni viene segnalata anche dalla ricerca psicofisiologica, interessata alla correlazione tra eventi fisiologici ed eventi mentali nelle diverse fasi del sonno, con un recente studio di Robert Stickgold, della Harvard Medical School. 6
Nelle affermazioni di Mancia vi sono inoltre molte analogie con le idee che Silvio Fanti difendeva con determinazione ed entusiasmo.
In sintonia con le ricerche di Fanti, fin dal lontano 1972 Nicola Peluffo suppose l’esistenza di una complessa vita protopsichica intrauterina. 7 Tale ipotesi comincia finalmente ad essere unanimamente accettata ed a trovare conferme sperimentali, ma allora – ricorda Quirino Zangrilli – provocò una violenta alzata di scudi nel mondo accademico. 8 
Per quanto riguarda lo sviluppo del contenuto manifesto del sogno, l’ipotesi di Peluffo è che valgano le stesse leggi che si verificano per lo sviluppo del pensiero e del linguaggio, e cioè che i nuclei di base in utero siano sensorio-motori e che le forme successive non siano altro che trasformazioni di codici che da cinetici diventano figurali e verbali. Movimento, sonno e sogno, probabilmente nello stadio iniziatico (stadio
di sviluppo fetale) coincidono od almeno funzionano in strettissima sinergia.
Si tratterebbe di un fenomeno funzionale in cui psiche e soma hanno una completa sinergia cinetica (Peluffo direbbe ideomotoria), regolato dall’es che fa il suo apprendimento ontogenetico come cerniera prepsichica e presomatica tra l’energia ideica e la motricità pulsionale, allo scopo di mantenere un certo equilibrio delle oscillazioni della tensione neutra. 9 
Tale stato individuato dalla micropsicoanalisi, sulla base delle verifiche sperimentali del neurofisiologi e degli studiosi di onirologia molecolare e delle verifiche permesse dalle sedute di molte ore, nel sonno sismico, è caratterizzato da un dinamismo cellulare a bioelettricità diffusa che non dipende da nessun centro preciso. 10 
Durante il sonno sismico quindi certe tracce motorie cellulari di movimenti distensivi fissate in una protomemoria cellulare si organizzerebbero; si strutturerebbero in schemi sensorio-motori traducibili, probabilmente dopo la nascita, in espressioni figurali e linguistiche. D’altronde – ricorda Peluffo –il linguaggio non è altro che la traduzione in un codice espressivo verbale di azioni non compiute o “in compiendo”, come direbbero i latini. Descriviamo un’azione invece di compierla. Troviamo le parole che descrivono l’agire. Per questo la psicoanalisi ha una sua utilità nella verbalizzazione. Se fossero solo parole avulse da un contesto che va a toccare l’azione, quindi l’esaurimento della spinta energetico-pulsionale nell’azione, nella trasformazione, la parola in sé non avrebbe nessun senso. 11
In un contesto informatico – concludo sempre con Peluffo 12 – acquisterebbe un nuovo senso la vecchia definizione di rimozione di cui S. Freud scriveva a W. Fliess il 6 dicembre 1896. Si riferiva alla formazione e trasformazione di tracce, di una trascrizione e traduzione di codici mnestici, ad un teoria della memoria quindi per stratificazioni e ritrascrizioni successive: “… noi infatti ci atteniamo alla tendenza verso l’equilibrio. Ogni ulteriore trascrizione inibisce la precedente e deriva da essa il processo eccitativo. Dove manca la nuova trascrizione l’eccitamento si verificherà secondo le leggi psicologiche valide per il precedente periodo psichico e lungo le vie allora disponibili. Ci troviamo così di fronte ad un anacronismo: in una particolare provincia vigono ancora i fueros, siamo cioè in presenza di sopravvivenze del passato”.
L’impostazione di Peluffo è – come egli stesso afferma 13 – prima di tutto freudiana e, in secondo luogo, molto vicina alle idee dell’epistemologia genetica di Jean Piaget e alle basi elementari della teorizzazione micropsicoanalitica di Silvio Fanti.
Una teoria energetico-pulsionale del sonno in genere e della sua relazione con il sogno che conferma la sua validità nell’applicazione clinica.

© Luigi Baldari

Note:

1 S. Fanti, La micropsicoanalisi, Borla, Roma,1983. 
2 S. H. Onen, F. F. Onen, Dictionnaire de Médecine du Sommeil, édition marketing S.A., 1998 
3 S. Fanti, Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi, Borla, Roma, 1989. 
4 M. Mancia, Psicoanalisi e neuroscienze: un dibattito attuale sul sogno, convegno interdisciplinare SOGNO & PSICOPATOLOGIA, Capo d’Orlando, 17-18 novembre 2000. 
5 M. M. Filippi, F. Vernieri, F. Pauri, P. M. Rossini, Plasticità cerebrale: aspetto metodologici e funzionali, Fact, News & Views n.2, organo ufficiale della Società italiana di Neuropsicofarmacologia, Masson, Milano, dicembre 2000. 
6 R. Torlaschi, Da dove provengono le immagini dei sogni, on line: http://www.lescienze.it 17/10/2000. 
7 N. Peluffo, Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione, Books’ Store, Torino, 1976. 
8 Q. Zangrilli, Vita fetale e destino psicobiologico, Scienza e Psicoanalisi
9 N. Peluffo, Elaborazioni oniriche dei derivati di fissazioni utero-infantili, Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi n.19, Tirrenia Stampatori, Torino, 1995. 
10 Il sonno sismico innesta a partire dal settimo mese fetale il sonno paradossale, quindi il sonno lento e, quattro mesi dopo la nascita, la loro alternanza ciclica che finisce col mascherare la bioelettricità sismica. Ma recenti ricerche tendono a mostrare che, soggiacente al ciclo sonno lento-sonno paradossale, il sonno sismico persiste con la sua autonomia bioelettrica. La sua scoperta fu effettuata da D. Jouvet Mounier nel 1968 sui cuccioli di gatto e di topo, verificata da L. Garma nel1969 in altri mammiferi, e confermata da C. Dreyfus Brisac nel 1970 nel prematuro e nel neonato umano. 
11 N. Peluffo, discussione al convegno interdisciplinare SOGNO & PSICOPATOLOGIA, Capo d’Orlando, 17-18 novembre 2000. 
12 N. Peluffo, IL CONVEGNO SUL SONNO-SOGNO, Torino, 20-21 ottobre 1994, Bollettino IIM n.17, Tirrenia Stampatori, Torino, 1994. 
13 N. Peluffo, La presenza di vestigia elementari nelle attività associativa ed onirica, convegno SOGNO & PSICOPATOLOGIA.