Una riflessione comune su FREUD E L’ULTIMA ANALISI, diretto da Matthew Brown, LA STANZA ACCANTO (The Room Next Door), diretto da Pedro Almodóvar e DIAMANTI, diretto da Ferzan Ozpetek.
Tre film attuali
Tre film che mi hanno piacevolmente colpita per avervi visto un tentativo di mettere in scena situazioni di sinergia dove protagonista è, nel caso dell’incontro immaginario tra Freud e Lewis, la capacità di interloquire senza sopraffarsi attraverso un dialogo rispettoso tra titani, pur con punti di vista inconciliabili, un accompagnamento di amicizia affettuosa alla “buona morte”, in La stanza accanto e un apprezzabilissimo lavoro collettivo di un gruppo di donne legate a una sartoria romana cinematografica, in Diamanti, un film che mette in scena, potremmo dirne micropsicoanaliticamente, varie sfaccettature dell’Immagine (Cfr. Fanti, 1984. Def. N. 219-225, pp. 114-115), inneggiando ad una coralità che sa dare il giusto peso anche alla soggettività, come storica matrice benefico-malefica di accadimenti.
Cominciando da LA STANZA ACCANTO (The Room Next Door), l’eccellente regia di Pedro Almodóvar, al solito, geniale induttore di riflessione, attraverso emozioni umanamente incalzanti e artisticamente arricchenti anche nell’ottica culturale, è un film dove si vedono protagonisti sentimento e relazioni imbevute di affetto e rispettose delle singole opinioni ed espressioni di vita e pensiero, in merito ad un fine vita scelto da Tilda Swinton (Martha), in situazione di malata terminale che, decisa a non affrontare i dolori della fase terminale di un cancro senza speranza di remissione, chiede all’amica Ingrid di accompagnarla in tale percorso di situazione estrema.
La visione di questo imperdibile film mi ha subito rimandato all’incontro (mai avvenuto) tra Sigmund Freud e il teologo scrittore CS Lewis (all’anagrafe Clive Staples Lewis), giunto da Okford in visita al Maestro. Anche in FREUD E L’ULTIMA ANALISI, due emblematici esseri umani concettualmente opposti, entrambi maestri anche se di età diverse, riescono a riflettere insieme, ascoltandosi attentamente a vicenda e con reciproca stima (sulla questione non condivisa della fede della psicologia della filosofia e su molti altri temi riguardanti esistenza realtà umanità sofferenza e altro). Vi si incontra un raccordo tra ascolto e dissertazione sui massimi sistemi e qualche indugio di confidenza su singole relazioni familiari o accadimenti personali. Gli incontri si snodano in due situazioni: il breve soggiorno delle due amiche, punteggiato da dialogo e riflessione, si svolge in una lussuosa villa ultramoderna immersa nei boschi, con pareti di vetro e piscina, affittata per un mese dalla morente, mentre lo stimolante incontro tra il Maestro e ilprofessore di Oxford, il giovane teologo Lewis, con un futuro di scrittore di fama mondiale, avviene nell’abitazione di Freud a Londra. Qui, tra il sussurro dei reperti artistici che hanno seguito Freud, si snocciolano singole verità, con energica convinzione esente da intenti sopraffacenti. Gli inconciliabili punti di vista, tra il religioso e lo scientifico, si dipanano dunque nel rispetto per il punto di vista dell’interlocutore che, ogni tanto e, a turno, si lascia andare a confidenze umane su situazioni di famiglia, sentite problematiche nella propria vita (per Freud, ad esempio, il futuro della figlia Anna…).
Un buon flusso emotivo comune
Il raggiungimento qui, di un livello emotivo di parità, ha attratto la mia attenzione. Uscendo, allora, dall’interesse per chi può aver la meglio, tra scienza e religiosità destinate a non potersi mai incontrare, o dalla partecipazione al dibattito in corso sull’eutanasia, ciò che poco alla volta, nei due film, ha per me acquistato valore è stata proprio l’emozione che può riscontrarsi anche nel rispetto. La messa in scena di veri dialoghi, oggi sempre più utopici per il protagonismo dell’agire conflittuale con il suo fare distruttivo additato come unico imperativo di vitalità, può allora diventare un prezioso richiamo. La capacità di interagire, cercando di non farsi fagocitare dalla onnipresente tendenza al conflitto a tutti i costi, può assumere, ho pensato, persino nuovo valore educativo, diventare cioè un modello di riferimento, un’indicazione di percorso possibile in un processo di formazione emotiva. Incontri, dunque, dove l’emozione è essa stessa dialogo dell’anima perché, quando avviene, arricchisce l’intera situazione, mettendo in moto possibilità di crescite personali, immesse nella relazione. E questo può avvenire, indipendentemente dal mondo di fuori dove, per lo più, imperversa la barbarie (il sibilo del nazismo, nel film, con Londra in stato d’allerta, la distribuzione di maschere antigas e la corsa nei bunker per i bombardamenti…). E parlo della perversione della distruttività nelle sue mille manifestazioni, proprie del protagonismo della pulsione di morte, se classicamente inteso.
L’attitudine alla guerra
D’altra parte, l’attitudine alla guerra non è mai venuta meno nel nostro presente e le singole strutture di personalità l’assorbono, ciascuna a modo proprio, a seconda del peso anche filogenetico nel terreno familiare psicobiologico. E oggi, la psicoanalisi, o la sua parte preponderante, sta diventando sempre più attenta osservatrice di come il sociale, l’ambiente in generale (Cfr. “Considerazioni preliminari” in Gariglio, 2024), umano e quello proprio della natura (rimando al Convegno SIM/IIM 26 luglio 2021, Psiche e Natura, visibile nel sito IIM), possa risuonare nell’individuale, considerandone, nella penombra della stanza di lavoro, anche gli aspetti educativo-culturali assorbiti dall’analizzando e controtransferalmente registrati dall’analista. Ricordo sempre che, qui, Nicola Peluffo (2006), parla di “desideri contemporanei che – vi – si incontrano”. Carlo Bonomi (a cura di, 2006, pp. 86-90), cultore di Sandor Ferenczi (con Franco Borgogno, Gianni Guasco e molti altri oggi, alla luce del sole), parlando della “teoria della mente” da un punto di vista “strutturale o intrapsichico” che “considera la mente a partire dagli elementi che la compongono, […] piuttosto che a partire dal suo impatto con il mondo esterno o con le altre menti…”, ripuntualizza giustamente la possibilità che sempre “si possa aprire una falla tra apparenza e realtà”. Si tratta quindi di armonizzare il dentro con il fuori, prendendo coscienza che “senza l’impatto con il mondo esterno non si capirebbe come il principio di piacere si possa trasformare nel principio di realtà” (ibid. p. 90) dove troviamo, ad esempio, quei tentativi (nozione micropsicoanalitica. Cfr. Fanti cit. N. 87, p. 53-56) di cui scrivo spesso perché danno la misura del vero effetto di un lavoro micropsicoanalitico-psicoanalitico. “L’identità dello psicoanalista”, ripuntualizza Bonomi (2024, p. 7) partendo dal “lascito” di “una precisa narrazione della nascita della psicoanalisi […], era che la psicoanalisi non si interessava alla realtà esterna”. Si tratta invece di “conciliare il paradigma della realtà esterna con quello della fantasia” (ibid. p. 7), anche se supposta tale, direi. Ciò che conta, per me, è quello che sente l’analizzato e come lo recepisce l’analista nell’hic et nunc di seduta. Al di là se il trauma (sessuale et.) sia o meno successo veramente, ne resta comunque il desiderio rimosso, sotto forma di memoria disturbante che tende a ripresentarsi come attrazione diabolica, da più punti di vista. Della realtà interna-esterna, ciò che per me conta è la relazione, da un punto di vista onto-filogenetico. La relazione allora, a partire da quella intrapsichica colta in qualche antenato, nella situazione intrauterina e con le proprie istanze nel corso della vita attuale e quella interpersonale dalle prime sintonizzazioni affettive madre-figlio, così ben individuate da Daniel Stern per approdare infine a quella interpsichica con l’analista, nella stanza di lavoro da cui viene sperimentata la possibilità di distensione, dopo le riattualizzazioni transferali-controtransferali di quanto appena indicato, compreso l’eco del clamore esterno, in termini di trauma e benessere incorporati nel fluire delle sfaccettature dell’Immagine.
La distensione nella manifestazione affettiva
Allora, quel Freud del film, pur vicino alla morte in una situazione dove il dolore del corpo è attivo protagonista, non si impedisce il lucido piacere di seguire lo snodarsi dei ragionamenti all’interno di uno scambio. E il duello fermo ma rispettoso tra Freud e Lewis, ateo uno, credente l’altro, alla fine dell’incontro, lascia giusto un’impronta di distensione perché c’è comunque stata relazione. E forse, nella sensazione del fruitore del film – so di aver pensato in termini di affetto – persino più incisiva come spessore di ricordo, dell’eutanasia richiesta poco dopo al proprio medico dal Maestro, per sopperire a sofferenze andate troppo oltre.
Ho letto, in qualche recensione, che l’uso eccessivo del dettaglio come la toccante rassegna dei reperti artistici di casa Freud e la precisione dello svolgersi dell’argomentazione scientifico-culturale avrebbe tolto l’anima al film, io l’anima, invece, l’ho vista proprio nella capacità di reggere il confronto, aspetto di cui sto, a ragione parlando. “Confronto” portato molto avanti nel film, forse nella speranza di trovare o alfine giungere a qualche punto d’incontro? Ciò che conta è che le persone abbiano sentito col cuore, direbbe Sándor Ferenczi che, nel suo Diario clinico (1932), infatti scrive: “Senza simpatia non v’è guarigione (Tutt’al più una comprensione della genesi della sofferenza” (Ferenczi, Giornata del 13 agosto 1932. Tr. Carloni 1988 p. 303).
In effetti (e per me sicuramente!), la psicoanalisi, al di là del dovuto suo intellettualismo, meglio detto, rigore di dissertazione scientifica, ben celebrato nel film, resta anzitutto un invito all’affetto con il suo buon recupero emozionale onto-filogenetico, come questa commovente frase finale di Freud: “Le attuali persecuzioni non dovrebbero piuttosto suscitare un’ondata di compassione in questo paese?” (Freud, 1938. Tr. Montinari, pub. ‘1979, p. 657). Se trattenessimo in noi queste parole del Maestro, sentendole profetiche in merito a ciò che sta continuando ad accadere all’essere umano, preda dei suoi miserandi desideri di potere e attitudine alla violenza, almeno nelle vite a venire di qualche analista o analizzato, potrebbero queste parole di vera anima – me lo chiedo! – prefigurarsi come un induttore associativo rappresentazionale-affettivo, trasmissibile come nuovo inserto di eredità? “Dipende…”, potrebbe sussurrarne il nostro caro maestro Nicola Peluffo, “dal fatto che di anima ne sia rimasta ancora, almeno un po’…”.
A ciascun psicoanalista e fruitore di tale esperienza, il proprio pensiero sulla tela dell’affetto! Ciò che se ne può forse dire è che, per quanto riguarda entrambi, si presenteranno comunque rappresentazioni e spiegazioni, elaborate da soggettività ripulite, in corso d’opera, dall’equivoco delle proiezioni con il loro apporto illusorio di antidoto contro la solitudine. È solo da lì, che può nascere quel che, nel tempo, ho chiamato “il proprio originale postanalitico” (Cfr. Gariglio, 19 dicembre 2011).
Una trasformazione
Torno a La stanza accanto, toccante storia di un accompagnamento alla morte in un magnifico ambiente naturale immerso anche nella ricchezza di qualche elemento artistico come compagno ancora di vita. Celebrato il conforto ricevuto dalla relazione benefica con un’amica in intercalari di ricordi racconti elaborazioni di desideri ritrovati nel filo delle rievocazioni, con un importante apporto anche dei “tramiti”, apporto elaborato in tutta la pellicola, il film, dopo la dignitosa fine della protagonista, ci regala ancora qualcosa degno di emozione, come alta espressione di poesia, immessa nella vita reale!
E parlo della conclusione di qualcosa ch’era rimasto insoluto, fino alla dipartita di questa madre che decide di andarsene dalla vita, senza averlo anche condiviso con la propria figlia. Mi riferisco alla trasformazione di quella che sembrava un’inamovibile incomprensione madre-figlia. Trasformazione che, esauritasi la carica polemico-accusatoria, alla fine del film, mostra di star incanalando la figlia ad accogliere in sé comportamenti già della madre, accettandone la presenza e riconoscendovisi.
Sinergia femminile
Ai primi di gennaio, ho visto infine DIAMANTI, un film del 2024, diretto da Ferzan Ozpetek, con Luisa Ranieri e Jasmine Trinca e una messe di altre bravi attrici note. Distribuito da Vision Distribution. In questo film, ho molto gradito la messa in scena di una ricca situazione di sinergia femminile, in un contesto di alta qualità artistico-creativa, data dalla liberazione graduale di energie vincolate in conflitti, traumi e lutti inelaborati in cui l’elaborazione della perdita riesce finalmente, dopo la stasi nel dolore, a diventare occasione di nuova crescita e originalità (mi riferisco, in primis, alla creazione finale con cui termina il film e che non voglio svelare). Il mondo femminile ne esce scolpito nella sua capacità di intensa passionalità, impegno, capacità di tentare risoluzione a problemi professionali personali e relazionali (anche con il maschile) e, infine, in un agire all’insegna delle proprie essenze nucleari, protagoniste del fare individuale messo in opera, nel rispetto però anche del collettivo, oggetto della “sinergia” intravistavi con cui ho aperto questa mia riflessione. Invito a prendere contatto anche con questo film per cui “conta solo ciò che resta dentro di noi”(cit.)
© Daniela Gariglio
Bibliografia
- Bonomi C. (2006). (a cura di) Sandor Ferenczi e la psicoanalisi contemporanea. Materiali dell’Istituto H.S. Sullivan di Firenze. Borla, Roma.
- Bonomi C. (2024). Presentazione della Nuova edizione italiana di Assalto alla verità. Arpa Ed.
- Convegno on-line Psiche e natura (2021). Sito IIM.
- Fanti S. (1984). Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi. Con la collaborazione di Pierre Codoni e Daniel Lysek. Ed. it. a cura di Liliana Zonta e Marcella Dassano. Collana di micropsicoanalisi, diretta da Nicola Peluffo. Borla, Roma.
- Ferenczi S. (1932). Diario clinico. Gennaio-Ottobre, 1932. A cura di Judith Dupont. Ed. it. a cura di Glauco Carloni. Biblioteca di Psicoanalisi. 1988, Raffaello Cortina, Milano.
- Freud S. (1938). Una parola sull’antisemitismo. “Antisemitismo in Inghilterra”. Londra N.W. 3, Maresfield Garden 20,16 Novembre 1938. Freud Opere 1930-1938, Vol. 11. Boringhieri, Torino.
- Gariglio D. (2011). “Identità e trasformazione. La tessitura di un proprio originale, presupposto di incontri adulti”. Psicoanalisi e Scienza (PeS), rivista on-line diretta da Quirino Zangrilli .
- Gariglio D. (2024). Considerazioni preliminari in “Passività e sblocco sinergico: dal caso clinico del giovane Andrea”. Sito IIM,
- Masson J.M. (1984-2024). Assalto alla verità. La rinuncia di Freud alla teoria della seduzione. Nuova edizione a cura di Carlo Bonomi con un saggio introduttivo sulle origini della psicoanalisi. Orpha Collana della Società Italiana di Psicoanalisi e Psicoterapia “Sandor Ferenczi”, diretta da Gianni Guasto. Arpa Ed.
- Peluffo N. (2006). “Le manifestazioni del bimbo nella dinamica trasnsfert-controtrasnsfert”
La Dott.ssa Daniela Gariglio, nata a Padova nel 1947, lavora a Torino come libera professionista, docente e scrittrice. Psicoanalista (Didatta SIM, Società Internazionale di Micropsicoanalisi), già Insegnante di Lettere di ruolo, è Psicologa-psicoterapeuta, iscritta all’Albo dal 1989, N. 412.
Formatasi in Psicodramma analitico (lacaniano-junghiano), Psicoterapia cognitivo-comportamentale, Autogena e Psicoterapie brevi a indirizzo psicodinamico, completa la sua formazione psicoanalitica individuale con il metodo micropsicoanalitico e la supervisione del Prof. Nicola Peluffo (docente Psicologia dinamica, Facoltà di Psicologia, Torino), integrando tali esperienze nell’attività di Consulenza/Formazione, nella docenza di Discipline psicologico-psicoterapeutiche in Specializzazioni Ministeriali Polivalenti (1983-1992) e nell’attività psicoanalitica preminente.
Studiosa delle potenzialità creatrici, osservate nel campo analitico e reale (cfr. “Creatività come benessere psicobiologico” lo testimonia in lavori e libri (cfr. il primo, Dopo. L’energia per vivere, L’Autore libri, 1997, anche ideando e realizzando la Collana “I Nuovi Tentativi”, Tirrenia Stampatori (1999-2002; cfr. 2000. Sull’argomento, con il Dottor Daniel Lysek, scrive Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi (Armando, 2007, approfondendone la modellistica in occasione di convegni/manifestazioni, recensioni e contributi in Riviste, tra cui: Bollettino IIM, a cura di Luigi Baldari, Psicoanalisi e Scienza, diretta dal Dottor Quirino Zangrilli, Anamorphosis (2009-2013) a cura di Wilma Scategni e Stefano Cavalitto.
Ha collaborato con International Association Fort Art And Psychology (Convegni, 2010-2011-2019), partecipato a 3 Convivium, a cura di Zangrilli, Alviani (2015-2017) ed evidenziato in psicoanalisi-archeologia le “tracce di benessere nell’arte preistorica” (Centro Camuno, Prof. Anati, Valcamonica Symposium 2009-2011, Gariglio, Lysek, Rossi) e nell’ “inesprimibile genealogico” (https://www.micropsicoanalisi.it/solitudine-elaborazione-dellinesprimibile-genealogico-e-creativita-una-conferma-in-max-guerout-e-gli-schiavi-sopravvissuti-a-tromelin/). Dal 2016, trasmette: “Creatività tra trauma resilienza e benessere” (“Micropsicoanalisi: teoria e tecnica”, corso diretto e coordinato Dott.ssa Bruna Marzi), in Corso di Specializzazione in psicoanalisi, psicoterapia psicoanalitica e consulenza psicoanalitica (Istituto Universitario di Psicoanalisi di Mosca, in collaborazione continua con IIM).
Ha ideato (2017) e dirige la Collana Tracce di benessere ricombinate… illustrata da Albertina Bollati, Araba Fenice. In “Bibliografie dei Membri dell’IIM” (micropsicoanalisi.it), la progressione dei lavori.
Nel dibattito psicoanalitico contemporaneo, Gariglio ha tentato di mostrare che ragione e sentimento, esprimibili nella cultura scientifica e in quella umanistica, possono integrarsi creativamente.